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mercoledì 25 luglio 2018

Resto qui


Curon, un borgo della val Venosta è stato distrutto nel 1950 per costruire una diga. La prima volta che Marco Bolzano si è avvicinato al lago sorto dove prima c’era il paese, ne è rimasto sconcertato, non capiva cosa ci facesse un campanile sullo specchio del lago. Sotto l’acqua immaginava la base della chiesa, i campi, le macerie, le fondamenta di un paese cancellato. Fu da quelle considerazione che prese inizi l’idea del romanzo. Così ha iniziato a studiare, raccogliere testimonianze parlando con i pochi testimoni dell’epoca. Giungendo alla conclusione che, la distruzione del paese, è stato l’ultimo atto di un lungo periodo violento. In alto Adige, nel 1921, con la marcia su Bolzano, è iniziato il Ventennio, dopo l’8 settembre è arrivato Hitler e sempre in quel territorio è scoppiato il primo terrorismo.
Così, la questione della diga diventata una parte del romanzo, la storia comincia proprio nel 1921, quando i fascisti vietano agli abitanti del Sudtirolo di parlare la loro lingua e di lavorare. I fatti raccontati sono veri, tratti dalla cronaca dell’epoca, di fantasia, invece, sono i protagonisti. Trina è una maestra elementare che non può insegnare perché Mussolini glielo impedisce. Allora lo fa di nascosto, rischiando il confino, nelle katakombenschulen, le scuole clandestine. Sposatasi con Erich, diventerà madre, finché, all’inizio della guerra, le porteranno via la figlia. Quando iniziano i lavori della diga Erich vestirà i panni del capopopolo, facendosi aiutare dalla moglie nel trovre le parole giuste per farsi ascoltare dalla gente.
Questa resistenza a difesa del paese non è mai esistita, ma all’autore è piaciuto immaginare qualcuno che avesse il coraggio di scendere in strada a gridare le proprie ragioni.


Descrizione
L'acqua ha sommerso ogni cosa: solo la punta del campanile emerge dal lago. Sul fondale giace il mistero di Curon. Siamo in Sudtirolo, terra di confini e di lacerazioni: un posto in cui nemmeno la lingua che hai imparato da bambino è qualcosa che ti appartiene fino in fondo. Quando Mussolini mette al bando il tedesco e perfino i nomi sulle lapidi vengono cambiati, allora non resta che scegliere le parole una a una per provare a raccontare. Trina è una giovane madre che alla ferita della collettività somma la propria: invoca di continuo il nome della figlia, scomparsa senza lasciare traccia durante gli anni del fascismo. Da allora non ha mai smesso di aspettarla, di scriverle nella speranza che le parole gliela possano restituire. Finché la guerra viene a bussare alla porta di casa, e Trina segue il marito disertore sulle montagne, dove entrambi imparano a convivere con la morte. Poi il lungo dopoguerra, che non porta nessuna pace. E così, mentre il lettore segue la storia di questa famiglia e vorrebbe tendere la mano a Trina, all'improvviso si ritrova precipitato a osservare, un giorno dopo l'altro, la costruzione della diga che sommergerà le case e le strade, i dolori e le illusioni, la ribellione e la solitudine.

Marco Balzano è nato nel 1978, è insegnate e scrittore, autore del romanzo L’ultimo arrivato (Sellerio), con il quale si è aggiudicato il Premio Campiello 2015. Il suo nuovo romanzo, Resto qui (Einaudi), prende vita in Sudtirolo, terra di confine, al tempo del fascismo, quando Mussolini tolse agli abitanti di Curon Venosta anche il diritto alla loro lingua, mettendo al bando il tedesco e facendo cambiare perfino i nomi sulle lapidi nei cimiteri. Ma Trina non si arrende: la protagonista del romanzo, madre prostrata dalla scomparsa della figlia e insegnante determinata, è una donna forte e caparbia, che non esita a fuggire sulle montagne assieme al marito disertore. Nella fuga dalla guerra, l’unica arma di difesa che Trina ha a sua disposizione sono le parole: parole scelte con cure per scrivere alla figlia scomparsa, nella speranza che un giorno ritorni, parole per dare voce al suo dolore, e a quello collettivo, raccontando pagina dopo pagina la tragica storia di Curion Venosta, il villaggio sommerso dalla diga che unificò i tre laghi del territorio. Ancora oggi, dal lago artificiale di Resia, emerge il campanile del villaggio che fu.



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