Un racconto breve dedicato alla resilienza. Buona lettura.
Il volo dell’aquila
Il movimento è essenziale, l’universo stesso è
un’esplosione in costante espansione; la materia, la vita è in continuo
mutamento. Il calore è prodotto dalle vibrazioni delle molecole; i cadaveri
sono freddi.
Un lungo cammino inizia da un primo piccolo passo
recita l’adagio, vincere l’immobilismo è quindi il principio. Lara ne è
consapevole, è abbastanza intelligente da capire che nessuno recapita a
domicilio successi ed esperienze. Sa che la vita, quella vera, pullula al di
fuori delle solide mura domestiche. Ogni giorno il fato getta nell’aria i semi
delle opportunità; a volte granelli minuscoli, quasi impercettibili, ma se
afferrati e adagiati su di un semenzaio fertile, germoglieranno radicandosi nel
terreno. Saranno, tuttavia, le cure riservategli a permettere alla pianta di
dare frutti.
Lara, però, teme il mondo, anche se odia la vita che
conduce; un bruco che desidera farsi farfalla, ma prova terrore al pensiero di
rompere il bozzolo dove si è rifugiata. Un guscio che la ripara, ma non le
permette più di respirare. Le pareti di casa sembrano stringersi come l’interno
di palloncino che va sgonfiandosi. Il sofà non è più placebo, ora le rimane
soltanto il letto: quell’istante in cui, spegnendo la luce, tutto svanisce
lasciando la sola sensazione di lenzuola pulite e tepore. Un battito di ciglia
che la riconcilia con il vivere. Più duraturo, invece, un bel bagno caldo:
immergersi nel surrogato del liquido amniotico, rievocando il battito
materno.
Immersa nell’acqua ne assorbe il calore, ascoltando
il ritmico gocciolio del rubinetto. Inspira
profondamente lasciandosi pervadere dal profumo di mandorla del bagnoschiuma.
Lo stato d’ansia pare assopirsi, i pensieri stemperarsi nel vapore che aleggia
nell’aria, smorzando la cognizione del tempo. Sgravata dal peso corporeo resta
immersa finché le dita avvizziscono.
Sedutasi
sul bordo della vasca si stringe nell’accappatoio; una goccia, addensandosi,
scivola verso il basso percorrendo lo specchio appannato. Non sopporta la
visione opaca, l’immagine sfocata che vi si riflette. Presa una salvietta
asciuga la superficie spaventandosi del proprio pallore; gli occhi rifuggono la
realtà, cercando l’unico elemento del corpo accettato: i lunghi capelli ricci.
Sfilandosi
l’accappatoio si volta mettendosi di profilo, non sopporta la vista frontale; eppure,
gli occhi non si staccano dal riflesso, lo sguardo scivola via dai capelli,
sfiorando il collo segue la sinuosità della spalla soffermandosi sulla scapola.
«Cos’è
questa?» chiese un giorno, ancora bambina, alla madre.
«Questa?»
rispose la donna, sfiorando la lieve protuberanza che la bimba indicava
contorcendo il braccio.
È
l’attaccatura per le ali» rispose la donna.
«Ali?»
«Sì,
le ali. Se avrai coraggio e crederai in te stessa, un giorno avrai delle ali
con cui volare.»
«Perché
tu non le hai? E nemmeno papà?»
«Tutti
le abbiamo, ma non sono visibili. Le mie, ad esempio, mi hanno permesso di
raggiungere la vetta più alta del mondo.»
«Sei
stata sull’Everest?» chiese sbalordita.
«Molto
più su.»
«Ma
è l’Everest il monte più alto» ribadì la bimba.
«Da
dove ero io, L’Everest pareva una piccola cunetta.»
«Mi
prendi in giro» ribatté la piccola, imbronciata.
«Quando
sei nata tu» spiegò la madre, «ho raggiunto il punto più alto del cielo: il
culmine della felicità. E sono state le ali, che mi sono costruita, a portarmi
fin lassù. Ali tessute di sogni, ma soprattutto fatica e amore.»
«Anch’io
avrò delle ali?» chiese la bimba, perplessa.
«Certo.
Ma non basta avere delle ali, anche la gallina le ha, ma non può che fare dei
piccoli balzi. Per imparare a volare occorre credere in sé stessi e non
perdersi mai d’animo. Tentare e ritentare, e ogni volta che si precipita a
terra rialzarsi per riprendere il volo. E se vuoi librarti in alto come
l’aquila, devi farti delle ali grandi e potenti come le sue, con sacrificio e
volontà, perché, l’aquila, per spiccare il volo ha bisogno di spazio e forza.»
Lara
ripensa a quella vita, così diversa e lontana nel tempo da sentirsi la
protagonista di due film diametralmente opposti.
Aveva
provato a volare, ma le sue ali erano delicate e, come Icaro, avvicinatasi
troppo al sole si erano bruciate: l’uomo che avrebbe dovuta proteggerla ne
aveva sbiadito ogni splendore, riducendola a dolore. Una storia lunga, dal
finale liberatorio, ma è difficile cancellare il passato che, se non
immunizzato, diviene un vortice di depressione.
Ora,
seppur libera, prova il peso della solitudine, un senso che, come un vuoto
d’aria, toglie portanza alle ali facendola precipitare. La terapeuta le ha
fornito un paracadute, certo, ma questo rallenta solamente la discesa. È
consapevole del compito che l’attende: saper attutire il contatto con il suolo,
riprendere fiato e, spiegando le ali, riprendere il volo. Ma avere i piedi per
terra la disarma: uscire da casa, lasciare il sofà per affrontare nuovamente il
mondo le incute una paura folle. Come potrà ritrovare la fiducia verso
l’umanità? Abbandonarsi a un altro uomo o confidarsi con delle donne che,
svestiti i panni dell’amicizia, le hanno voltato le spalle? Ritrovare quel
senso di protezione tradito da chi, sminuendo, non ha teso la mano a trarla
dalle spire del mostro?
Non sopporta più, tuttavia, la solitudine; la bolla
in cui si è rifugiata sa di stantio. Sente il bisogno di spazi aperti, di
socialità, anche se il solo pensiero le mette i brividi. Per mesi è stata una
mosca che, attratta dalla luce, batteva continuamente la testa sul vetro,
quella barriera interposta fra lei e la vita. Ora è il tempo di spalancare la
finestra e librarsi nell’aria.
Trema come una foglia dinanzi all’uscio di casa,
l’uscita non ha come meta il rassicurante studio della terapia, è un volo senza
paracadute, senza destinazione prefissata se non tornare a vivere. Nessun
attacco di panico, ma l’ansia d’incappare in un nuovo mostro, l’ennesima
delusione.
Gira la maniglia scostando di poco l’uscio, con il
rumore della città entra un refolo d’aria. Inspira profondamente controllando
un principio di vertigini. Il bagaglio del passato, che non potrà mai
abbandonare, non le schiaccia più le spalle. Si sente vestita, protetta dagli
sguardi della gente. Lei è la vittima non la colpevole, ha il diritto di
pretendere nuovamente la felicità, ha le forze per ritrovare sé stessa. Vuole
tornare a volare come sua madre, regale come un’aquila, ma come tale necessita
di un potente slancio per decollare, di spazio e coraggio.
Scende gli scalini senza aggrapparsi al corrimano,
la fronte alta, il passo deciso. Si sofferma sul marciapiede, osserva la gente
che cammina spedita verso i propri obiettivi. Inspira nuovamente e, puntando
verso il proprio, spicca il volo.
Racconto edito di Pierangelo Colombo, classificatosi terzo nel Premio Città di Verona.
Condividete pure, ma non scordatevi di citare l'autore. 😀
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