Angoscia
dal latino angustia “passaggio stretto” e in senso figurato
“difficoltà”. Derivato da angere (stringere) da cui l’italiano
“angoscia”.
L’angoscia è
uno stato di malessere fisico e morale caratterizzato da un senso di pericolo
incombente sconosciuto e irreparabile. Essa si distingue dalla paura, che è
giustificata perché indotta dalla consapevolezza di un pericolo determinato e
oggettivo, e dall’ansia, legata a rappresentazioni mentali e fantasie
ossessive.
L’angoscia è
uno stato psichico cui tutti, chi più chi meno, è capitato di vivere. Per
questo abbiamo deciso di dedicare una serie di meditazioni, curate dal reverendo
don Carlo Colombo, che pubblicheremo in una rubrica settimanale: Lectio magistralis; angoscia, infatti, nasce con il proposito di fornire
motivi di riflessione, dibattito e spunto per approfondire. Una meditazione a
tutto campo appunto, dove si tratterà il sintomo sotto il punto di vista
psicologico, sociologico e anche di fede.
ANGOSCE FONDAMENTALI
ANGOSCE E LORO FONTE
Viviamo in un tempo in cui le persone sono portate ad annegare la
propria identità, passando da un’ansia all’altra, quasi fossero delle barche
che per scendere la corrente di un fiume sono obbligate a passare da una rapida
all’altra.
Solo quando avremo un quadro chiaro delle angosce
fondamentali che, in un modo o nell’altro, agitano la nostra vita, anche se
hanno un loro volto di complessità, potremo individuare le strade da percorrere
per superarle, così che le finalità che ci siamo proposti con questo metodo
educativo non abbiano ad essere illusorie. Tutti infatti vorremmo raggiungere
quella maturità che ci fa gustare la vita, così come si gusta un frutto
saporito che è giunto alla sua giusta maturazione.
Inoltre
faremmo un discorso incompleto, se ci fermassimo alle angosce e non cercassimo
di vedere il collegamento tra la maturazione e la recezione del proprio ruolo
sessuale.
Procedendo
nella nostra ricerca potremo toccare con mano l’importanza anche di questo
argomento, in quanto solo dalla recezione del proprio ruolo sessuale si prende
consapevolezza della propria identità e, di conseguenza, si possono avere ed
usare gli strumenti per raggiungere la propria maturità umano-cristiana.
La fonte
ultima ed unica delle nostre angosce è il peccato, in quanto ha rotto la nostra
unità e ci rende più difficile l’uso coordinato di tutte le nostre facoltà,
chiudendoci nel nostro egocentrismo che ci fa regredire alla nostra infanzia.
Non per nulla
la prima conseguenza del peccato è la morte con la sua relativa angoscia;
inoltre il peccato ha portato l’uomo a fare l’esperienza della sua
inadeguatezza di fronte alla realtà: l’unica creatura nuda e senza difese
contro il mondo nemico; da qui prende consistenza l’angoscia di castrazione o
di impotenza.
Ed infine
l’angoscia di solitudine che inizia con Adamo dal momento in cui Eva non è più
carne della sua carne e osso delle sue ossa, ma semplicemente quella donna che
Dio gli ha messo al fianco, e da Adamo lentamente questa angoscia si è diffusa
a tutta l’umanità passando per la torre di Babele.
Ne segue che
il primo sforzo da farsi è quello di toglierci dal peccato.
ANGOSCE: FASI DI MATURAZIONE
A questo punto
penso sia utile vedere il legame tra le fasi di maturazione del bambino e il
sorgere delle angosce, quando la medesima fase viene vissuta come fonte di
ansia acuta.
Nella fase orale
il bambino ha un legame di simbiosi con la madre, per cui, tutte le volte che
questa si allontana, il bambino piomba nel non-essere, in quanto la sua
identità è legata a quella della madre, nello stesso tempo, vive
l’allontanamento della madre come una perdita.
Se la madre
non è attenta ad educare il figlio a sentire la sua presenza anche quando è
lontana fisicamente, il bambino cade nell’angoscia di morte.
Nella fase
anale il bambino, attraverso il controllo degli sfinteri, inizia una
comunicazione attiva con la madre, alla quale dona le proprie feci in quanto
sono una parte di lui.
Se la madre
non sa valorizzare questi segni di comunicazione, il bambino progressivamente
si chiude in se stesso, convinto che gli altri non potranno capirlo, per il
fatto che non è riuscito a farsi capire dalla persona che gli era vicina e
avrebbe dovuto cogliere i suoi messaggi; da qui nasce l’angoscia di
incomunicabilità o di solitudine.
Nella fase
fallica il bambino raggiunge il momento apice in cui scopre il suo corpo con le
proprie funzioni e le sue capacità e ne è orgoglioso.
Se i genitori,
coi loro continui interventi, lo fanno sentire un impotente perché lo
convincono coi loro atteggiamenti o con le loro parole che non è capace di far
nulla, incomincia a sorgere ed a rafforzarsi l’angoscia di castrazione o di
impotenza.
Noi sappiamo
molto bene che ogni angoscia tende a fare regredire allo stadio precedente
l’angoscia stessa con tutti i problemi che vi sono collegati; per cui
l’angoscia di morte riporta all’utero materno col rischio di cadere nella
paranoia; l’angoscia di solitudine riporta allo stadio orale col rischio della
schizofrenia, in quanto nella simbiosi di due personalità il soggetto non sa
più quale scegliere; l’angoscia di castrazione riporta allo stadio anale col
rischio della nevrosi.
Ritorneremo su
questi temi per poter farci un’idea organica degli strumenti che possiamo avere
a disposizione per uscire dalle situazioni di angoscia.
ANGOSCE: IO E GLI STRUMENTI
Il primo
impegno per una reale terapia delle nostre angosce consista nella
partecipazione alle celebrazioni liturgiche, nella meditazione, direzione
spirituale e partecipazione alla vita dell’oratorio. Perché solo così riviviamo
i doni che Dio continuamente ci dà, in modo da infondere senso e valore alla
nostra esistenza, per cui vale la pena di buttarci dentro con tutto il nostro
entusiasmo. Vorrei sottolineare come questi impegni non possano rimanere
teoria, se vogliamo uscire dalle nostre angosce per costruirci una vita che sia
pienamente umano-cristiana.
Il metodo
educativo che proponiamo ci porta a farci un chiaro concetto di noi stessi e
del nostro rapporto con la realtà, così da riscoprire la profonda unità
corpo-psiche-spirito. A questo punto possiamo dire che le angosce sono state
vinte e la vita prende il sopravvento, in quanto l’unità delle nostre facoltà
presuppone ed esige l’unità dei meccanismi psichici fondamentali e quindi
l’orientamento di tutta la persona verso un unico fine che è la propria
realizzazione nella pienezza della vita.
ANGOSCIA ESISTENZIALE
Vorrei
concludere queste riflessioni, accennando all’angoscia esistenziale. Nella
sua forma grave esce dal tema che stiamo trattando, in quanto si esprime con
l’autismo e la depressione nella loro forma clinica, per cui non le incontriamo
nel nostro impegno educativo. Nelle forme leggere si presenta un po’ come la
fusione di tutte le angosce di cui abbiamo parlato. È il risultato della
regressione all’utero materno, quasi che il soggetto rifiuti l’esistenza così
come si presenta oggi. Questa angoscia si esprime come un no alla vita, alla
società, alla cultura, quasi la persona abbia a dire: l’esistenza, così come si
presente ora per me è solo un peso, per cui ne faccio a meno.
Questa
angoscia porta all’apatia, in quanto ogni sentimento è vissuto come una
sofferenza, all’abulia in quanto ogni scelta è vissuta come un peso. Chi
soffre di questa angoscia cerca l’immobilità, come se fosse posto in un frizer;
ogni movimento indica vita e perciò fa scatenare l’angoscia. I ragazzi che
hanno angoscia danno l’impressione di essere dei pigri, invece sono solo dei
rigidi che evitano ogni cambiamento, perché cambiare significa soffrire.
Tutto ciò ci
porta ad intuire il trauma della prima infanzia, in cui il bambino ha
vissuto ogni modifica della sua vita come perdita e disagio. Per lui
l’unico luogo e l’unico tempo in cui stava bene era l’utero materno, per cui la
sua nostalgia lo porta a quello stato; dico nostalgia in quanto non si sforza
neppure di regredire.
Comprendiamo
subito come non sia un caso facile da seguire, eppure guai se lo estraniamo
dall’ambiente dei compagni, anche se chi vive questa angoscia già tende a
farlo. L’unico antidoto è un amore paziente che continuamente lo accetta
così come è per inserirlo nel proprio ambiente, senza creare attriti e
tensioni per il fatto che continuamente tende ad estraniarsi.
Mentre
l’educatore conduce avanti questo lavoro paziente, deve essere attento a
rilevare anche il più piccolo segno di vita per far leva così da mostrare al
soggetto uno spiraglio di luce. L’atteggiamento dell’educatore deve essere
di colui che non si lascia prendere dallo scoraggiamento anche quando non
vede i frutti, e di chi non ha fretta. L’apertura dello spiraglio non dipende
solo dall’educatore, ma anche da un complesso di fatti che possono creare una
speranza che si contrapponga all’angoscia.
ANGOSCIA DI COLPA
Prima di
concludere questa riflessione, vorrei fermare la vostra attenzione
sull’angoscia di colpa, a cui già abbiamo accennato in questa ricerca.
In primo luogo
l’angoscia di colpa non ha niente a che fare con la colpa morale.
La colpa
morale è la conseguenza di una libera e consapevole scelta contro la volontà di
Dio, per cui può essere tolta solo in un rapporto con Dio per mezzo della
liturgia della riconciliazione o confessione; o se la colpa non è grave per
mezzo di tutte le altre celebrazioni liturgiche.
La colpa
morale ha come caratteristica il fatto di non dare alcuna sensazione: non si
prova niente!
Non deve
meravigliarci questa affermazione, perché stiamo parlando di un fatto che va
oltre la nostra razionalità e tocca le radici stesse della nostra vita, cioè
quel nucleo del nostro essere in cui i nostri meccanismi psichici fondamentali
entrano in contatto con lo Spirito che li fa muovere coi suoi doni.
L’angoscia di
colpa invece è il frutto della condensazione dei sensi di colpa che nascono
ogni volta che il nostro comportamento è difforme dalle imposizioni del
super-Io o delle norme che sono l’espressione delle esigenze intrinseche della
persona e della cultura in cui la persona vive.
L’angoscia di
colpa si riflette sempre nella nostra struttura fisica, creando delle
sensazioni spiacevoli a cui rispondiamo con delle compensazioni di
autopunizione.
L’angoscia di
colpa ha come caratteristica il fatto di non conoscere perdono, ma esige sempre
e solo punizione, che non è mai proporzionata al fatto commesso, ma
all’intensità dell’angoscia.
ANGOSCIA E CONSIGLI EVANGELICI
Vogliamo
proporre una scaletta che può essere sviluppata secondo l’età e la preparazione
dei ragazzi per mettere in evidenza l’importanza dei consigli evangelici per la
nostra vita e il loro profondo legame con le virtù teologali.
Possiamo
partire con una breve illustrazione delle tre angosce fondamentali che sono in
ciascuna persona come conseguenza del peccato.
Angoscia di
morte, di solitudine, di castrazione (su tale argomento il catechista trova una
lunga esposizione nella parte pratica dello scritto "Per un uomo
nuovo").
È importante
chiarire il legame tra il peccato e tali angosce per poter far capire al
ragazzo come il peccato sia la negazione della vita nel senso più radicale e
assoluto, per cui la morte non è un castigo di Dio, ma la inevitabile
conseguenza del peccato.
Ne segue che
l’affermazione della Bibbia: "Finché tornerai alla terra, perché da essa
sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!" (Gn 3,19) è una
presa d’atto di un fatto conseguente alla scelta fatta da parte dell’uomo.
Si passa a
vedere come si possano superare queste angosce, mettendo in evidenza i
suggerimenti di Gesù attraverso i consigli evangelici di povertà, ubbidienza e
castità.
I consigli
evangelici affondano le proprie motivazioni nel nostro rapporto con le tre
persone della santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo, in quanto il
Padre è il povero perché non tiene nulla per sé ma dà tutto al Figlio; il
Figlio è l’ubbidiente in quanto si incarna per fare la volontà del Padre; e lo
Spirito è il casto in quanto è dono gratuito totale, che ha la funzione di
portare al Padre per mezzo del Figlio, per cui non tiene legato nessuno a sé.
Il catechista,
usando anche esempi, deve svolgere questa esposizione che noi abbiamo
presentato in modo schematico e sintetico.
Tuttavia sarà
utile che tenga presente la necessità di instaurare personalmente un rapporto
con le Persone della Santissima Trinità in base a questi concetti fondamentali.
Non è un lavoro facile, per cui potrebbe trovare un aiuto in un libretto
scritto da Antonio Rosmini intitolato "Le Massime di perfezione
cristiana".
Solo quando
queste idee si sono trasformate in convinzioni e sono diventate il suo stile di
vita, il catechista potrà condurre i ragazzi a fare con frutto queste
riflessioni.
ANGOSCIA DI MORTE
Dopo aver
fatto un discorso generale, penso sia utile soffermarci sulle tre angosce
fondamentali, per fare un discorso più specifico così da avere una maggior
chiarezza di idee e tracciare le strade da percorrere per poterne uscire. Siamo
di fronte ad un argomento complesso in quanto le angosce fondamentali non
vanno mai sole, ma si legano, si fondono, con sempre nuovi volti. Ne segue
la necessità di vederle nella dinamica della vita, per cui oltre le angosce
singole cercheremo di vederle nella complessità dei loro rapporti. Non possiamo
dimenticare che solo chi ha scoperto in se stesso quali sono i sintomi
dell’angoscia e quali possano essere gli strumenti per vincerla e ha fatto
l’esperienza su se stesso del valore di questi strumenti, può essere di aiuto
per coloro che, afflitti da questo male, ne vogliono uscire. Ciò è dovuto al
fatto che le angosce vengono prima della nostra facoltà razionale e
fanno parte dell’esperienza di vita, una esperienza monca, in quanto non è
passata dalle sensazioni ai sentimenti, perciò solo attraverso l’esperienza si
arriva alla consapevolezza e alla scoperta dei mezzi per eliminarle.
Vediamo
innanzitutto l’angoscia di morte. Quando il bambino è molto piccolo non ha
ancora gli strumenti per passare dalle sensazioni ai sentimenti. Infatti questo
passaggio è frutto dell’esperienza che può iniziare prestissimo nella vita, se
il bambino ha vicino a sé delle figure che per lui sono importanti e lo aiutano
coi loro atteggiamenti, soprattutto con le parole, ad interiorizzare le proprie
sensazioni così da poter appropriarsene. Ora noi sappiamo che le sensazioni
sono effimere e scompaiono con l’allontanarsi della causa, ne segue che, le
persone o le cose ritenute importanti per la propria vita, quando scompaiono
dai sensi del bambino, vengono vissute come ricadute nel nulla; il bambino vive
questo allontanamento come se fosse una perdita, in quanto l’esperienza del
ritorno richiede una memorizzazione dell’esperienza precedente e un
collegamento con l’esperienza seguente; questo collegamento è dato dall’attesa
che presuppone una interiorizzazione della esperienza precedente ed una sua
progressiva trasformazione in sentimento; mancando tutto ciò, il bambino
vive solo la perdita e ogni perdita è sentita come morte; da qui l’angoscia
di morte. Il bambino stesso col suo linguaggio primitivo esprime questa sensazione,
dicendo che quel determinato oggetto, o quella persona non ci sono più. Infatti
il primo concetto fondamentale di morte nasce dalla sensazione di una partenza
senza ritorno che produce un vuoto che viene vissuto come insicurezza, perciò
come fonte di ansia. Ciò avviene tutte le volte che una persona o un oggetto
importante per il bambino, in quanto gli produce un’immediata soddisfazione, si
allontanano da lui. Inoltre l’angoscia di morte affonda le proprie radici
nell’immaginario collettivo che legge come morte il distacco di una persona;
il linguaggio stesso chiarisce questo concetto con un’affermazione lapidaria
nei confronti di una persona con la quale per gravi motivi si sono interrotti i
rapporti umani: “Quella persona per me è morta!”.
Inoltre, man
mano il bambino cresce, vive anche l’esperienza della spaccatura in se stesso,
che nasce dal contrasto di due desideri tra loro incompatibili, oppure dal
rifiuto del cambiamento prodotto dal passar del tempo e dalle modificazioni
prodotte dalle continue esperienze vissute, e noi sappiamo che ogni
spaccatura è segno di morte e perciò causa l’angoscia di morte. Possiamo
dire che ciascuno di noi vive questa tensione, teorizzata dall’antica filosofia
greca, tra l’essere e il divenire; mentre l’essere è una esperienza più o meno
gratificante a cui ci si adatta, il divenire è una incognita che crea sempre
ansia, per cui si cerca di evitarlo, vivendo il presente senza alcuna
proiezione nel futuro. Questa tensione, in seguito alle esperienze vissute,
spesso degenera da ansia in angoscia. A questo riguardo sarà utile tener
presente che nei primi tempi della sua vita il bambino vive uno stato di
simbiosi con la madre, per cui il suo allontanamento è vissuto come una
spaccatura che comporta la perdita della propria identità, quasi il bambino
avesse a concludere: io non sono nessuno, perciò non esisto. Se viene a
mancare un’adeguata educazione, ogni cambiamento è vissuto come una perdita di
una situazione gratificante di sicurezza e come proiezione nell’insicurezza
di un futuro che porta solo ansia. Questa spaccatura spesso si esprime come
schizofrenia, che assume anche il volto di meccanismo di difesa contro la
pressione che l’angoscia di morte crea nella persona. Passiamo dalla spaccatura
causa dell’angoscia alla spaccatura difesa dall’angoscia; questo meccanismo
viene usato spesso quando ci si trova di fronte ad angosce gravi, viene
chiamata identificazione con l’aggressore. Si forma così una spirale che fissa
la situazione al punto da renderla irreversibile. L’educatore deve usare
tutti gli strumenti che sono a sua disposizione perché le persone a lui
affidate non giungano a questo punto di non-ritorno, in quanto col passar
del tempo gli schemi mentali hanno prodotto i moduli cerebrali e, quando
interviene lo psichiatra non ha che lavorare su questi, usando i farmaci in
dosi sempre più massicce perché l’organismo tende ad assuefarsi. I primi che
devono educare il bambino a non cadere in angoscia di morte sono i genitori, i
quali devono saper recuperare quegli strumenti che una cultura materialista e
unilaterale ha tolto, in quanto in contrasto coi suoi ristretti schemi di vita.
Da qui l’esigenza che i genitori chiedano il Battesimo per i loro figli solo
quando sono convinti degli effetti che produce nella loro vita. Il genitore
sa che il figlio battezzato non è mai solo per il fatto che in lui è lo Spirito
di Cristo e che in lui abitano le persone della Santissima Trinità. inoltre i
genitori sanno che vicino a loro figlio c’è un angelo custode posto dalla
provvidenza del Padre. Invece che adornare la culla o la carrozzina del figlio
di giochi inutili, o peggio di pupazzi mostruosi, mettano i segni di queste
presenze ed educhino progressivamente il figlio a sentirle. Quando il figlio
comincerà a frequentare l’oratorio, sarà facile per gli educatori continuare
questo discorso di presenze.
L’angoscia di
morte si forma e si aggrava per il fatto che, non realizzandosi il passaggio
dalle sensazioni ai sentimenti, non può crearsi l’unità bello-vero. A
questo punto è utile richiamare alla nostra memoria tutto il discorso che
abbiamo fatto nella parte teorica del metodo educativo in cui abbiamo
illustrato il passaggio dalle sensazioni ai sentimenti. Dall’unità bello-vero
segue spontaneamente anche il buono. Nell’unità delle caratteristiche
dell’essere sta il superamento dell’angoscia di morte, in quanto sono il segno
della vita.
Ora mi sembra
utile fare il punto su alcuni atteggiamenti dei genitori, che vengono
vissuti come perdita, quali l’allontanamento senza che il figlio sia preparato,
o il non sostituire da parte dei genitori la presenza visiva con la presenza
uditiva. Infatti, la madre, spesso occupata in mille mestieri, quando il
bambino è tranquillo, non sente il bisogno di far sentire la propria presenza e
questo anche perché, presupponendo da parte di tutti che basta sposarsi per
saper essere genitori, non si educano a rispondere alle esigenze più profonde
dei propri figli. È vero che il bambino dorme, ma non fa solo questo, anzi man
mano cresce aumentano i tempi in cui è sveglio e, per poter star bene con se
stesso, ha bisogno della sicurezza che gli deriva dalla presenza della
mamma: a questo deve essere educato. Venendo meno tale presenza, il bambino
cade nell’angoscia, in quanto si sente disorientato, in balia di forze che lui
non riesce a controllare.
Inoltre non
possiamo dimenticare che la persona ha una dimensione sociale che può essere
alterata dall’angoscia di morte. Il peccato, distruggendo la comunità, ha
distrutto l’uomo; san Paolo lo dirà con una parola forte: col peccato la
morte è entrata nel mondo e tutti ne sono soggetti. Questi fatti portano a
vedere nell’altro un nemico o un competitore; in ambo i casi si crea un legame
tra angoscia di morte, angoscia di solitudine e angoscia di castrazione. La
dimensione sociale infatti ha delle espressioni complesse che, quando vengono
meno, portano ad un accavallarsi di angosce. Per comprendere meglio questo
discorso possiamo pensare a quelle persone che, per diversi motivi, vengono
rifiutate dal proprio ambiente sociale; in questo caso anche il linguaggio è
chiaro nel proprio messaggio, parlando di morte sociale.
Per
comprendere come nasca questa angoscia di morte, è necessario che abbiamo a
vedere il peccato come esperienza di perdita, nel senso che col peccato
l’uomo ha perso la propria donna; dato che l’uomo è stato creato maschio e
femmina, perdendo la donna, ha perso pure la propria identità; e la coppia ha
perso l’amicizia con Dio; inoltre ha perso definitivamente il giardino
dell’Eden la cui entrata è preclusa dal cherubino con la spada di fuoco. Tutte
queste perdite si riassumono nel concetto di morte. Da qui l’angoscia di morte
che prende l’uomo come tale e perciò anche nella sua struttura sociale. Il
racconto biblico assume anche un significato simbolico per ciascuno di noi e ci
può indicare la strada che il nostro inconscio percorre tutte le volte che
assumiamo atteggiamenti difformi alle norme o alle esigenze del super-Io: il
senso di colpa ci porta a perdere la persona per noi importante e significante,
ci fa perdere il punto di riferimento da cui attingiamo la sicurezza e la
chiarezza della nostra identità, e infine ci fa perdere la gioia del caldo nido
che ci era donato da queste persone. Una perdita vissuta come definitiva, in
quanto i sensi di colpa non ammettono perdono, ma conoscono solo la punizione.
Questo continuo annodarsi del fatto morale col fatto psichico si prolunga nella
vita, diventando causa di una sempre più diffusa e radicata angoscia che
colora l’identità della persona, a meno che non intervenga un serio metodo
educativo che stacchi il fatto morale dal fatto psichico e che li risolva
ciascuno nel proprio campo, usando gli strumenti adeguati. Infatti sappiamo
che, risolvendo il fatto morale, togliamo il terreno su cui prolifica il senso
di colpa psichico e perciò impediamo di cadere nell’angoscia di morte. La
consapevolezza che il Dio Padre di Gesù Cristo è più forte della colpa e
continua ad amarci anche quando noi facciamo i capricci, ci difende da ogni
atteggiamento di disperazione. Usando un linguaggio figurato, ma anche molto
forte, possiamo dire che, anche quando noi usciamo di casa sbattendo la
porta, questa porta rimane sempre aperta, per cui possiamo rientrare in
casa. Ciò non è una nostra illusione, ma è parte integrante del concetto stesso
di Dio che Gesù ci ha illustrato con la parabola del Padre che accoglie di
nuovo il figlio dopo che se ne era andato da casa per spendere tutti i propri
averi con le prostitute (cfr Lc 15,11-32).
Perciò non
deve meravigliare se continuamente ricordiamo che la religione è un fattore
essenziale senza il quale non può essere concepita la vita umana, in modo
particolare per noi cristiani, in quanto col Battesimo siamo nati ad una nuova
vita e, solo portando alla sua pienezza questa vita, potremo evitare l’angoscia
di morte, perché chi crede in Gesù non vedrà mai la morte. Così afferma il
Vangelo secondo Giovanni: “- E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così
bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui
abbia la vita eterna -. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo
Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita
eterna” (Gv 3,14-16).
Ancora una
volta possiamo toccare con mano come il cristianesimo con gli strumenti che ci
fornisce ci dà la possibilità di uscire dalle nostre angosce, in modo
particolare dall’angoscia di morte. Ci viene ripetuto per mezzo di san Paolo
che, per il fatto che Cristo è risorto, anche noi risorgeremo. Qui possiamo
rilevare una carenza nel nostro modo di educare: troppo spesso ignoriamo il
fatto della risurrezione che dovrebbe dare senso alle nostre scelte. Parlare
infatti di un metodo educativo che abbia come punto focale il corpo, senza
avere la certezza della risurrezione, sarebbe un controsenso e perciò un metodo
già fallito in partenza. Gli educatori, oltre che avere la certezza della
loro risurrezione, devono ricordarla ai ragazzi così che diventi un motivo che
giustifichi i loro impegni. Già abbiamo accennato come il battesimo ci fa
uscire dall’angoscia di morte per metterci in rapporto con la fonte stessa
della vita che è il Padre che ci fa nascere alla sua stessa vita, con la
fisionomia del Cristo, il risorto per non più morire; per cui portiamo già in
noi ora il germe della risurrezione, che continuamente rinnoviamo e
fortifichiamo accostandoci all’Eucaristia e facendo la Comunione. Ne segue che per
mezzo dei sacramenti noi ricostruiamo la nostra unità così da superare
l’angoscia di morte. In questo contesto abbiamo la possibilità di
affrontare il fatto psichico, mettendo in luce le cause dei nostri sensi di
colpa, prima che degenerino in angoscia di colpa. Potremo così rompere la
spirale dell’angoscia. Infatti partecipando alle celebrazioni liturgiche,
veniamo messi in condizione di vivere nella loro giusta dimensione u nostri
meccanismi psichici fondamentali.
Mi sembra
utile passare a vedere un’altra fonte dell’angoscia di morte che è data dal
rifiuto di vivere in modo adeguato la propria dimensione sociale, dovuto al
fatto che la nostra società ha ridotto le persone a contenitori
pubblicitari: dietro la facciata c’è solo il vuoto. E, avendo promesso a
queste persone la felicità, quando questa non viene raggiunta, si sfocia nel
dramma, cioè si arriva al rifiuto totale e, dato che tutto è stato ridotto
ad apparenza, basta sopprimere questa e tutto è risolto: così abbiamo un
aumento di suicidi che spesso sembrano inspiegabili, se non tenessimo presente
come siano il segno della più profonda angoscia di morte. Infatti l’angoscia
mette in condizione di correre incontro a ciò che crea terrore perché l'attesa
è peggiore del pericolo. Al di là dei suicidi, dovremmo aver eil coraggio di
analizzare quante persone muoiono per la malattia che si è sviluppata in loro e
quante muoiono per la paura della morte, quindi, quanti anticipano la morte in
forza dell’angoscia di morte. Attraverso questa riflessione potremmo scoprire
delle caratteristiche che sono nascoste tra le pieghe del nostro inconscio e
che ci portano a fare scelte che spesso sembrano inspiegabili. Qui affonda
le proprie radici il continuo insistere sulla legalizzazione dell’eutanasia,
che in seguito viene giustificata con razionalizzazioni inconsistenti. Infatti
l’eutanasia è la risposta alla più profonda angoscia di morte.
Potremmo
chiederci quale possa essere la radice profonda di questo disagio che sfocia
nel dramma. La risposta ci porta a mettere in luce che tutto parte dal fatto
che si vive in modo ansiogeno l’esperienza del limite e della relatività per
cui diventano fonte di insicurezza nel presente, di sfiducia in se stessi
riguardo al passato, in quanto si scopre il crollo delle proprie utopie, e di
ansia riguardo al futuro, in quanto si teme un nuovo fallimento dei propri
sogni. Ci troviamo così di fronte all’angoscia di morte, perché viviamo ogni
cambiamento come se fosse una perdita di noi stessi. A questo punto non
meraviglia il fatto di trovare in un numero molto alto di persone la rigidità
psichica, cioè la paura ansiogena dei cambiamenti. E noi sappiamo che solo la
morte non ammette cambiamenti. Questo ci dice come l’angoscia, quando è acuta,
porta a comportarsi come se già si fosse in quello stato che procura la
medesima angoscia. Solo quando sapremo vivere serenamente questi due meccanismi
psichici fondamentali, allora vedremo nel cambiamento una conquista ed una
maturazione. Perciò è necessario essere guidati da un saggio metodo educativo
che porti a scoprire che questa nostra situazione di fatto non è poi così
drammatica, anzi ha degli aspetti che sono essenziali per una vera ed
adeguata conoscenza di noi stessi e quindi per una nostra capacità di
esprimerci che sia realmente umana, senza fughe in compensazioni o in
meccanismi di difesa.
Dopo aver
visto l’angoscia di morte nella sua genesi e nelle sue espressioni, siamo
chiamati a trovare i mezzi per superarla. Il primo aiuto ci viene dal metodo
educativo che stiamo proponendo, in quanto il passaggio dalle sensazioni ai
sentimenti obbliga ad interiorizzare anche le esperienze di perdita che sono la
causa dell’angoscia di morte. Questo lavoro di interiorizzazione le libera
della carica ansiogena, le smitizza, riportandole alle loro reali dimensioni.
Quando parliamo di metodo educativo non dobbiamo ridurlo a quei pochi concetti
che possono essere accolti dalla cultura razionalista, ma va preso in tutta la
sua globalità, così come è stato esposto, senza sottovalutare e tanto meno
ignorare quelle parti che hanno stretta attinenza con le convinzioni religiose.
Tuttavia il nostro impegno non si ferma qui, ma ci porta a costruire uno stile
di vita che impedisca il riformarsi di tale angoscia.
Il primo
passo consiste nel vivere il proprio Battesimo, in quanto è l’antidoto
all’angoscia di morte, per il fatto che, oltre darci una vita nuova, ci mette
in condizione di usufruire di tutti i mezzi per portarla alla sua più piena
espressione attraverso la partecipazione alle celebrazioni liturgiche. Questo
ci dice come il catechismo sia parte integrante del metodo educativo.
Per catechismo non intendiamo indottrinamento, in quanto la testa viene
imbottita di nozioni che spesso deformano invece che formare. Il catechismo è
un momento educativo in cui scopriamo i motivi che ci orientano a vivere uno
stile di vita, per cui diventa il momento di incontro dei sentimenti,
vivificati dalle celebrazioni liturgiche, con la verità, ravvivata dalla
ricerca, così da muovere la volontà a vivere in modo coerente, e ciò attraverso
la partecipazione all’oratorio. In questo contesto possiamo riscoprire il
concetto del rapporto sponsale con Dio che ci mette in condizione di essere
portatori di vita, cioè testimoni. Viene superata la frattura prodotta dal
peccato per ricostruire l’unità che, per sua natura, è fonte di vita. Se
l’angoscia di morte nasce dall’esperienza della perdita, fare l’esperienza di
un rapporto indissolubile con Dio attraverso l’accettazione del patto di
alleanza, porta automaticamente a superare in modo definitivo questa stessa
angoscia di morte.
Inoltre il
metodo educativo ci porta a vivere il nostro ruolo sessuale e perciò a
prendere coscienza della nostra identità, facendoci superare ogni tipo di
divisione e di angoscia di morte, in quanto il ruolo sessuale ci porta a vivere
in modo adeguato la nostra dimensione sociale. Di questo parleremo in modo più
esauriente nella seconda parte.
Infine dobbiamo
sottolineare come il metodo educativo sia una forte spinta alla speranza,
in quanto si fonda sui sentimenti e sulla certezza della fedeltà di Dio al
patto di alleanza da noi accettato per mezzo dei Sacramenti. Ora la speranza,
per la sua capacità di proiettarci nel futuro è segno di vita e quindi dove c’è
la speranza non può esserci l’angoscia di morte. Ne segue che
l’educatore-animatore deve saper risvegliare questo atteggiamento che è pure
una virtù teologale.
IN CHE COSA CONSISTE
ANGOSCIA: ESPERIENZA DI VITA
Dopo aver
fatto un discorso generale, penso sia utile soffermarci sulle tre angosce
fondamentali, per fare un discorso più specifico così da avere una maggior
chiarezza di idee e tracciare le strade da percorrere per poterne uscire.
Non possiamo
dimenticare che solo chi ha scoperto in se stesso quali sono i sintomi
dell’angoscia e quali possano essere gli strumenti per vincerla e ha fatto
l’esperienza su se stesso del valore di questi strumenti, può essere di aiuto
per coloro che, afflitti da questo male, ne vogliono uscire. Ciò è dovuto al
fatto che le angosce vengono prima della nostra facoltà razionale e fanno parte
dell’esperienza di vita, perciò solo attraverso l’esperienza si arriva alla
consapevolezza e alla scoperta dei mezzi per eliminarle.
PERDITA: ANGOSCIA DI MORTE
Vediamo
innanzitutto l’angoscia di morte.
Quando il
bambino è molto piccolo non ha ancora gli strumenti per passare dalle
sensazioni ai sentimenti.
Infatti questo
passaggio è frutto dell’esperienza che può iniziare prestissimo nella vita, se
il bambino ha vicino a sé delle figure che per lui sono importanti e lo aiutano
coi loro atteggiamenti, soprattutto con le parole, ad interiorizzare le proprie
sensazioni così da poter appropriarsene.
Ora noi
sappiamo che le sensazioni sono effimere e scompaiono con l’allontanarsi della
causa, ne segue che, le persone o le cose ritenute importanti per la propria
vita, quando scompaiono dai sensi del bambino, vengono vissute come ricadute
nel nulla; il bambino vive questo allontanamento come se fosse una perdita, in
quanto l’esperienza del ritorno richiede una memorizzazione dell’esperienza
precedente e un collegamento con l’esperienza seguente; questo collegamento è
dato dall’attesa che presuppone una interiorizzazione della esperienza
precedente ed una sua progressiva trasformazione in sentimento; mancando tutto
ciò, il bambino vive solo la perdita e ogni perdita è sentita come morte; da
qui l’angoscia di morte.
Infatti il primo concetto fondamentale di morte
nasce dalla sensazione di una partenza senza ritorno che produce un vuoto che
viene vissuto come insicurezza, perciò come fonte di ansia.
Ciò avviene
tutte le volte che una persona o un oggetto importante per il bambino, in
quanto gli produce un’immediata soddisfazione, si allontanano da lui.
Inoltre l’angoscia
di morte affonda le proprie radici nell’immaginario collettivo che legge come
morte il distacco di una persona; il linguaggio stesso chiarisce questo
concetto con un’affermazione lapidaria nei confronti di una persona con la
quale per gravi motivi si sono interrotti i rapporti umani: "Quella
persona per me è morta!".
SPACCATURA: ANGOSCIA DI MORTE
Inoltre, man
mano il bambino cresce, vive anche l’esperienza della spaccatura in se stesso,
che nasce dal contrasto di due desideri tra loro incompatibili, oppure dal
rifiuto del cambiamento prodotto dal passar del tempo e dalle modificazioni
prodotte dalle continue esperienze vissute, e noi sappiamo che ogni spaccatura
è segno di morte e perciò causa l’angoscia di morte.
A questo
riguardo sarà utile tener presente che nei primi tempi della sua vita il
bambino vive uno stato di simbiosi con la madre, per cui il suo allontanamento
è vissuto come una spaccatura che comporta la perdita della propria identità,
quasi il bambino avesse a concludere: io non sono nessuno, perciò non esisto.
Se viene a
mancare un’adeguata educazione, ogni cambiamento è vissuto come una perdita di
una situazione gratificante di sicurezza e come proiezione nell’insicurezza di
un futuro che porta solo ansia.
Questa
spaccatura spesso si esprime come schizofrenia, che assume anche il volto di
meccanismo di difesa contro la pressione che l’angoscia di morte crea nella
persona.
Passiamo dalla
spaccatura causa dell’angoscia alla spaccatura difesa dall’angoscia; questo
meccanismo viene usato spesso quando ci si trova di fronte ad angosce gravi e
viene chiamato identificazione con l’aggressore.
Si forma così
una spirale che fissa la situazione al punto da renderla irreversibile.
L’educatore
deve usare tutti gli strumenti che sono a sua disposizione perché le persone a
lui affidate non giungano a questo punto di non-ritorno, in quanto col passar
del tempo gli schemi mentali hanno prodotto i moduli cerebrali e, quando
interviene lo psichiatra non ha che lavorare su questi, usando i farmaci in
dosi sempre più massicce perché l’organismo tende ad assuefarsi.
ATTEGGIAMENTI DEI GENITORI: PERDITA
Questa
angoscia si forma e si aggrava per il fatto che, non realizzandosi il passaggio
dalle sensazioni ai sentimenti, non può crearsi l’unità bello-vero. A questo
punto è utile richiamare alla nostra memoria tutto il discorso che abbiamo
fatto nella parte teorica del metodo educativo in cui abbiamo illustrato il
passaggio dalle sensazioni ai sentimenti.
Ora mi sembra
utile fare il punto su alcuni atteggiamenti dei genitori, che vengono vissuti
come perdita, quali l’allontanamento senza che il figlio sia preparato, o il
non sostituire da parte dei genitori la presenza visiva con la presenza
uditiva.
Infatti, la madre, spesso occupata in mille mestieri, quando il bambino è tranquillo, non sente il bisogno di far sentire la propria presenza e questo anche perché, presupponendo da parte di tutti che basta sposarsi per saper essere genitori, non si educano a rispondere alle esigenze più profonde dei propri figli.
Infatti, la madre, spesso occupata in mille mestieri, quando il bambino è tranquillo, non sente il bisogno di far sentire la propria presenza e questo anche perché, presupponendo da parte di tutti che basta sposarsi per saper essere genitori, non si educano a rispondere alle esigenze più profonde dei propri figli.
È vero che il
bambino dorme, ma non fa solo questo, anzi man mano cresce aumentano i tempi in
cui è sveglio e, per poter star bene con se stesso, ha bisogno della sicurezza
che gli deriva dalla presenza della mamma: a questo deve essere educato.
Venendo meno tale presenza, il bambino cade nell’angoscia.
Venendo meno tale presenza, il bambino cade nell’angoscia.
Inoltre non
possiamo dimenticare che la persona ha una dimensione sociale che può essere
alterata dall’angoscia di morte.
Il peccato,
distruggendo la comunità, ha distrutto l’uomo; san Paolo lo dirà con una parola
forte: col peccato la morte è entrata nel mondo e tutti ne sono soggetti.
Questi fatti
portano a vedere nell’altro un nemico o un competitore; in ambo i casi si crea
un legame tra angoscia di morte, angoscia di solitudine e angoscia di
castrazione.
La dimensione sociale infatti ha delle espressioni complesse che, quando vengono meno, portano ad un accavallarsi di angosce, che va sotto il nome di angoscia esistenziale.
Per comprendere meglio questo discorso possiamo pensare a quelle persone che, per diversi motivi, vengono rifiutate dal proprio ambiente sociale; in questo caso anche il linguaggio è chiaro nel proprio messaggio, parlando di morte sociale.
La dimensione sociale infatti ha delle espressioni complesse che, quando vengono meno, portano ad un accavallarsi di angosce, che va sotto il nome di angoscia esistenziale.
Per comprendere meglio questo discorso possiamo pensare a quelle persone che, per diversi motivi, vengono rifiutate dal proprio ambiente sociale; in questo caso anche il linguaggio è chiaro nel proprio messaggio, parlando di morte sociale.
COME NASCE
PECCATO: ESPERIENZA DI PERDITA
Per
comprendere come nasca l’angoscia di morte, è necessario che abbiamo a vedere
il peccato come esperienza di perdita, nel senso che col peccato l’uomo ha
perso la propria donna; dato che l’uomo è stato creato maschio e femmina,
perdendo la donna, ha perso pure la propria identità; e la coppia ha perso
l’amicizia con Dio; inoltre ha perso definitivamente il giardino dell’Eden la
cui entrata è preclusa dal cherubino con la spada di fuoco.
Tutte queste
perdite si riassumono nel concetto di morte.
Da qui
l’angoscia di morte che prende l’uomo come tale e perciò anche nella sua
struttura sociale.
Il racconto
biblico assume anche un significato simbolico per ciascuno di noi e ci può
indicare la strada che il nostro inconscio percorre tutte le volte che
assumiamo atteggiamenti difformi alle norme o alle esigenze del super-Io: il
senso di colpa ci porta a perdere la persona per noi importante e significante,
ci fa perdere il punto di riferimento da cui attingiamo la sicurezza e la
chiarezza della nostra identità, e infine ci fa perdere la gioia del caldo nido
che ci era donato da queste persone. Una perdita vissuta come definitiva, in
quanto i sensi di colpa non ammettono perdono, ma conoscono solo la punizione.
Questo
continuo annodarsi del fatto morale col fatto psichico si prolunga nella vita,
diventando causa di una sempre più diffusa e radicata angoscia che colora
l’identità della persona, a meno che non intervenga un serio metodo educativo
che stacchi il fatto morale dal fatto psichico e che li risolva ciascuno nel
proprio campo, usando gli strumenti adeguati.
Perciò non
deve meravigliare se continuamente ricordiamo che la religione è un fattore
essenziale senza il quale non può essere concepita la vita umana, in modo
particolare per noi cristiani, in quanto col Battesimo siamo nati ad una nuova
vita e, solo portando alla sua pienezza questa vita, potremo evitare l’angoscia
di morte, perché chi crede in Gesù non vedrà mai la morte, ma in lui vi è la
vita eterna.
Ancora una volta possiamo toccare con mano come il cristianesimo con gli strumenti che ci fornisce ci dà la possibilità di uscire dalle nostre angosce, in modo particolare dall’angoscia di morte. Già abbiamo accennato come il battesimo ci fa uscire dall’angoscia di morte per metterci in rapporto con la fonte stessa della vita che è il Padre che ci fa nascere alla sua stessa vita. Ne segue che per mezzo dei sacramenti noi ricostruiamo la nostra unità così da superare l’angoscia di morte. In questo contesto abbiamo la possibilità di affrontare il fatto psichico, mettendo in luce le cause dei nostri sensi di colpa, prima che degenerino in angoscia di colpa. Potremo così rompere la spirale dell’angoscia.
Ancora una volta possiamo toccare con mano come il cristianesimo con gli strumenti che ci fornisce ci dà la possibilità di uscire dalle nostre angosce, in modo particolare dall’angoscia di morte. Già abbiamo accennato come il battesimo ci fa uscire dall’angoscia di morte per metterci in rapporto con la fonte stessa della vita che è il Padre che ci fa nascere alla sua stessa vita. Ne segue che per mezzo dei sacramenti noi ricostruiamo la nostra unità così da superare l’angoscia di morte. In questo contesto abbiamo la possibilità di affrontare il fatto psichico, mettendo in luce le cause dei nostri sensi di colpa, prima che degenerino in angoscia di colpa. Potremo così rompere la spirale dell’angoscia.
RIFIUTO DELLA DIMENSIONE SOCIALE
Mi sembra
utile passare a vedere un’altra fonte dell’angoscia di morte che è data dal
rifiuto di vivere in modo adeguato la propria dimensione sociale, dovuto al
fatto che la nostra società ha ridotto le persone a contenitori pubblicitari:
dietro la facciata c’è solo il vuoto.
E, avendo
promesso a queste persone la felicità, quando questa non viene raggiunta, si
sfocia nel dramma, cioè si arriva al rifiuto totale e, dato che tutto è stato
ridotto ad apparenza, basta sopprimere questa e tutto è risolto: così abbiamo
un aumento di suicidi che spesso sembrano inspiegabili, se non tenessimo
presente come siano il segno della più profonda angoscia di morte.
Infatti
l’angoscia mette in condizione di correre incontro a ciò che fa paura perché
l'attesa è peggiore del pericolo.
Potremmo
chiederci quale possa essere la radice profonda di questo disagio che sfocia
nel dramma.
La risposta ci
porta a mettere in luce che tutto parte dal fatto che si vive in modo ansiogeno
l’esperienza del limite e della relatività per cui diventano fonte di
insicurezza nel presente, di sfiducia in se stessi riguardo al passato, in
quanto si scopre il crollo delle proprie utopie, e di ansia riguardo al futuro,
in quanto si teme un nuovo fallimento dei propri sogni.
Ci troviamo
così di fronte all’angoscia di morte, perché viviamo ogni cambiamento come se
fosse una perdita di noi stessi.
Solo quando
sapremo vivere serenamente questi due meccanismi psichici fondamentali, allora
vedremo nel cambiamento una conquista ed una maturazione. Perciò è necessario
essere guidati da un saggio metodo educativo che porti a scoprire che questa
nostra situazione di fatto non è poi così drammatica, anzi ha degli aspetti che
sono essenziali per una vera ed adeguata conoscenza di noi stessi e quindi per
una nostra capacità di esprimerci che sia realmente umana, senza fughe in
compensazioni o in meccanismi di difesa.
ANGOSCIA: I MEZZI PER SUPERARLA
Dopo aver
visto l’angoscia di morte nella sua genesi e nelle sue espressioni, siamo
chiamati a trovare i mezzi per superarla.
Il primo aiuto
ci viene dal metodo educativo che stiamo proponendo, in quanto il passaggio
dalle sensazioni ai sentimenti obbliga ad interiorizzare anche le esperienze di
perdita che sono la causa dell’angoscia di morte.
Questo lavoro
di interiorizzazione le libera dalla carica ansiogena, le smitizza,
riportandole alle loro reali dimensioni.
Tuttavia il
nostro impegno non si ferma qui, ma ci porta a costruire uno stile di vita che
impedisca il riformarsi di tale angoscia.
Il primo passo
consiste nel vivere il proprio Battesimo, in quanto è l’antidoto all’angoscia
di morte, per il fatto che, oltre darci una vita nuova, ci mette in condizione
di usufruire di tutti i mezzi per portarla alla sua più piena espressione
attraverso la partecipazione alle celebrazioni liturgiche.
Questo ci dice
come il catechismo sia parte integrante del metodo educativo.
Per catechismo non intendiamo indottrinamento, col quale la testa viene imbottita di nozioni che spesso deformano invece che formare.
Per catechismo non intendiamo indottrinamento, col quale la testa viene imbottita di nozioni che spesso deformano invece che formare.
Il catechismo
è un momento educativo in cui scopriamo i motivi che ci orientano a vivere uno
stile di vita, per cui diventa il momento di incontro dei sentimenti,
vivificati dalle celebrazioni liturgiche, con la verità, ravvivata dalla
ricerca, così da muovere la volontà a vivere in modo coerente, e ciò attraverso
la partecipazione all’oratorio.
In questo contesto possiamo riscoprire il concetto del rapporto sponsale con Dio che ci mette in condizione di essere portatori di vita, cioè testimoni. Viene superata la frattura prodotta dal peccato per ricostruire l’unità che, per sua natura, è fonte di vita.
In questo contesto possiamo riscoprire il concetto del rapporto sponsale con Dio che ci mette in condizione di essere portatori di vita, cioè testimoni. Viene superata la frattura prodotta dal peccato per ricostruire l’unità che, per sua natura, è fonte di vita.
Se l’angoscia
di morte nasce dall’esperienza della perdita, fare l’esperienza di un rapporto
indissolubile con Dio attraverso l’accettazione del patto di alleanza, porta
automaticamente a superare in modo definitivo questa stessa angoscia di morte.
Inoltre il
metodo educativo ci porta a vivere il nostro ruolo sessuale e perciò a prendere
coscienza della nostra identità, facendoci superare ogni tipo di divisione e di
angoscia di morte, in quanto il ruolo sessuale ci porta a vivere in modo
adeguato la nostra dimensione sociale. Di questo parleremo in modo più esauriente
nella seconda parte.
Infine
dobbiamo sottolineare come il metodo educativo sia una forte spinta alla
speranza, in quanto si fonda sui sentimenti e sulla certezza della fedeltà di
Dio al patto di alleanza da noi accettato per mezzo dei Sacramenti. Ora la
speranza, per la sua capacità di proiettarci nel futuro, è segno di vita e
quindi dove c’è la speranza non può esserci l’angoscia di morte.
Ne segue che
l’educatore-animatore deve saper risvegliare questo atteggiamento che è pure
una virtù teologale.
di don Carlo Colombo
Nessun commento:
Posta un commento