Perché non
pensare a una rinascita? «Non v’è parto
senza tribolazione. Io sono la nuova alba, colei che conduce a nuovi mondi. Il
grembo attraverso il quale ci si forma a nuova esistenza. In me non v’è più
paura e sofferenza».
Oggi vi propongo un mio racconto dove un vecchio si ritrova
a ballare con una donna affascinate quanto inquietante.
Buona lettura.
Io sono sollievo
La luce al
neon si fa abbacinante, riverberata dalle pareti della camera; un bagliore che
assorbe i movimenti di un camice bianco. Le vibrazioni ovattate si perdono
nell’aria; un viso, rigato dalle lacrime, va sfocando stemperandosi nella
nebbia che alleggerisce i sensi. Un’incoscienza che avvolge il corpo del
professore come un sudario, un antidoto contro lo strazio della malattia che
azzanna le membra con ferocia.
Chiude le
palpebre il professore, come fossero persiane sul mondo, lasciando fuori
rumori, immagini e sensazioni. Esausto, scivola con dolcezza nel sottile
confine fra il reale e l’etereo. Come la notte si dissolve nel giorno nell’equilibrio
dell’albore, così il sogno subentra alla vita che si allontana affievolendosi.
Il pensiero fluttua in un tepore gradevole; alienandosi da ogni senso,
assottiglia il respiro in sibili sino a smorzarsi. Il battito che scandiva i
secondi si va esaurendo in rintocchi di congedo. La coscienza è un’ombra
assorbita dall’oscurità. Un soffio, un batter d’ali nel silenzio scaccia il
nulla. Una nuova alba dissolve il buio; luce limpida di mattino che, penetrando
dalle finestre, illumina una stanza che lentamente prende una forma eterea.
Immobile, nel centro del salone, l’uomo riconosce sbalordito il casale della
nonna, luogo incantato dove, fanciullo, assaporò giorni spensierati.
Un soffio
sottile attraversa la sala, colmandola di una fragranza delicata quanto
indefinibile. L’uomo è pervaso dal benessere conosciuto allora, un vigore e un’energia
dimenticati, che lo proiettano nell’incontenibile esuberanza di quell’età. Non
corpo a racchiudere l’essenza dell’essere, ma pura consapevolezza.
Leggera quanto
una piuma, una figura femminile prende corpo dinanzi a lui. Affascinato, il
professore contempla la bellezza nascente. Sinuosità nelle labbra e capelli
corvini che scivolano lungo la schiena; la carnagione bronzea esalta lo
smeraldo di occhi limpidi. Non la minima imperfezione nella pelle liscia,
mentre la veste scorre come un velo d’acqua lungo le curve del corpo, lasciando
scoperte le caviglie e i piedi scalzi.
Un lieve
sussurro dà vita a una dolce melodia: una ballata bretone che s’espande
colmando la sala di vibrazioni. La donna alza il braccio, porgendo all’uomo la
mano e invitandolo a ballare. Il sorriso incita a lasciarsi guidare.
«Chi sei?»
domanda l’uomo, accennando un inchino.
«Mille sono i
volti che mi attribuite» risponde lei, con voce calda. «A mille nomi io
rispondo: Ana, Aita, Hel, Azreal, Destino, la Nera Signora».
Una rivelazione che non spaventa l’uomo,
rasserenato dalla serenità che fluisce dalla mano calda di lei, che stringe
delicatamente nella sua. Un calore consolatorio quanto una carezza nello
scacciare un incubo.
«Io sono
donna, uomo, bambino, guerriero, angelo e madre. Porto consolazione,
risoluzione. Io sono sollievo». La voce lascia assaporare la delicatezza che la
parola esprime.
«Mi temete, mi
odiate, mi rifulgete nell’illusoria ricerca dell’immortalità. Io amo la vita,
di cui sono sorella, seppur l’opposto necessario. Siamo come la luce e le
tenebre, il giorno e la notte: l’una necessaria all’altra. Non c’è vita senza
morte, né morte senza vita. Il fiore sboccia, sfoggia la propria bellezza,
accoglie in sé la vita, ma deve prima appassire per poi morire, così da
trasmettere la vita stessa al seme. Tutti i giorni il sole muore dietro
l’orizzonte per risorgere il mattino».
«Ma tu sei
dolore per chi resta, vuoto e gelo nelle ossa».
«Non v’è parto
senza tribolazione. Io sono la nuova alba, colei che conduce a nuovi mondi. Il
grembo attraverso il quale ci si forma a nuova esistenza. In me non v’è più
paura e sofferenza».
«Tu non
conosci dolore, né cosa sia la paura».
«Ti sbagli.
L’uomo m’incute terrore» ribatte lei, incupendosi. «Mi accusate di crudeltà, di
seminare afflizione e tragedie. Ma siete voi i primi a non amare la vita. Non
sono io a colmare i bicchieri annebbiando la mente; non sono io a premere
l’acceleratore o a vendere l’inferno in pasticche promettendo il paradiso. La
mia mano non arma chi preme il grilletto o fomenta odio, non illudo le folle
aizzandole in guerre sante proclamando superiorità o promettendo gloria e
potenza. Non sono io ad avvelenare le acque, l’aria e il cibo in nome del
danaro, dio che adulate ingozzandovi di opulenza, lasciando milioni di vostri
simili a bramare persino dell’acqua imbevibile. L’avidità umana soggioga
bambini innocenti schiavizzandoli, comprandone il corpo con una manciata di
monete. Vendete l’anima per tesori che accecano la mente».
L’uomo le
stringe la mano al fianco, sentendo ogni parola come un’accusa, una stilettata.
«Accompagno
l’uomo verso la propria fede, la speranza, il riposo e il sogno. Io sono
testimone assoluta, ho toccato con mano l’orrore di cui la bestia umana è
capace. Le fiere uccidono per nutrirsi, l’uomo uccide per rabbia, egoismo e
ottusità. Ho visto in voi la crudeltà, assente negli altri esseri viventi,
l’innaturale propensione nel produrre dolore. Avete creato marchingegni
infernali per torturare, martoriare e sterminare interi popoli. Avete
crocefisso, lapidato, impalato. Ho visto notti buie illuminate dai roghi
appiccati da falsi religiosi». Nei suoi occhi un’umanità disarmante.
«Ho
accompagnato bambini, donne, vecchi attraverso alti camini consegnandone le
polveri al vento. Negli occhi degli aguzzini una cieca crudeltà mai scorta in
nessuna belva, nemmeno la più feroce. Negli occhi delle vittime, invece, l’incredulità,
la sofferenza, la disperazione e l’orrore inconsolabile. Ciò che più mi fa male
è il non saper rispondere alla domanda: perché? Perché tutto questo dolore?»
«Non esiti,
però, a reclamare ciò che ti spetta, senza riguardi verso giovani, sani, felici
o giusti».
«Io sono
risolutrice, non destino. Non è nella natura invocare la morte; tuttavia, ho
visto uomini, giovani e sani, implorarmi di porre fine a sofferenze
insopportabili. Malvagità che nulla ha di naturale».
«Vi sarà,
tuttavia, qualcosa di buono nel mondo».
«Potete
sentire il calore del sole» risponde trasognata. «Il soffio del vento, la
fragranza di un fiore. L’uomo ha avuto doni straordinari, così numerosi da non
accorgersene nemmeno. Tesori inestimabili accantonati come fossero ninnoli di
poca importanza o, peggio, usati nel peggiore dei modi. Il più grande di tutti è
l’amore, termine di cui abusate, ma vi guardate bene dall’usarne la forza. Amore
è vita, padre e madre di tutti i sentimenti umani; aria, polline, calore, luce
che indica la via. L’amore è immortale, preghiera in una carezza; è quel nome
che il cielo infinito non può contenere. Amore è verbo generoso. Amore e odio
si possono elargire con la stessa facilità, eppure l’uomo troppo spesso
propende per quest’ultimo. Un sentimento da cui attinge a piene mani, tanto da
incutermi timore».
«Come puoi
temere l’uomo su cui tieni sospesa la mannaia?»
«Temo l’uomo
perché può decretare la mia fine e, con essa, quella della vita stessa».
«Com’è
possibile?»
«L’uomo non
rispetta la vita, ma la rinnega per mero profitto o cieca follia. Un giorno
annienterà il miracolo dell’esistenza, sentenziando la mia fine con quella
dell’umanità. Ne ha i mezzi». La mano stringe quella dell’uomo mossa da un
fremito; lui sospende la danza, fissando gli occhi della donna.
«Non crucciare
il tuo animo, però; il tempo della sofferenza ha termine» sussurra lei,
guardandolo compassionevole. «Abbandona ogni tormento, lasciati avvolgere dal
sollievo e segui i miei passi».
L’atmosfera
si carica di sensazioni amplificate, emozioni che l’uomo assapora per la prima
volta, senza che esse siano filtrate dal corpo o diluite dalla razionalità.
Vibrazioni pure che vanno catalizzandosi attorno a lui facendosi fluide. Un
liquido caldo e avvolgente che ricolma lo spazio con la dolcezza di una nenia;
una percezione di benessere, l’estasi di un amplesso, dove l’uomo si dissolve
diventandone parte integrante.
Lo spazio si
condensa nella vibrazione di un bacio a fior di labbra. Risucchiato in un
vortice, fluttua nel caldo conforto di un grembo materno. Non fine, ma
imperscrutabile scintilla che apre nuove dimensioni: l’immenso attraversato in
un soffio, assorbendone l’amore in un respiro. Poi, il tutto.
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