Presentato il quinto gruppo delle proposte degli “Amici della domenica “ per le candidature al Premio Strega 2019
Gli Amici potranno inviare le loro proposte entro le ore 12 di venerdì 7 marzo 2019, ecco la quinta quartina:
«Se fossi dietro una bancarella del mercato – cosa che non mi
dispiacerebbe – direi «venite, leggete questo romanzo che in neanche
duecentocinquanta pagine intreccia compiutamente quattro storie, anzi di
più: contiene uno, due mondi!» L’Italia, l’Europa, il nostro tempo così
difficile da raccontare, anche solo perché la frammentarietà delle
esistenze sembra rendere quasi impossibile afferrarne una porzione che
oltrepassi le mura di casa. Forse proprio per questo il nostro mondo è
così ossessionato Da un altro mondo che sbarca sulle nostre coste e si
adagia ai suoi margini in una dimensione parallela descritta da Zygmunt
Bauman con «vite di scarto». Ed eccole «le vite di scarto» di questo
romanzo. Il ragazzo Khaled, fuggito da una guerra in Medioriente, parte
dal cuore d’Europa, Bruxelles, con un trolley rosso per attraversare
un’Italia di capannoni abbandonati, fabbriche in nero, sotterranei.
Nella direzione opposta si muove il maresciallo Vitale a cui tocca
l’ingrato compito di indagare sul caso dei «Bambini Viventi», così
battezzati dall’isteria collettiva e mediatica, le cui prime inquietanti
apparizioni sono segnalate in una scuola del sud, a Palermo. Intanto,
una madre belga cerca il figlio scomparso un giorno qualsiasi in cui lei
svolgeva il proprio oscuro lavoro, puliva degli uffici nella capitale
politica d’Europa. Visto che poliziotti e magistrati vagano
nell’incertezza, arresi all’idea che possa essere stato risucchiato
dalla galassia jihadista o da quella neonazista, entrambe attivissime in
rete con parole d’ordine spaventosamente simili, Karolina non si dà per
vinta. Comincia a cercarlo ovunque, da sola. Infine c’è Orso, un
vecchio burbero solitario, che compie pure lui un «viaggio dell’eroe»,
anche se non si muove affatto dalla sua cascina al centro della pianura
padana emiliana, perché l’imprevedibile lo coglie inaspettatamente tra
le stesse mura di casa. Nel romanzo di Evelina Santangelo convivono
dunque personaggi reali e personaggi inafferrabili, ossia veri e propri
fantasmi. Una delle maggiori intuizioni del magistrale impianto sta
nell’aver ridotto i gradi di separazione tra gli uni e gli altri. Cos’è
un giovane neet finito chissà dove? Cosa diventa Karolina che perde
l’unica amica e il lavoro per cercarlo? O Khaled che rimpiange un
violento capocantiere chiamato «Padre Buono»? Cos’è il brutale Orso «di
nome e di fatto» che diventa una minaccia per la sua stessa comunità?
Questo è un romanzo che restituisce significato alle parole
«compassione» e persino «carità», ma «buonista» non lo è per nulla. Per
merito, innanzitutto, di una lingua tanto duttile quanto precisa,
screziata di toni colloquiali, a tratti violenta, come è il mondo che
esplora, mai tentata di schiacciare il pedale confortante del
sentimentalismo. È un libro coraggioso, perché oggi occorre coraggio a
voler conferire dignità agli «umili e offesi», vuoi che siano giunti da
un altro mondo vuoi che appartengano al nostro. Consapevole del rischio,
Evelina Santangelo cerca il sostegno dei maestri del racconto del reale
e del fantastico – da Sciascia a Stephen King a Morante e altri ancora.
Solo la letteratura, d’altronde, è in grado di rendere paure, desideri e
tutto ciò che – pur invisibile – guida le nostre vite altrettanto reali
del teatro in cui le vite stesse si svolgono. L’ultimo motivo per
essere grati a questo libro è ritenerlo un’opera letteraria capace di
reinventare le proprie possibilità e il proprio compito.»
Evelina Santangelo si è laureata in Lettere Moderne presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Palermo.
Ha collaborato con il quotidiano "L'Ora"
Ha frequentato corsi di linguistica e lingua inglese presso la Cornell University (Ithaca, New York).
A Torino ha studiato Tecniche della Narrazione.
Ha frequentato un corso avanzato di Creative Writing con la scrittrice Heléna Viramontes (Cornell University, Ithaca, New York).
In seguito ha lavorato come redattrice ed editor per la Narrative italiana e inglese presso la casa editrice Einaudi, la stesura dei racconti, l'insegnamento di Tecniche della Narrazione presso la Scuola Holden.
Ha collaborato con il quotidiano "L'Ora"
Ha frequentato corsi di linguistica e lingua inglese presso la Cornell University (Ithaca, New York).
A Torino ha studiato Tecniche della Narrazione.
Ha frequentato un corso avanzato di Creative Writing con la scrittrice Heléna Viramontes (Cornell University, Ithaca, New York).
In seguito ha lavorato come redattrice ed editor per la Narrative italiana e inglese presso la casa editrice Einaudi, la stesura dei racconti, l'insegnamento di Tecniche della Narrazione presso la Scuola Holden.
«Richiamandosi idealmente al suo folgorante esordio narrativo con Cercando l’imperatore,
epica rievocazione degli ultimi giorni dello zar Nicola II, Pazzi
focalizza qui il suo sguardo affabulante su un altro imperatore nel
momento del declino: Napoleone prigioniero degli Inglesi sulla nave in
rotta per Sant’Elena. E lo fa in maniera magistrale, mescolando romanzo
storico e diario intimo, memento mori e fantasmagoria narrativa,
con grande lucidità intellettuale e visionaria capacità di rivisitare
momenti e figure della Storia. Nel tedio e nei malanni del viaggio,
Napoleone rivive memorie e fantasmi della sua vita inimitabile: da Maria
Luisa d’Austria a Metternich, da Talleyrand a maman Letizia
Ramolino, da Paolina Borghese a papa Pio VII, una ridda di illustri
ectoplasmi bussa alla porta della sua cabina. Sono figure nate dal
ricordo, che come personaggi sfuggiti al loro autore via via prendono
corpo e si trasformano in interlocutori in carne e ossa, rubandosi a
vicenda il testimone in un’appassionata staffetta narrativa. «Non era
finita, lui non credeva a quell’epilogo della sua storia, dopo Waterloo.
Qualcosa di inaspettato sarebbe sopraggiunto»: nel condottiero
sconfitto non si è spenta la sete di romanzesco che, giovanissimo,
l’aveva spinto a tentare la strada delle lettere con il romanzo Clisson et Eugénie .
E qui Pazzi ha l’intuizione davvero felice di resuscitare da quelle
pagine giovanili il personaggio di Eugénie, come a dirci che la verità
della letteratura sopravanza i clangori della Storia, dandocene la
chiave di lettura più autentica e profonda. Eugénie che scrive sul
quaderno di bordo è insieme l’appassionata deuteragonista di Napoleone
scrittore mancato, e la controfigura narrativa dell’autore di Verso Sant’Elena. Nella Nuova enciclopedia
Alberto Savinio osserva che «Napoleone diventò quello che tutti sanno,
ma non riuscì a diventare quello che nel suo intimo desiderava: un
letterato». Roberto Pazzi trasforma questo spunto in una profusa
celebrazione di quell’indispensabile effetto-Sheherazade che fa della
necessità di scrivere una questione di vita o di morte. Se neppure
Napoleone riuscì a padroneggiare la Storia – è la sua riuscita scommessa
– un vero scrittore può invece reinventarsi continuamente il destino
padroneggiando una storia.»
Vive a Ferrara, dove insegna all’università e tiene annuali corsi di
scrittura creativa, svolgendo un’intensa attività di conferenziere nei
vari paesi del mondo dove è diffusa la sua opera.
Laureatosi in lettere classiche a Bologna con Luciano Anceschi e una
tesi in estetica sulla poetica di Umberto Saba), ha insegnato nella
scuola superiore e nell’università a Ferrara antropologia culturale e
filosofia della storia e a Urbino sociologia dell’arte e della
letteratura.
Tradotto in ventisei lingue (inglese, francese, tedesco, spagnolo,
catalano, portoghese, brasiliano, finlandese, danese, olandese, ceco,
russo, rumeno, sloveno, giapponese, arabo, turco, greco, estone,
lituano, polacco, slovacco, croato, serbo, bulgaro, albanese e coreano)
ha esordito in poesia con una silloge apparsa sulla rivista Arte e
poesia nel 1970, prefata da Vittorio Sereni.
Le sue raccolte di versi sono: L’esperienza anteriore (I dispari,
1973), Versi occidentali (Rebellato 1976), Il re, le parole (Lacaita,
1980), Calma di vento (Garzanti, premio internazionale E. Montale 1987,
tradotto in francese nelle Editions de la Différence), Il filo delle
bugie (Corbo, 1994), La gravità dei corpi (Palomar, 1998, tradotto in
tedesco da Tropen e in turco da Estetik Us, premio Frascati, premio
Calliope, premio Marineo), Talismani (Marietti 2003) e Felicità di
perdersi (Barbera, 2013).
Il suo esordio narrativo avviene nel 1985 con Cercando l’Imperatore,
prefato da Giovanni Raboni (Marietti 1985, Garzanti 1988, Tea 1997,
Marietti 2004, premio Bergamo, premio Hemingway, premio Selezione
Campiello 1985, tradotto in dodici lingue), “Storia di un reggimento
russo disperso in Siberia, durante la Rivoluzione Russa, in cerca
dell’Imperatore”, dalla critica concordemente collocato sulla linea
fantastico-visionaria della nostra narrativa, quella meno frequentata
nel Novecento italiano. Seguono poi alcuni romanzi dove la storia si fa
pretesto di reinvenzione fantastica su una linea di pensiero
antistoricistica: La principessa e il drago (Garzanti 1986, finalista
premio Strega 1986, presentato da Giorgio Caproni e Giovanni Raboni,
premio Rhegium Julii, premio Piombino), La malattia del tempo (Marietti
1987, Garzanti 1991), Vangelo di Giuda (Garzanti 1989, superpremio
Grinzane Cavour 1990, ristampato da Baldini&Castoldi nel 1999, e da
Sperling e Kupfer nel 2006), La stanza sull’acqua (Garzanti 1991,
finalista premio Napoli, ristampato da Bompiani nel 2012).
Con Le città del dottor Malaguti (Garzanti 1993, premio
Castiglioncello, premio Catanzaro) la narrativa di Pazzi, pur rimanendo
di ispirazione visionaria, approda al presente, alla cronaca italiana di
questi anni, alla città dove il narratore vive, Ferrara. Ecco allora i
romanzi successivi, Incerti di viaggio (Longanesi 1996, premio Selezione
Campiello, superpremio Penne-Mosca 1996), Domani sarò re (Longanesi
1997), La città volante (Baldini & Castoldi 1999, finalista al
Premio Strega, presentato da Dario Fo e Sebastiano Vassalli, in ristampa
da Frassinelli ), Conclave (Frassinelli, 2001, ristampato da Barbera
nel 2012, premio Scanno, premio Comisso, Superpremio Flaiano, premio
Stresa, premio Zerilli Marimò della New York University, premio Rapolano
Terme, finalista premio Viareggio, finalista premio Bigiaretti,
tradotto in Germania, negli USA, in Estonia, in Slovacchia, Francia,
Spagna, Portogallo, Russia, Turchia, Polonia, Serbia, Brasile, Croazia e
in corso di traduzione in Giappone, Lituania, Albania e Corea), L’erede
(Frassinelli 2002, finalista premio Viareggio, premio Maria Cristina,
tradotto in tedesco), Il signore degli occhi (Frassinelli 2004, tradotto
in sloveno, premio Cala di Volpe), L’ombra del padre (Frassinelli 2005,
tradotto in francese, premio Elsa Morante Isola di Procida), Qualcuno
mi insegue (Frassinelli 2007), Le forbici di Solingen (Corbo 2007), Dopo
primavera (Frassinelli, 2008), Mi spiacerà morire per non vederti più
(Corbo 2010), D’amore non esistono peccati (Barbera 2012) e La
trasparenza del buio (Bompiani, 2014).
Attualmente, dopo dodici anni di collaborazione esclusiva al Corriere
della Sera, scrive in Italia sulle pagine culturali di diversi
quotidiani italiani fra i quali Il Resto del Carlino, La Nazione e Il
Giorno e all’estero su The New York Times.
«In tempi in cui il fanatismo religioso giustifica nella coscienza degli autori i più efferati delitti col miraggio dell’al di là, rischiamo di dimenticarci di un altro dio immanente alla nostra società: il dio denaro. E’ lui, il dio Mammona, il vero dio cui obbediscono i comportamenti della maggior parte degli uomini e soprattutto degli uomini di successo. Absconditus deus, ma non per questo meno assoluto, costantemente presente nelle intenzioni e negli atti dei suoi ministri, che professano devotamente, ancorché non dichiaratamente, la loro totale dedizione a quell’unico dio; il resto è solo mascheramento della loro devozione. Il protagonista del romanzo di Sandro Gros Pietro, Fratello cattivo, butta via la maschera. Sostituisce risolutamente i Dieci Comandamenti con i Dieci Fondamenti della Ricchezza, divinità della quale si autoconsacra sacerdote e che gli fornisce un alibi per ogni misfatto, avendo come obiettivo l’al di qua.Il protagonista di questo romanzo, la sua storia, la sua dissimulata autoreferenzialità sono narrati da Sandro Gros-Pietro in un modo incalzante e coinvolgente, sull’orlo della nevrosi.»
Poeta, scrittore e saggista. È nato nel 1946 a Torino, ove tuttora vive. Dopo la laurea in Economia si dedica all’insegnamento, ha svolto diverse attività nel campo della consulenza, dell’insegnamento e del commercio.
Esordisce in poesia nel 1974 con una raccolta di liriche auto-pubblicate. Nel 1980 fonda la “Genesi Editrice” intorno alla collana “I gherigli”. Dal 1989 dirige la casa editrice in società con la moglie Eleonora. Dal 2000 si dedica in esclusiva all’attività letteraria. Ha pubblicato diverse opere, di poesia: Il soggolo (1974), Io sono cento (1977), Pause (1978), La battaglia di Marostica (1979), Dado caudato (1981), Qual buon vento (1986), Centamore (1988), Postura alla corte di Vulcano (1996), L’erbosa riva (1998, antologia curata in coll. con E. Andriuoli); di narrativa, il romanzo Da qualche parte è primavera (1986) da cui ha tratto, con Paolo Quaregna, la sceneggiatura Capogiro (1988); di saggistica: Elogio della calvizie di Sinesio (2003, tr. dal greco), Liliana Ugolini. Poesia, teatro e raffigurazione del mondo (2005). È presidente dell’associazione “Elogio della poesia” che ha indetto i convegni di poesia: “Intra et extra moenia (2002), “Nostalgia dell’eterno (2003) e “Natura benigna/Natura matrigna (2006).
«Quella metà di noi è un romanzo intenso e coinvolgente, ambientato nella Torino dei nostri giorni, in cui si muovono una folla di personaggi a cui Paola Cereda affida il compito di narrare le contraddizioni e le difficoltà della condizione contemporanea. La storia centrale è quella di Matilda, una maestra in pensione, che per ripagare un debito ricomincia a lavorare prendendosi cura di un anziano. Tutti e tutto la condizionano: le passate esperienze, i familiari, la situazione lavorativa. Lo spostarsi dalla periferia al centro di Torino, la nuova solitudine e le inedite complicità. Il romanzo, sostenuto da una lingua precisa ed essenziale, pagina dopo pagina diviene la narrazione della condizione liminare che, in alcune fasi della vita, tutti dobbiamo affrontare e interroga il lettore sulla possibilità di non restare sulla soglia ma di diventare capace di immaginare, scegliere e progettare il futuro.»
Nata e cresciuta in Brianza, si è laureata in Psicologia a Torino con una tesi sull'umorismo ebraico. Si è specializzata in diritti umani e cooperazione internazionale, in particolare in progetti artistici e teatrali nel sociale.
Ha viaggiato e lavorato in molti paesi del mondo. Attualmente vive a Torino e collabora con ASAI, Associazione di Animazione Interculturale, dove si occupa di progetti artistici con minori italiani e stranieri. Cura la regia e la drammaturgia della compagnia teatrale integrata assaiASAI, nella quale recitano ragazzi di età, provenienze e abilità differenti.
Vincitrice di numerosi concorsi letterari, è stata finalista al Premio Calvino 2009 con il romanzo Della vita di Alfredo (Bellavite). Per Piemme ha pubblicato nel 2014 Se chiedi al vento di restare (Finalista al Premio Rieti).
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