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venerdì 8 giugno 2018

Lectio magistralis; angoscia


Angoscia dal latino angustia “passaggio stretto” e in senso figurato “difficoltà”. Derivato da angere (stringere) da cui l’italiano “angoscia”.
L’angoscia è uno stato di malessere fisico e morale caratterizzato da un senso di pericolo incombente sconosciuto e irreparabile. Essa si distingue dalla paura, che è giustificata perché indotta dalla consapevolezza di un pericolo determinato e oggettivo, e dall’ansia, legata a rappresentazioni mentali e fantasie ossessive.
L’angoscia è uno stato psichico cui tutti, chi più chi meno, è capitato di vivere. Per questo abbiamo deciso di dedicare una serie di meditazioni, curate dal reverendo don Carlo Colombo, che pubblicheremo in una rubrica settimanale: Lectio magistralis; angoscia, infatti, nasce con il proposito di fornire motivi di riflessione, dibattito e spunto per approfondire. Una meditazione a tutto campo appunto, dove si tratterà il sintomo sotto il punto di vista psicologico, sociologico e anche di fede.


 

ANGOSCE FONDAMENTALI

ANGOSCE E LORO FONTE


Viviamo in un tempo in cui le persone sono portate ad annegare la propria identità, passando da un’ansia all’altra, quasi fossero delle barche che per scendere la corrente di un fiume sono obbligate a passare da una rapida all’altra.
Solo quando avremo un quadro chiaro delle angosce fondamentali che, in un modo o nell’altro, agitano la nostra vita, anche se hanno un loro volto di complessità, potremo individuare le strade da percorrere per superarle, così che le finalità che ci siamo proposti con questo metodo educativo non abbiano ad essere illusorie. Tutti infatti vorremmo raggiungere quella maturità che ci fa gustare la vita, così come si gusta un frutto saporito che è giunto alla sua giusta maturazione.
Inoltre faremmo un discorso incompleto, se ci fermassimo alle angosce e non cercassimo di vedere il collegamento tra la maturazione e la recezione del proprio ruolo sessuale.
Procedendo nella nostra ricerca potremo toccare con mano l’importanza anche di questo argomento, in quanto solo dalla recezione del proprio ruolo sessuale si prende consapevolezza della propria identità e, di conseguenza, si possono avere ed usare gli strumenti per raggiungere la propria maturità umano-cristiana.
La fonte ultima ed unica delle nostre angosce è il peccato, in quanto ha rotto la nostra unità e ci rende più difficile l’uso coordinato di tutte le nostre facoltà, chiudendoci nel nostro egocentrismo che ci fa regredire alla nostra infanzia.
Non per nulla la prima conseguenza del peccato è la morte con la sua relativa angoscia; inoltre il peccato ha portato l’uomo a fare l’esperienza della sua inadeguatezza di fronte alla realtà: l’unica creatura nuda e senza difese contro il mondo nemico; da qui prende consistenza l’angoscia di castrazione o di impotenza.
Ed infine l’angoscia di solitudine che inizia con Adamo dal momento in cui Eva non è più carne della sua carne e osso delle sue ossa, ma semplicemente quella donna che Dio gli ha messo al fianco, e da Adamo lentamente questa angoscia si è diffusa a tutta l’umanità passando per la torre di Babele.
Ne segue che il primo sforzo da farsi è quello di toglierci dal peccato.

ANGOSCE: FASI DI MATURAZIONE


A questo punto penso sia utile vedere il legame tra le fasi di maturazione del bambino e il sorgere delle angosce, quando la medesima fase viene vissuta come fonte di ansia acuta.
Nella fase orale il bambino ha un legame di simbiosi con la madre, per cui, tutte le volte che questa si allontana, il bambino piomba nel non-essere, in quanto la sua identità è legata a quella della madre, nello stesso tempo, vive l’allontanamento della madre come una perdita.
Se la madre non è attenta ad educare il figlio a sentire la sua presenza anche quando è lontana fisicamente, il bambino cade nell’angoscia di morte.
Nella fase anale il bambino, attraverso il controllo degli sfinteri, inizia una comunicazione attiva con la madre, alla quale dona le proprie feci in quanto sono una parte di lui.
Se la madre non sa valorizzare questi segni di comunicazione, il bambino progressivamente si chiude in se stesso, convinto che gli altri non potranno capirlo, per il fatto che non è riuscito a farsi capire dalla persona che gli era vicina e avrebbe dovuto cogliere i suoi messaggi; da qui nasce l’angoscia di incomunicabilità o di solitudine.
Nella fase fallica il bambino raggiunge il momento apice in cui scopre il suo corpo con le proprie funzioni e le sue capacità e ne è orgoglioso.
Se i genitori, coi loro continui interventi, lo fanno sentire un impotente perché lo convincono coi loro atteggiamenti o con le loro parole che non è capace di far nulla, incomincia a sorgere ed a rafforzarsi l’angoscia di castrazione o di impotenza.
Noi sappiamo molto bene che ogni angoscia tende a fare regredire allo stadio precedente l’angoscia stessa con tutti i problemi che vi sono collegati; per cui l’angoscia di morte riporta all’utero materno col rischio di cadere nella paranoia; l’angoscia di solitudine riporta allo stadio orale col rischio della schizofrenia, in quanto nella simbiosi di due personalità il soggetto non sa più quale scegliere; l’angoscia di castrazione riporta allo stadio anale col rischio della nevrosi.
Ritorneremo su questi temi per poter farci un’idea organica degli strumenti che possiamo avere a disposizione per uscire dalle situazioni di angoscia.

ANGOSCE: IO E GLI STRUMENTI

 Il primo impegno per una reale terapia delle nostre angosce consista nella partecipazione alle celebrazioni liturgiche, nella meditazione, direzione spirituale e partecipazione alla vita dell’oratorio. Perché solo così riviviamo i doni che Dio continuamente ci dà, in modo da infondere senso e valore alla nostra esistenza, per cui vale la pena di buttarci dentro con tutto il nostro entusiasmo. Vorrei sottolineare come questi impegni non possano rimanere teoria, se vogliamo uscire dalle nostre angosce per costruirci una vita che sia pienamente umano-cristiana.
Il metodo educativo che proponiamo ci porta a farci un chiaro concetto di noi stessi e del nostro rapporto con la realtà, così da riscoprire la profonda unità corpo-psiche-spirito. A questo punto possiamo dire che le angosce sono state vinte e la vita prende il sopravvento, in quanto l’unità delle nostre facoltà presuppone ed esige l’unità dei meccanismi psichici fondamentali e quindi l’orientamento di tutta la persona verso un unico fine che è la propria realizzazione nella pienezza della vita.


ANGOSCIA ESISTENZIALE

Vorrei concludere queste riflessioni, accennando all’angoscia esistenziale. Nella sua forma grave esce dal tema che stiamo trattando, in quanto si esprime con l’autismo e la depressione nella loro forma clinica, per cui non le incontriamo nel nostro impegno educativo. Nelle forme leggere si presenta un po’ come la fusione di tutte le angosce di cui abbiamo parlato. È il risultato della regressione all’utero materno, quasi che il soggetto rifiuti l’esistenza così come si presenta oggi. Questa angoscia si esprime come un no alla vita, alla società, alla cultura, quasi la persona abbia a dire: l’esistenza, così come si presente ora per me è solo un peso, per cui ne faccio a meno.
Questa angoscia porta all’apatia, in quanto ogni sentimento è vissuto come una sofferenza, all’abulia in quanto ogni scelta è vissuta come un peso. Chi soffre di questa angoscia cerca l’immobilità, come se fosse posto in un frizer; ogni movimento indica vita e perciò fa scatenare l’angoscia. I ragazzi che hanno angoscia danno l’impressione di essere dei pigri, invece sono solo dei rigidi che evitano ogni cambiamento, perché cambiare significa soffrire.
Tutto ciò ci porta ad intuire il trauma della prima infanzia, in cui il bambino ha vissuto ogni modifica della sua vita come perdita e disagio. Per lui l’unico luogo e l’unico tempo in cui stava bene era l’utero materno, per cui la sua nostalgia lo porta a quello stato; dico nostalgia in quanto non si sforza neppure di regredire.
Comprendiamo subito come non sia un caso facile da seguire, eppure guai se lo estraniamo dall’ambiente dei compagni, anche se chi vive questa angoscia già tende a farlo. L’unico antidoto è un amore paziente che continuamente lo accetta così come è per inserirlo nel proprio ambiente, senza creare attriti e tensioni per il fatto che continuamente tende ad estraniarsi.
Mentre l’educatore conduce avanti questo lavoro paziente, deve essere attento a rilevare anche il più piccolo segno di vita per far leva così da mostrare al soggetto uno spiraglio di luce. L’atteggiamento dell’educatore deve essere di colui che non si lascia prendere dallo scoraggiamento anche quando non vede i frutti, e di chi non ha fretta. L’apertura dello spiraglio non dipende solo dall’educatore, ma anche da un complesso di fatti che possono creare una speranza che si contrapponga all’angoscia.

ANGOSCIA DI COLPA

Prima di concludere questa riflessione, vorrei fermare la vostra attenzione sull’angoscia di colpa, a cui già abbiamo accennato in questa ricerca.
In primo luogo l’angoscia di colpa non ha niente a che fare con la colpa morale.
La colpa morale è la conseguenza di una libera e consapevole scelta contro la volontà di Dio, per cui può essere tolta solo in un rapporto con Dio per mezzo della liturgia della riconciliazione o confessione; o se la colpa non è grave per mezzo di tutte le altre celebrazioni liturgiche.
La colpa morale ha come caratteristica il fatto di non dare alcuna sensazione: non si prova niente!
Non deve meravigliarci questa affermazione, perché stiamo parlando di un fatto che va oltre la nostra razionalità e tocca le radici stesse della nostra vita, cioè quel nucleo del nostro essere in cui i nostri meccanismi psichici fondamentali entrano in contatto con lo Spirito che li fa muovere coi suoi doni.
L’angoscia di colpa invece è il frutto della condensazione dei sensi di colpa che nascono ogni volta che il nostro comportamento è difforme dalle imposizioni del super-Io o delle norme che sono l’espressione delle esigenze intrinseche della persona e della cultura in cui la persona vive.
L’angoscia di colpa si riflette sempre nella nostra struttura fisica, creando delle sensazioni spiacevoli a cui rispondiamo con delle compensazioni di autopunizione.
L’angoscia di colpa ha come caratteristica il fatto di non conoscere perdono, ma esige sempre e solo punizione, che non è mai proporzionata al fatto commesso, ma all’intensità dell’angoscia.

ANGOSCIA E CONSIGLI EVANGELICI


Vogliamo proporre una scaletta che può essere sviluppata secondo l’età e la preparazione dei ragazzi per mettere in evidenza l’importanza dei consigli evangelici per la nostra vita e il loro profondo legame con le virtù teologali.
Possiamo partire con una breve illustrazione delle tre angosce fondamentali che sono in ciascuna persona come conseguenza del peccato.
Angoscia di morte, di solitudine, di castrazione (su tale argomento il catechista trova una lunga esposizione nella parte pratica dello scritto "Per un uomo nuovo").
È importante chiarire il legame tra il peccato e tali angosce per poter far capire al ragazzo come il peccato sia la negazione della vita nel senso più radicale e assoluto, per cui la morte non è un castigo di Dio, ma la inevitabile conseguenza del peccato.
Ne segue che l’affermazione della Bibbia: "Finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!" (Gn 3,19) è una presa d’atto di un fatto conseguente alla scelta fatta da parte dell’uomo.
Si passa a vedere come si possano superare queste angosce, mettendo in evidenza i suggerimenti di Gesù attraverso i consigli evangelici di povertà, ubbidienza e castità.
I consigli evangelici affondano le proprie motivazioni nel nostro rapporto con le tre persone della santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo, in quanto il Padre è il povero perché non tiene nulla per sé ma dà tutto al Figlio; il Figlio è l’ubbidiente in quanto si incarna per fare la volontà del Padre; e lo Spirito è il casto in quanto è dono gratuito totale, che ha la funzione di portare al Padre per mezzo del Figlio, per cui non tiene legato nessuno a sé.
Il catechista, usando anche esempi, deve svolgere questa esposizione che noi abbiamo presentato in modo schematico e sintetico.
Tuttavia sarà utile che tenga presente la necessità di instaurare personalmente un rapporto con le Persone della Santissima Trinità in base a questi concetti fondamentali. Non è un lavoro facile, per cui potrebbe trovare un aiuto in un libretto scritto da Antonio Rosmini intitolato "Le Massime di perfezione cristiana".
Solo quando queste idee si sono trasformate in convinzioni e sono diventate il suo stile di vita, il catechista potrà condurre i ragazzi a fare con frutto queste riflessioni.

 

ANGOSCIA DI MORTE

 

Dopo aver fatto un discorso generale, penso sia utile soffermarci sulle tre angosce fondamentali, per fare un discorso più specifico così da avere una maggior chiarezza di idee e tracciare le strade da percorrere per poterne uscire. Siamo di fronte ad un argomento complesso in quanto le angosce fondamentali non vanno mai sole, ma si legano, si fondono, con sempre nuovi volti. Ne segue la necessità di vederle nella dinamica della vita, per cui oltre le angosce singole cercheremo di vederle nella complessità dei loro rapporti. Non possiamo dimenticare che solo chi ha scoperto in se stesso quali sono i sintomi dell’angoscia e quali possano essere gli strumenti per vincerla e ha fatto l’esperienza su se stesso del valore di questi strumenti, può essere di aiuto per coloro che, afflitti da questo male, ne vogliono uscire. Ciò è dovuto al fatto che le angosce vengono prima della nostra facoltà razionale e fanno parte dell’esperienza di vita, una esperienza monca, in quanto non è passata dalle sensazioni ai sentimenti, perciò solo attraverso l’esperienza si arriva alla consapevolezza e alla scoperta dei mezzi per eliminarle.
Vediamo innanzitutto l’angoscia di morte. Quando il bambino è molto piccolo non ha ancora gli strumenti per passare dalle sensazioni ai sentimenti. Infatti questo passaggio è frutto dell’esperienza che può iniziare prestissimo nella vita, se il bambino ha vicino a sé delle figure che per lui sono importanti e lo aiutano coi loro atteggiamenti, soprattutto con le parole, ad interiorizzare le proprie sensazioni così da poter appropriarsene. Ora noi sappiamo che le sensazioni sono effimere e scompaiono con l’allontanarsi della causa, ne segue che, le persone o le cose ritenute importanti per la propria vita, quando scompaiono dai sensi del bambino, vengono vissute come ricadute nel nulla; il bambino vive questo allontanamento come se fosse una perdita, in quanto l’esperienza del ritorno richiede una memorizzazione dell’esperienza precedente e un collegamento con l’esperienza seguente; questo collegamento è dato dall’attesa che presuppone una interiorizzazione della esperienza precedente ed una sua progressiva trasformazione in sentimento; mancando tutto ciò, il bambino vive solo la perdita e ogni perdita è sentita come morte; da qui l’angoscia di morte. Il bambino stesso col suo linguaggio primitivo esprime questa sensazione, dicendo che quel determinato oggetto, o quella persona non ci sono più. Infatti il primo concetto fondamentale di morte nasce dalla sensazione di una partenza senza ritorno che produce un vuoto che viene vissuto come insicurezza, perciò come fonte di ansia. Ciò avviene tutte le volte che una persona o un oggetto importante per il bambino, in quanto gli produce un’immediata soddisfazione, si allontanano da lui. Inoltre l’angoscia di morte affonda le proprie radici nell’immaginario collettivo che legge come morte il distacco di una persona; il linguaggio stesso chiarisce questo concetto con un’affermazione lapidaria nei confronti di una persona con la quale per gravi motivi si sono interrotti i rapporti umani: “Quella persona per me è morta!”.
Inoltre, man mano il bambino cresce, vive anche l’esperienza della spaccatura in se stesso, che nasce dal contrasto di due desideri tra loro incompatibili, oppure dal rifiuto del cambiamento prodotto dal passar del tempo e dalle modificazioni prodotte dalle continue esperienze vissute, e noi sappiamo che ogni spaccatura è segno di morte e perciò causa l’angoscia di morte. Possiamo dire che ciascuno di noi vive questa tensione, teorizzata dall’antica filosofia greca, tra l’essere e il divenire; mentre l’essere è una esperienza più o meno gratificante a cui ci si adatta, il divenire è una incognita che crea sempre ansia, per cui si cerca di evitarlo, vivendo il presente senza alcuna proiezione nel futuro. Questa tensione, in seguito alle esperienze vissute, spesso degenera da ansia in angoscia. A questo riguardo sarà utile tener presente che nei primi tempi della sua vita il bambino vive uno stato di simbiosi con la madre, per cui il suo allontanamento è vissuto come una spaccatura che comporta la perdita della propria identità, quasi il bambino avesse a concludere: io non sono nessuno, perciò non esisto. Se viene a mancare un’adeguata educazione, ogni cambiamento è vissuto come una perdita di una situazione gratificante di sicurezza e come proiezione nell’insicurezza di un futuro che porta solo ansia. Questa spaccatura spesso si esprime come schizofrenia, che assume anche il volto di meccanismo di difesa contro la pressione che l’angoscia di morte crea nella persona. Passiamo dalla spaccatura causa dell’angoscia alla spaccatura difesa dall’angoscia; questo meccanismo viene usato spesso quando ci si trova di fronte ad angosce gravi, viene chiamata identificazione con l’aggressore. Si forma così una spirale che fissa la situazione al punto da renderla irreversibile. L’educatore deve usare tutti gli strumenti che sono a sua disposizione perché le persone a lui affidate non giungano a questo punto di non-ritorno, in quanto col passar del tempo gli schemi mentali hanno prodotto i moduli cerebrali e, quando interviene lo psichiatra non ha che lavorare su questi, usando i farmaci in dosi sempre più massicce perché l’organismo tende ad assuefarsi. I primi che devono educare il bambino a non cadere in angoscia di morte sono i genitori, i quali devono saper recuperare quegli strumenti che una cultura materialista e unilaterale ha tolto, in quanto in contrasto coi suoi ristretti schemi di vita. Da qui l’esigenza che i genitori chiedano il Battesimo per i loro figli solo quando sono convinti degli effetti che produce nella loro vita. Il genitore sa che il figlio battezzato non è mai solo per il fatto che in lui è lo Spirito di Cristo e che in lui abitano le persone della Santissima Trinità. inoltre i genitori sanno che vicino a loro figlio c’è un angelo custode posto dalla provvidenza del Padre. Invece che adornare la culla o la carrozzina del figlio di giochi inutili, o peggio di pupazzi mostruosi, mettano i segni di queste presenze ed educhino progressivamente il figlio a sentirle. Quando il figlio comincerà a frequentare l’oratorio, sarà facile per gli educatori continuare questo discorso di presenze.
L’angoscia di morte si forma e si aggrava per il fatto che, non realizzandosi il passaggio dalle sensazioni ai sentimenti, non può crearsi l’unità bello-vero. A questo punto è utile richiamare alla nostra memoria tutto il discorso che abbiamo fatto nella parte teorica del metodo educativo in cui abbiamo illustrato il passaggio dalle sensazioni ai sentimenti. Dall’unità bello-vero segue spontaneamente anche il buono. Nell’unità delle caratteristiche dell’essere sta il superamento dell’angoscia di morte, in quanto sono il segno della vita.
Ora mi sembra utile fare il punto su alcuni atteggiamenti dei genitori, che vengono vissuti come perdita, quali l’allontanamento senza che il figlio sia preparato, o il non sostituire da parte dei genitori la presenza visiva con la presenza uditiva. Infatti, la madre, spesso occupata in mille mestieri, quando il bambino è tranquillo, non sente il bisogno di far sentire la propria presenza e questo anche perché, presupponendo da parte di tutti che basta sposarsi per saper essere genitori, non si educano a rispondere alle esigenze più profonde dei propri figli. È vero che il bambino dorme, ma non fa solo questo, anzi man mano cresce aumentano i tempi in cui è sveglio e, per poter star bene con se stesso, ha bisogno della sicurezza che gli deriva dalla presenza della mamma: a questo deve essere educato. Venendo meno tale presenza, il bambino cade nell’angoscia, in quanto si sente disorientato, in balia di forze che lui non riesce a controllare.
Inoltre non possiamo dimenticare che la persona ha una dimensione sociale che può essere alterata dall’angoscia di morte. Il peccato, distruggendo la comunità, ha distrutto l’uomo; san Paolo lo dirà con una parola forte: col peccato la morte è entrata nel mondo e tutti ne sono soggetti. Questi fatti portano a vedere nell’altro un nemico o un competitore; in ambo i casi si crea un legame tra angoscia di morte, angoscia di solitudine e angoscia di castrazione. La dimensione sociale infatti ha delle espressioni complesse che, quando vengono meno, portano ad un accavallarsi di angosce. Per comprendere meglio questo discorso possiamo pensare a quelle persone che, per diversi motivi, vengono rifiutate dal proprio ambiente sociale; in questo caso anche il linguaggio è chiaro nel proprio messaggio, parlando di morte sociale.
Per comprendere come nasca questa angoscia di morte, è necessario che abbiamo a vedere il peccato come esperienza di perdita, nel senso che col peccato l’uomo ha perso la propria donna; dato che l’uomo è stato creato maschio e femmina, perdendo la donna, ha perso pure la propria identità; e la coppia ha perso l’amicizia con Dio; inoltre ha perso definitivamente il giardino dell’Eden la cui entrata è preclusa dal cherubino con la spada di fuoco. Tutte queste perdite si riassumono nel concetto di morte. Da qui l’angoscia di morte che prende l’uomo come tale e perciò anche nella sua struttura sociale. Il racconto biblico assume anche un significato simbolico per ciascuno di noi e ci può indicare la strada che il nostro inconscio percorre tutte le volte che assumiamo atteggiamenti difformi alle norme o alle esigenze del super-Io: il senso di colpa ci porta a perdere la persona per noi importante e significante, ci fa perdere il punto di riferimento da cui attingiamo la sicurezza e la chiarezza della nostra identità, e infine ci fa perdere la gioia del caldo nido che ci era donato da queste persone. Una perdita vissuta come definitiva, in quanto i sensi di colpa non ammettono perdono, ma conoscono solo la punizione. Questo continuo annodarsi del fatto morale col fatto psichico si prolunga nella vita, diventando causa di una sempre più diffusa e radicata angoscia che colora l’identità della persona, a meno che non intervenga un serio metodo educativo che stacchi il fatto morale dal fatto psichico e che li risolva ciascuno nel proprio campo, usando gli strumenti adeguati. Infatti sappiamo che, risolvendo il fatto morale, togliamo il terreno su cui prolifica il senso di colpa psichico e perciò impediamo di cadere nell’angoscia di morte. La consapevolezza che il Dio Padre di Gesù Cristo è più forte della colpa e continua ad amarci anche quando noi facciamo i capricci, ci difende da ogni atteggiamento di disperazione. Usando un linguaggio figurato, ma anche molto forte, possiamo dire che, anche quando noi usciamo di casa sbattendo la porta, questa porta rimane sempre aperta, per cui possiamo rientrare in casa. Ciò non è una nostra illusione, ma è parte integrante del concetto stesso di Dio che Gesù ci ha illustrato con la parabola del Padre che accoglie di nuovo il figlio dopo che se ne era andato da casa per spendere tutti i propri averi con le prostitute (cfr Lc 15,11-32).
Perciò non deve meravigliare se continuamente ricordiamo che la religione è un fattore essenziale senza il quale non può essere concepita la vita umana, in modo particolare per noi cristiani, in quanto col Battesimo siamo nati ad una nuova vita e, solo portando alla sua pienezza questa vita, potremo evitare l’angoscia di morte, perché chi crede in Gesù non vedrà mai la morte. Così afferma il Vangelo secondo Giovanni: “- E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna -. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,14-16).
Ancora una volta possiamo toccare con mano come il cristianesimo con gli strumenti che ci fornisce ci dà la possibilità di uscire dalle nostre angosce, in modo particolare dall’angoscia di morte. Ci viene ripetuto per mezzo di san Paolo che, per il fatto che Cristo è risorto, anche noi risorgeremo. Qui possiamo rilevare una carenza nel nostro modo di educare: troppo spesso ignoriamo il fatto della risurrezione che dovrebbe dare senso alle nostre scelte. Parlare infatti di un metodo educativo che abbia come punto focale il corpo, senza avere la certezza della risurrezione, sarebbe un controsenso e perciò un metodo già fallito in partenza. Gli educatori, oltre che avere la certezza della loro risurrezione, devono ricordarla ai ragazzi così che diventi un motivo che giustifichi i loro impegni. Già abbiamo accennato come il battesimo ci fa uscire dall’angoscia di morte per metterci in rapporto con la fonte stessa della vita che è il Padre che ci fa nascere alla sua stessa vita, con la fisionomia del Cristo, il risorto per non più morire; per cui portiamo già in noi ora il germe della risurrezione, che continuamente rinnoviamo e fortifichiamo accostandoci all’Eucaristia e facendo la Comunione. Ne segue che per mezzo dei sacramenti noi ricostruiamo la nostra unità così da superare l’angoscia di morte. In questo contesto abbiamo la possibilità di affrontare il fatto psichico, mettendo in luce le cause dei nostri sensi di colpa, prima che degenerino in angoscia di colpa. Potremo così rompere la spirale dell’angoscia. Infatti partecipando alle celebrazioni liturgiche, veniamo messi in condizione di vivere nella loro giusta dimensione u nostri meccanismi psichici fondamentali.
Mi sembra utile passare a vedere un’altra fonte dell’angoscia di morte che è data dal rifiuto di vivere in modo adeguato la propria dimensione sociale, dovuto al fatto che la nostra società ha ridotto le persone a contenitori pubblicitari: dietro la facciata c’è solo il vuoto. E, avendo promesso a queste persone la felicità, quando questa non viene raggiunta, si sfocia nel dramma, cioè si arriva al rifiuto totale e, dato che tutto è stato ridotto ad apparenza, basta sopprimere questa e tutto è risolto: così abbiamo un aumento di suicidi che spesso sembrano inspiegabili, se non tenessimo presente come siano il segno della più profonda angoscia di morte. Infatti l’angoscia mette in condizione di correre incontro a ciò che crea terrore perché l'attesa è peggiore del pericolo. Al di là dei suicidi, dovremmo aver eil coraggio di analizzare quante persone muoiono per la malattia che si è sviluppata in loro e quante muoiono per la paura della morte, quindi, quanti anticipano la morte in forza dell’angoscia di morte. Attraverso questa riflessione potremmo scoprire delle caratteristiche che sono nascoste tra le pieghe del nostro inconscio e che ci portano a fare scelte che spesso sembrano inspiegabili. Qui affonda le proprie radici il continuo insistere sulla legalizzazione dell’eutanasia, che in seguito viene giustificata con razionalizzazioni inconsistenti. Infatti l’eutanasia è la risposta alla più profonda angoscia di morte.
Potremmo chiederci quale possa essere la radice profonda di questo disagio che sfocia nel dramma. La risposta ci porta a mettere in luce che tutto parte dal fatto che si vive in modo ansiogeno l’esperienza del limite e della relatività per cui diventano fonte di insicurezza nel presente, di sfiducia in se stessi riguardo al passato, in quanto si scopre il crollo delle proprie utopie, e di ansia riguardo al futuro, in quanto si teme un nuovo fallimento dei propri sogni. Ci troviamo così di fronte all’angoscia di morte, perché viviamo ogni cambiamento come se fosse una perdita di noi stessi. A questo punto non meraviglia il fatto di trovare in un numero molto alto di persone la rigidità psichica, cioè la paura ansiogena dei cambiamenti. E noi sappiamo che solo la morte non ammette cambiamenti. Questo ci dice come l’angoscia, quando è acuta, porta a comportarsi come se già si fosse in quello stato che procura la medesima angoscia. Solo quando sapremo vivere serenamente questi due meccanismi psichici fondamentali, allora vedremo nel cambiamento una conquista ed una maturazione. Perciò è necessario essere guidati da un saggio metodo educativo che porti a scoprire che questa nostra situazione di fatto non è poi così drammatica, anzi ha degli aspetti che sono essenziali per una vera ed adeguata conoscenza di noi stessi e quindi per una nostra capacità di esprimerci che sia realmente umana, senza fughe in compensazioni o in meccanismi di difesa.
Dopo aver visto l’angoscia di morte nella sua genesi e nelle sue espressioni, siamo chiamati a trovare i mezzi per superarla. Il primo aiuto ci viene dal metodo educativo che stiamo proponendo, in quanto il passaggio dalle sensazioni ai sentimenti obbliga ad interiorizzare anche le esperienze di perdita che sono la causa dell’angoscia di morte. Questo lavoro di interiorizzazione le libera della carica ansiogena, le smitizza, riportandole alle loro reali dimensioni. Quando parliamo di metodo educativo non dobbiamo ridurlo a quei pochi concetti che possono essere accolti dalla cultura razionalista, ma va preso in tutta la sua globalità, così come è stato esposto, senza sottovalutare e tanto meno ignorare quelle parti che hanno stretta attinenza con le convinzioni religiose. Tuttavia il nostro impegno non si ferma qui, ma ci porta a costruire uno stile di vita che impedisca il riformarsi di tale angoscia.
Il primo passo consiste nel vivere il proprio Battesimo, in quanto è l’antidoto all’angoscia di morte, per il fatto che, oltre darci una vita nuova, ci mette in condizione di usufruire di tutti i mezzi per portarla alla sua più piena espressione attraverso la partecipazione alle celebrazioni liturgiche. Questo ci dice come il catechismo sia parte integrante del metodo educativo. Per catechismo non intendiamo indottrinamento, in quanto la testa viene imbottita di nozioni che spesso deformano invece che formare. Il catechismo è un momento educativo in cui scopriamo i motivi che ci orientano a vivere uno stile di vita, per cui diventa il momento di incontro dei sentimenti, vivificati dalle celebrazioni liturgiche, con la verità, ravvivata dalla ricerca, così da muovere la volontà a vivere in modo coerente, e ciò attraverso la partecipazione all’oratorio. In questo contesto possiamo riscoprire il concetto del rapporto sponsale con Dio che ci mette in condizione di essere portatori di vita, cioè testimoni. Viene superata la frattura prodotta dal peccato per ricostruire l’unità che, per sua natura, è fonte di vita. Se l’angoscia di morte nasce dall’esperienza della perdita, fare l’esperienza di un rapporto indissolubile con Dio attraverso l’accettazione del patto di alleanza, porta automaticamente a superare in modo definitivo questa stessa angoscia di morte.
Inoltre il metodo educativo ci porta a vivere il nostro ruolo sessuale e perciò a prendere coscienza della nostra identità, facendoci superare ogni tipo di divisione e di angoscia di morte, in quanto il ruolo sessuale ci porta a vivere in modo adeguato la nostra dimensione sociale. Di questo parleremo in modo più esauriente nella seconda parte.
Infine dobbiamo sottolineare come il metodo educativo sia una forte spinta alla speranza, in quanto si fonda sui sentimenti e sulla certezza della fedeltà di Dio al patto di alleanza da noi accettato per mezzo dei Sacramenti. Ora la speranza, per la sua capacità di proiettarci nel futuro è segno di vita e quindi dove c’è la speranza non può esserci l’angoscia di morte. Ne segue che l’educatore-animatore deve saper risvegliare questo atteggiamento che è pure una virtù teologale.


IN CHE COSA CONSISTE


ANGOSCIA: ESPERIENZA DI VITA



Dopo aver fatto un discorso generale, penso sia utile soffermarci sulle tre angosce fondamentali, per fare un discorso più specifico così da avere una maggior chiarezza di idee e tracciare le strade da percorrere per poterne uscire.
Non possiamo dimenticare che solo chi ha scoperto in se stesso quali sono i sintomi dell’angoscia e quali possano essere gli strumenti per vincerla e ha fatto l’esperienza su se stesso del valore di questi strumenti, può essere di aiuto per coloro che, afflitti da questo male, ne vogliono uscire. Ciò è dovuto al fatto che le angosce vengono prima della nostra facoltà razionale e fanno parte dell’esperienza di vita, perciò solo attraverso l’esperienza si arriva alla consapevolezza e alla scoperta dei mezzi per eliminarle.

PERDITA: ANGOSCIA DI MORTE

Vediamo innanzitutto l’angoscia di morte.
Quando il bambino è molto piccolo non ha ancora gli strumenti per passare dalle sensazioni ai sentimenti.
Infatti questo passaggio è frutto dell’esperienza che può iniziare prestissimo nella vita, se il bambino ha vicino a sé delle figure che per lui sono importanti e lo aiutano coi loro atteggiamenti, soprattutto con le parole, ad interiorizzare le proprie sensazioni così da poter appropriarsene.
Ora noi sappiamo che le sensazioni sono effimere e scompaiono con l’allontanarsi della causa, ne segue che, le persone o le cose ritenute importanti per la propria vita, quando scompaiono dai sensi del bambino, vengono vissute come ricadute nel nulla; il bambino vive questo allontanamento come se fosse una perdita, in quanto l’esperienza del ritorno richiede una memorizzazione dell’esperienza precedente e un collegamento con l’esperienza seguente; questo collegamento è dato dall’attesa che presuppone una interiorizzazione della esperienza precedente ed una sua progressiva trasformazione in sentimento; mancando tutto ciò, il bambino vive solo la perdita e ogni perdita è sentita come morte; da qui l’angoscia di morte.
Infatti il primo concetto fondamentale di morte nasce dalla sensazione di una partenza senza ritorno che produce un vuoto che viene vissuto come insicurezza, perciò come fonte di ansia.
Ciò avviene tutte le volte che una persona o un oggetto importante per il bambino, in quanto gli produce un’immediata soddisfazione, si allontanano da lui.
Inoltre l’angoscia di morte affonda le proprie radici nell’immaginario collettivo che legge come morte il distacco di una persona; il linguaggio stesso chiarisce questo concetto con un’affermazione lapidaria nei confronti di una persona con la quale per gravi motivi si sono interrotti i rapporti umani: "Quella persona per me è morta!".


SPACCATURA: ANGOSCIA DI MORTE

Inoltre, man mano il bambino cresce, vive anche l’esperienza della spaccatura in se stesso, che nasce dal contrasto di due desideri tra loro incompatibili, oppure dal rifiuto del cambiamento prodotto dal passar del tempo e dalle modificazioni prodotte dalle continue esperienze vissute, e noi sappiamo che ogni spaccatura è segno di morte e perciò causa l’angoscia di morte.
A questo riguardo sarà utile tener presente che nei primi tempi della sua vita il bambino vive uno stato di simbiosi con la madre, per cui il suo allontanamento è vissuto come una spaccatura che comporta la perdita della propria identità, quasi il bambino avesse a concludere: io non sono nessuno, perciò non esisto.
Se viene a mancare un’adeguata educazione, ogni cambiamento è vissuto come una perdita di una situazione gratificante di sicurezza e come proiezione nell’insicurezza di un futuro che porta solo ansia.
Questa spaccatura spesso si esprime come schizofrenia, che assume anche il volto di meccanismo di difesa contro la pressione che l’angoscia di morte crea nella persona.
Passiamo dalla spaccatura causa dell’angoscia alla spaccatura difesa dall’angoscia; questo meccanismo viene usato spesso quando ci si trova di fronte ad angosce gravi e viene chiamato identificazione con l’aggressore.
Si forma così una spirale che fissa la situazione al punto da renderla irreversibile.
L’educatore deve usare tutti gli strumenti che sono a sua disposizione perché le persone a lui affidate non giungano a questo punto di non-ritorno, in quanto col passar del tempo gli schemi mentali hanno prodotto i moduli cerebrali e, quando interviene lo psichiatra non ha che lavorare su questi, usando i farmaci in dosi sempre più massicce perché l’organismo tende ad assuefarsi.


ATTEGGIAMENTI DEI GENITORI: PERDITA

Questa angoscia si forma e si aggrava per il fatto che, non realizzandosi il passaggio dalle sensazioni ai sentimenti, non può crearsi l’unità bello-vero. A questo punto è utile richiamare alla nostra memoria tutto il discorso che abbiamo fatto nella parte teorica del metodo educativo in cui abbiamo illustrato il passaggio dalle sensazioni ai sentimenti.
Ora mi sembra utile fare il punto su alcuni atteggiamenti dei genitori, che vengono vissuti come perdita, quali l’allontanamento senza che il figlio sia preparato, o il non sostituire da parte dei genitori la presenza visiva con la presenza uditiva.
Infatti, la madre, spesso occupata in mille mestieri, quando il bambino è tranquillo, non sente il bisogno di far sentire la propria presenza e questo anche perché, presupponendo da parte di tutti che basta sposarsi per saper essere genitori, non si educano a rispondere alle esigenze più profonde dei propri figli.
È vero che il bambino dorme, ma non fa solo questo, anzi man mano cresce aumentano i tempi in cui è sveglio e, per poter star bene con se stesso, ha bisogno della sicurezza che gli deriva dalla presenza della mamma: a questo deve essere educato.
Venendo meno tale presenza, il bambino cade nell’angoscia.
Inoltre non possiamo dimenticare che la persona ha una dimensione sociale che può essere alterata dall’angoscia di morte.
Il peccato, distruggendo la comunità, ha distrutto l’uomo; san Paolo lo dirà con una parola forte: col peccato la morte è entrata nel mondo e tutti ne sono soggetti.
Questi fatti portano a vedere nell’altro un nemico o un competitore; in ambo i casi si crea un legame tra angoscia di morte, angoscia di solitudine e angoscia di castrazione.
La dimensione sociale infatti ha delle espressioni complesse che, quando vengono meno, portano ad un accavallarsi di angosce, che va sotto il nome di angoscia esistenziale.
Per comprendere meglio questo discorso possiamo pensare a quelle persone che, per diversi motivi, vengono rifiutate dal proprio ambiente sociale; in questo caso anche il linguaggio è chiaro nel proprio messaggio, parlando di morte sociale.




COME NASCE


PECCATO: ESPERIENZA DI PERDITA


Per comprendere come nasca l’angoscia di morte, è necessario che abbiamo a vedere il peccato come esperienza di perdita, nel senso che col peccato l’uomo ha perso la propria donna; dato che l’uomo è stato creato maschio e femmina, perdendo la donna, ha perso pure la propria identità; e la coppia ha perso l’amicizia con Dio; inoltre ha perso definitivamente il giardino dell’Eden la cui entrata è preclusa dal cherubino con la spada di fuoco.
Tutte queste perdite si riassumono nel concetto di morte.
Da qui l’angoscia di morte che prende l’uomo come tale e perciò anche nella sua struttura sociale.
Il racconto biblico assume anche un significato simbolico per ciascuno di noi e ci può indicare la strada che il nostro inconscio percorre tutte le volte che assumiamo atteggiamenti difformi alle norme o alle esigenze del super-Io: il senso di colpa ci porta a perdere la persona per noi importante e significante, ci fa perdere il punto di riferimento da cui attingiamo la sicurezza e la chiarezza della nostra identità, e infine ci fa perdere la gioia del caldo nido che ci era donato da queste persone. Una perdita vissuta come definitiva, in quanto i sensi di colpa non ammettono perdono, ma conoscono solo la punizione.
Questo continuo annodarsi del fatto morale col fatto psichico si prolunga nella vita, diventando causa di una sempre più diffusa e radicata angoscia che colora l’identità della persona, a meno che non intervenga un serio metodo educativo che stacchi il fatto morale dal fatto psichico e che li risolva ciascuno nel proprio campo, usando gli strumenti adeguati.
Perciò non deve meravigliare se continuamente ricordiamo che la religione è un fattore essenziale senza il quale non può essere concepita la vita umana, in modo particolare per noi cristiani, in quanto col Battesimo siamo nati ad una nuova vita e, solo portando alla sua pienezza questa vita, potremo evitare l’angoscia di morte, perché chi crede in Gesù non vedrà mai la morte, ma in lui vi è la vita eterna.
Ancora una volta possiamo toccare con mano come il cristianesimo con gli strumenti che ci fornisce ci dà la possibilità di uscire dalle nostre angosce, in modo particolare dall’angoscia di morte. Già abbiamo accennato come il battesimo ci fa uscire dall’angoscia di morte per metterci in rapporto con la fonte stessa della vita che è il Padre che ci fa nascere alla sua stessa vita. Ne segue che per mezzo dei sacramenti noi ricostruiamo la nostra unità così da superare l’angoscia di morte. In questo contesto abbiamo la possibilità di affrontare il fatto psichico, mettendo in luce le cause dei nostri sensi di colpa, prima che degenerino in angoscia di colpa. Potremo così rompere la spirale dell’angoscia.


RIFIUTO DELLA DIMENSIONE SOCIALE


Mi sembra utile passare a vedere un’altra fonte dell’angoscia di morte che è data dal rifiuto di vivere in modo adeguato la propria dimensione sociale, dovuto al fatto che la nostra società ha ridotto le persone a contenitori pubblicitari: dietro la facciata c’è solo il vuoto.
E, avendo promesso a queste persone la felicità, quando questa non viene raggiunta, si sfocia nel dramma, cioè si arriva al rifiuto totale e, dato che tutto è stato ridotto ad apparenza, basta sopprimere questa e tutto è risolto: così abbiamo un aumento di suicidi che spesso sembrano inspiegabili, se non tenessimo presente come siano il segno della più profonda angoscia di morte.
Infatti l’angoscia mette in condizione di correre incontro a ciò che fa paura perché l'attesa è peggiore del pericolo.
Potremmo chiederci quale possa essere la radice profonda di questo disagio che sfocia nel dramma.
La risposta ci porta a mettere in luce che tutto parte dal fatto che si vive in modo ansiogeno l’esperienza del limite e della relatività per cui diventano fonte di insicurezza nel presente, di sfiducia in se stessi riguardo al passato, in quanto si scopre il crollo delle proprie utopie, e di ansia riguardo al futuro, in quanto si teme un nuovo fallimento dei propri sogni.
Ci troviamo così di fronte all’angoscia di morte, perché viviamo ogni cambiamento come se fosse una perdita di noi stessi.
Solo quando sapremo vivere serenamente questi due meccanismi psichici fondamentali, allora vedremo nel cambiamento una conquista ed una maturazione. Perciò è necessario essere guidati da un saggio metodo educativo che porti a scoprire che questa nostra situazione di fatto non è poi così drammatica, anzi ha degli aspetti che sono essenziali per una vera ed adeguata conoscenza di noi stessi e quindi per una nostra capacità di esprimerci che sia realmente umana, senza fughe in compensazioni o in meccanismi di difesa.

ANGOSCIA: I MEZZI PER SUPERARLA


Dopo aver visto l’angoscia di morte nella sua genesi e nelle sue espressioni, siamo chiamati a trovare i mezzi per superarla.
Il primo aiuto ci viene dal metodo educativo che stiamo proponendo, in quanto il passaggio dalle sensazioni ai sentimenti obbliga ad interiorizzare anche le esperienze di perdita che sono la causa dell’angoscia di morte.
Questo lavoro di interiorizzazione le libera dalla carica ansiogena, le smitizza, riportandole alle loro reali dimensioni.
Tuttavia il nostro impegno non si ferma qui, ma ci porta a costruire uno stile di vita che impedisca il riformarsi di tale angoscia.
Il primo passo consiste nel vivere il proprio Battesimo, in quanto è l’antidoto all’angoscia di morte, per il fatto che, oltre darci una vita nuova, ci mette in condizione di usufruire di tutti i mezzi per portarla alla sua più piena espressione attraverso la partecipazione alle celebrazioni liturgiche.
Questo ci dice come il catechismo sia parte integrante del metodo educativo.
Per catechismo non intendiamo indottrinamento, col quale la testa viene imbottita di nozioni che spesso deformano invece che formare.
Il catechismo è un momento educativo in cui scopriamo i motivi che ci orientano a vivere uno stile di vita, per cui diventa il momento di incontro dei sentimenti, vivificati dalle celebrazioni liturgiche, con la verità, ravvivata dalla ricerca, così da muovere la volontà a vivere in modo coerente, e ciò attraverso la partecipazione all’oratorio.
In questo contesto possiamo riscoprire il concetto del rapporto sponsale con Dio che ci mette in condizione di essere portatori di vita, cioè testimoni. Viene superata la frattura prodotta dal peccato per ricostruire l’unità che, per sua natura, è fonte di vita.
Se l’angoscia di morte nasce dall’esperienza della perdita, fare l’esperienza di un rapporto indissolubile con Dio attraverso l’accettazione del patto di alleanza, porta automaticamente a superare in modo definitivo questa stessa angoscia di morte.
Inoltre il metodo educativo ci porta a vivere il nostro ruolo sessuale e perciò a prendere coscienza della nostra identità, facendoci superare ogni tipo di divisione e di angoscia di morte, in quanto il ruolo sessuale ci porta a vivere in modo adeguato la nostra dimensione sociale. Di questo parleremo in modo più esauriente nella seconda parte.
Infine dobbiamo sottolineare come il metodo educativo sia una forte spinta alla speranza, in quanto si fonda sui sentimenti e sulla certezza della fedeltà di Dio al patto di alleanza da noi accettato per mezzo dei Sacramenti. Ora la speranza, per la sua capacità di proiettarci nel futuro, è segno di vita e quindi dove c’è la speranza non può esserci l’angoscia di morte.
Ne segue che l’educatore-animatore deve saper risvegliare questo atteggiamento che è pure una virtù teologale.


di don Carlo Colombo

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