Presentato il sesto gruppo delle proposte degli “Amici della domenica “ per le candidature al Premio Strega 2019
Gli Amici potranno inviare le loro proposte entro le ore 12 di venerdì 7 marzo 2019, ecco la sesta quartina:
«Il romanzo di Federico Bonadonna, Hostia, racconta una Roma
nascosta e spesso sconosciuta agli stessi romani, la sua periferia bella
nonostante il degrado, la sua umanità sofferente. Lo fa con accenti a
volte pasoliniani e usando in molte pagine un dialetto rude e colorito,
mai però di maniera. Al centro del racconto c’è una bambina con la sua
infanzia difficile, descritta con delicato realismo e profonda empatia.
La conosciamo a poco a poco, soprattutto attraverso le parole dello
psicologo che la cura. E che a sua volta ha bisogno di cure… Il romanzo
di Bonadonna ruota attorno a storie di famiglie complicate, storie che
s’intrecciano e si rispecchiano l’una nell’altra, pur mantenendo la loro
diversità. Ci sono misteri, in queste storie. C’è un tocco di “noir”
che prende il lettore o la lettrice: cosa c’è dietro il comportamento
aggressivo della bambina? E cosa c’entra la politica con questa creatura
infelice e marginale? Interrogativi che tengono con il fiato sospeso.
Ma il vero fascino del romanzo sta nella descrizione della sofferenza
intima dei personaggi, nell’analisi dei loro impulsi, nel racconto del
loro modo di vivere e della società che li accoglie o li rifiuta. Un
romanzo psicologico e al tempo stesso sociale.»
Federico Bonadonna ha lavorato vent’anni nel settore delle politiche
sociali. Dal 2008 vive e lavora all’estero come antropologo. Dopo il
Libano è stato in Siria, Etiopia e Senegal. Tra i suoi romanzi
ricordiamo Il nome del barbone (DeriveApprodi, 2001), da cui Citto Maselli ha tratto il film Civico Zero, Occasioni mancate. Antropologia delle marginalità estreme e politiche sociali per gente degli interstizi (L'Orecchio di Van Gogh 2009), La cognizione del potere (Castelvecchi 2015) e Hostia. L'innocenza del male (Round Robin Editrice 2018).
«Negli ultimi tempi, nei più importanti festival cinematografici, si moltiplicano i film che i francesi definiscono Cinéma du réel.
Altrettanto sta accadendo anche in letteratura, dove si diffonde un
genere nuovo di narrativa, che non è puramente finzione, ma neppure
semplice cronaca. Se il libro è bello, al piacere dell’intreccio
romanzesco si aggiunge il gusto di scoprire che è una storia vera. Nei
premi letterari degli ultimi anni, è proprio questa la novità. Questa
premessa per spiegare che cos’è Migrante per sempre di Chiara
Ingrao, che si apre con i passi nella notte di un clandestino mentre
varca la frontiera di Ventimiglia: è il padre della protagonista, Lina,
di cui l’autrice ha raccolto la storia. Lina è una bambina che nasce
nella Sicilia contadina dei poverissimi anni ’50, il tempo
dell’emigrazione massiccia verso l’Europa del Nord, dove anche lei sarà
obbligata ad approdare ancora adolescente, strappata al suo paese, alla
nonna, alla scuola e a un possibile, più felice avvenire. Nella Germania
gelida e ostile si riacutizza il conflitto con una madre amata e
odiata, che prima l’ha abbandonata per emigrare e ora le impone la
durezza del lavoro in fabbrica, che spezza i sogni e rende difficile
ridare senso e speranza alla propria esistenza. Ostinata e ribelle, Lina
conquista poco per volta, attraverso incontri umani diversi e
un’esperienza associativa, una nuova sicurezza, anche nel rapporto con
gli uomini, che le fa vivere una stravagante ma durevole storia d’amore.
È già madre e moglie quando torna in Italia. Ma proprio a questo punto
scopre che ci si può sentire stranieri anche nel proprio paese, e che la
determinazione a trovare la propria strada è un percorso lungo e
impervio, nel lavoro, nella famiglia e nel rapporto con se stessa.
Chiara Ingrao ci racconta la Sicilia, la Germania e Roma, mescolando i
linguaggi e i tempi della vita, che ritrova una compiutezza nella sua
linea spezzata: perché Lina resta siciliana, ma continua a portare
dentro di sé l’eco di altre voci e altri mondi. Come le dice l’amica
peruviana Rosario: «Non sono gli altri a trattarmi da straniera: sono io
che ho attraversato troppi luoghi e troppe tribù, per poter scegliere
di appartenere a una sola».
Chiara Ingrao,
nata nel 1949, è sposata con Paolo Franco e ha due figlie, due
figliocci, e tre nipoti. Attualmente è impegnata a tempo pieno come
scrittrice e animatrice culturale, con particolare interesse per il
lavoro nelle scuole. Le sue precedenti esperienze di lavoro sono
molteplici, così come quelle politiche e sociali.
Dopo il
coinvolgimento nel movimento studentesco del ’68, dal 1973 al 1978 è
stata funzionaria a tempo pieno del sindacato metalmeccanici, e dal 1978
al 1980 dei chimici. A partire dagli anni ’70 ha anche partecipato
attivamente al movimento femminista, e dal 1976 in poi è stata una delle
promotrici dei nuovi coordinamenti donne del sindacato. Queste
esperienze sono fonte del suo romanzo del 2009, Dita di dama.
Nel
1980 lascia il sindacato e inizia la sua attività professionale di
traduttrice e interprete di conferenza, che continuerà fino al 2009. Dal
1980 al 1983 è stata anche programmista-regista dei programmi
radiofonici per le donne, “Noi Voi Loro Donna” e “Ora D”, presso la RAI.
L’impegno
nel movimento pacifista ha inizio negli anni ’80, nella stagione di
lotte contro gli euromissili e nel coordinamento europeo “European
Nuclear Disarmament”. Nel 1984 è tra le fondatrici del gruppo “10
marzo”, impegnato nella ricerca sul rapporto femminismo-pacifismo: il
gruppo è uno dei primi promotori della collaborazione con le dissidenti
dei paesi dell’allora Patto di Varsavia.
Dal 1987 al 1992 è
portavoce nazionale dell’Associazione per la pace, insieme a Flavio
Lotti. In questa veste, nel 1988 è stata una delle coordinatrici
italiane degli incontri fra donne italiane, palestinesi e israeliane a
Gerusalemme. Nel 1989, con Tom Benetollo, è uno dei quattro coordinatori
europei dell’iniziativa per la pace in Medio Oriente, "1990: Time for
Peace", che ha visto per la prima volta insieme pacifisti israeliani e
palestinesi, insieme a più di 1000 europei, in decine di incontri e in
una catena umana attorno alle mura di Gerusalemme. Nel 1990 è stata uno
dei 6 pacifisti italiani la cui missione di pace a Baghdad ha ottenuto
il rilascio di 70 ostaggi italiani, e in seguito si è impegnata
attivamente nel movimento contro la guerra in Iraq. Queste esperienze
sono raccontate nel libro Salaam Shalom – Diario da Gerusalemme, Baghdad e altri conflitti, scaricabile da questo sito.
Nel 1992 viene eletta in Parlamento, dove rimane fino al 1994 . In quegli anni si impegna anche attivamente nel
movimento per la pace nei Balcani, ed è tra i promotori del Tavolo di
Coordinamento istituito presso la Presidenza del Consiglio fra autorità
governative, parlamentari, organismi internazionali e volontariato, per
gestire gli aiuti alle popolazioni della ex-Jugoslavia. Proprio dalla
“indicibilità” della guerra nei Balcani nasce la spinta a scrivere il
suo primo romanzo, Il resto è silenzio, uscito nel 2007 e tradotto in bosniaco dal Centro per la pace di Sarajevo, dove è stato presentato nel 2008.
Dal
1997 al 2001 è stata consulente internazionale del Dipartimento per le
pari opportunità e membro del Comitato interministeriale per i diritti
umani, rappresentando l’Italia in numerose sedi istituzionali e
iniziative sui diritti delle donne, a livello sia delle Nazioni Unite
che dell’Unione Europea.
Nel 2001-2002 ha curato per Aidos
(Associazione italiana donne per lo sviluppo) un’antologia e un sito web
sui diritti umani delle donne: http://dirittiumani.donne.aidos.it.
Negli
anni seguenti prosegue l’impegno sul tema dei diritti umani, nel
movimento delle donne e in quello contro il razzismo e per i diritti
dei/delle migranti.
Nel 2003, dopo la morte della madre, Laura
Lombardo Radice, inizia a raccoglierne gli scritti, e sorge il bisogno
di raccontarne le vicende: ne nasce un libro, Soltanto una vita, ripubblicato nel 2016 con l'aggiunta di lettere inedite scritte da Pietro Ingrao alla futura moglie negli anni '40.
Nel 2014 il libro per ragazzi/e Habiba la Magica, storia
di una bambina afro-italiana di Roma: il libro è giunto ormai alla sua
sesta edizione, ed è divenuto strumento di educazione interculturale e
alfabetizzazione emotiva per migliaia di ragazzi delle scuole di tutta
Italia (vedi alla pagina "Scuole" di questo sito per saperne di più).
Sempre per bambini e bambine, nel 2018, le filastrocche di Mal di paura,
che mettono a confronto le più comuni paure dei bambini con quelle ben
più pericolose degli adulti (le rapine, gli stranieri, le infezioni...)
Nel 2019
l'autrice torna alla narrativa per adulti, con una romanzo basato su una
storia vera, che copre un arco di 50 anni, dall'Italia degli emigranti a
quella degli immigrati: Migrante per sempre.
«Nel romanzo di Veronica Tomassini, Mazzarrona, diversamente
dall’attuale pullulare di una letteratura d’evasione, l’autrice racconta
sul filo del ricordo, con nobile e profonda passione, governata
peraltro da un sapiente controllo della scrittura, le vicende,
ambientate nell’estrema e degradata periferia di Siracusa (una realtà di
falansteri e baracche ed amianto), di un mondo di giovani emarginati e
drogati con poca o nessuna speranza di sopravvivere. La sua
protagonista, una ragazza piccolo-borghese estranea a quel mondo ma
insieme emotivamente coinvolta, cerca lì invano un affetto e un amore
stabili, ma il ricordo di quei momenti di candore e di strazio è
destinato a rimanere per sempre.»
Veronica Tomassini è siciliana, ma di origine umbre, e lei molto
puntigliosamente tiene a precisarlo. Giornalista, ama le ambientazioni
suburbane, gli outsider, gli immigrati, gli sfrattati ad oltranza dal
sentire borghese. Ama i perdenti perché neanche lei ha vinto mai
qualcosa, nella vita in generale. Scrive sul Quotidiano La Sicilia dal
1996. Il suo primo romanzo è Sangue di cane (Laurana, 2010).
«Le parole sono quelle giuste, non una di più. Le frasi sono pulite,
ma idonee per trasmettere una forte intensità emotiva. La scrittura di
Emanuele Altissimo, contemporaneamente agile e sostanziosa, fa scivolare
il lettore tra il dolore e la follia, tra la capacità di affrontare la
vita e l’incapacità dei protagonisti di “Luce rubata al giorno” di darle
un senso. Il punto di partenza della sofferenza e quindi del racconto è
subito chiaro: il doppio lutto di due fratelli di 13 e 21 anni, che
hanno perso il padre e la madre in un incidente stradale e vivono con il
nonno. Eppure non si sa mai cosa sta per accadere ovvero dove l’autore
sta portando. Né ci si accorge che dietro la storia c’è l’autore, che
firma la sua opera prima rivelatrice di un talento narrativo senza
dubbio meritevole.»
Emanuele Altissimo è nato nel 1987 a Torino, dove si è laureato con una
tesi su David Foster Wallace e ha frequentato la Scuola Holden.
Ha cominciato a scrivere sull’Olivetti Lettera 22 del nonno e da allora non ha mai smesso. Al liceo divorava i libri di Wodehouse, ma non è mai diventato uno scrittore umoristico. Il suo romanzo d'esordio, Luce Rubata al Giorno, è uscito per Bompiani a gennaio 2019.
Ha cominciato a scrivere sull’Olivetti Lettera 22 del nonno e da allora non ha mai smesso. Al liceo divorava i libri di Wodehouse, ma non è mai diventato uno scrittore umoristico. Il suo romanzo d'esordio, Luce Rubata al Giorno, è uscito per Bompiani a gennaio 2019.
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