di Pierangelo Colombo

giovedì 19 aprile 2018

Insegnami a giocare con le bambole


Il miglior regalo che possiamo fare ai nostri figli, e a noi stessi, è il tempo. Non lo vendono nei negozi né su internet. Lo troviamo solo in noi stessi, nella nostra disponibilità e nell’essere coscienti che ogni ora persa nello stare insieme non sarà mai più recuperata. Troppe volte mettiamo in primo piano traguardi che esaltano il successo personale, la carriera o un’effimera posizione sociale, tralasciando quello che veramente conta nella vita. A volte accadono degli avvenimenti che, scombussolandoci la vita, ci aprono gli occhi, costringendoci a rivalutare e riordinare la scala delle priorità.
A questo argomento vorrei dedicare il mio racconto di oggi.



 
Insegnami a giocare con le bambole




È notte fonda quando Marco spegne il computer: il sonno si è fatto indomabile, le palpebre bruciano. Anche per questa volta deve abbandonare il campo di battaglia sopraffatto dalla stanchezza, una lotta quotidiana che ingaggia nei confronti del tempo: dormire è una perdita di minuti preziosi. Concede al sonno soltanto lo stretto necessario a riprendere le forze, conscio d’avere dinanzi a sé un’eternità per il riposo.
Silenzioso come un fantasma, discende le scale che dalla mansarda portano in cucina senza accendere la luce: dalla finestra spalancata entra discreta la luce della luna. Accostandovisi, un soffio di brezza lo accarezza, movendo appena quel ciuffo ribelle che mai ha saputo domare. Una folata più decisa porta il profumo di erba bagnata, di notte placida di fine estate, di boschi di montagna. L’autunno, deciso a spazzare via i fasti della bella stagione, dà le prime avvisaglie del prossimo arrivo della pioggia, mentre Marco ammira la vicina betulla che pare danzare per la luna. Le foglie fruscianti, ormai al termine della vita, lottano invano per restare aggrappate ai rami e, cedendo infine alle lusinghe del vento, si lasciano rapire e portare verso l’ignoto. Quale perfetta similitudine alla propria condizione: Marco, infatti, sente spirare un vento impetuoso deciso a strapparlo dalle proprie radici, dalla propria vita; vi si oppone, certo, ma sa che si tratta di una lotta impari. La sentenza è scritta nero su bianco: il suo tempo sta per scadere.
Marco si lascia avvolgere da profumi e dalla voce suadente del vento errante che mai cessa la propria corsa. Soltanto negli ultimi mesi si è reso conto di quanto sia fantastico il mondo; attento ai minimi particolari, apprezza tutto ciò che prima non ha mai nemmeno considerato: adesso può perdersi nello splendore di un fiore, la fragranza di un profumo o l’immensità del volo di un uccello. Scruta incantato le bellezze del creato, rammaricandosi del tempo sprecato a rincorrere cose futili trascurando ciò che di magnifico lo circonda. Ora che il tempo rimastogli è esiguo, non intende perdersi nulla. Ogni granello di sabbia è importante nella clessidra dei giorni.
  Verso l’orizzonte, oltre il bosco, l’alone di luce si leva dalla città inquinando il cielo, e a farne le spese sono le stelle più fievoli: nella volta celeste, infatti, si possono scorgere soltanto le più brillanti. Cerca d’individuare l’orsa maggiore: nonostante ci abbia provato altre volte, non è mai riuscito a distinguerla con certezza.
Un brivido freddo interrompe i pensieri; si ritrae dalla finestra, richiudendola. Avviandosi stancamente verso la camera, si ferma dinanzi alla porta della figlia: ne percepisce il respiro lieve, quasi una carezza data all’aria. Entra. La piccola luce a forma d’orsetto, infilata nella presa sulla parete, neutralizza i colori tingendo la camera di mille tonalità d’arancio. Un gradevole tepore lo avvolge, dissipandone il senso d’oppressione che lo accompagna. Ogni volta si meraviglia della grande sensazione di benessere, di tranquillità, che aleggia nella camera di un bimbo che dorme. Una zona franca, dove tutto il brutto del mondo sembra non esistere, il tempo si sospende e, incontrastata, regna l’infinita fantasia dei bambini, il loro modo di semplificare la vita; tutto ha un rimedio: nei loro giochi il dottore trova sempre la medicina giusta e, se non basta, possono chiedere aiuto alla fatina.
Rilassato dall’atmosfera, percepisce la serenità della figlia, la sicurezza e la grande fiducia riposta nei propri genitori. Una fiducia smisurata, cresciuta con lei nella certezza di poter sempre contare sul loro amore e protezione. Mai come ora, Marco sente il peso della responsabilità: per la piccola Lara è un punto di riferimento. Per lei papà è saggio, un po’ severo, certo, ma affidabile. Marco, d’altro canto, è conscio d’aver commesso degli errori e ne avrebbe fatti certamente altri, se solamente avesse avuto la possibilità di vederla crescere. È consapevole che ci sarebbero stati momenti difficili: il periodo critico dell’adolescenza, la voglia d’indipendenza, la contestazione. Però, è sicuro che avrebbe potuto aver fiducia in Lara. È fiero dell’educazione che, assieme alla madre, ha saputo instillarle. Un rapporto di rispetto reciproco, nessuna menzogna, nemmeno quando sarebbe stata la via più semplice. Sempre rispettata fin dalla più tenera età, trattata da pari e non come un essere privo d’intelletto, facendola intervenire nelle decisioni le infondevano fiducia, dando il giusto peso al suo giudizio, alle sue richieste. Crescendo, lei di questo s’era resa conto e, sebbene abbia sofferto per qualche diniego, sapeva che non l’avrebbero mai ingannata.
Ora, però, Marco teme di scalfire questa sua fiducia, ha paura di tradirla. Come potrebbe, in meno di sei mesi, spiegare a una bimba di otto anni cose che lui stesso fatica ad accettare. In che modo rincuorarla quando anch’egli prova una paura boia; come farle comprendere che non avrebbe potuto mantenere le promesse fatte.
Cosa avrebbe rammentato di lui? Il lento incedere del tempo avrebbe patinato il suo ricordo? Avrebbe dimenticato la sua voce? Si sarebbe sentita abbandonata?
Abbandonarla, questo è il maggior patema. Peccando certamente di presunzione, sapendo di non essere indispensabile, mal sopporta l’idea di non esserle accanto quando ne avrà più bisogno.
  S’avvicina per osservarla meglio: è sdraiata a pancia sotto; accanto a lei, tenuta teneramente con un braccio, la morbida bambola tirolese. La testa sul cuscino mostra il profilo destro, mentre le labbra sono socchiuse. Marco sorride per quella bocca che ha visto in mille smorfie: cantando, urlando a volte imbronciata. Nulla può ripagarlo della bellezza di quel suo splendido sorriso. Vorrebbe darle una carezza, svegliarla e farsi abbracciare come lei sola sa fare: sentirla stringersi forte attorno al collo sino a mozzargli il respiro. Si limita, piuttosto, ad avvicinarsi coprendole le spalle con il lenzuolo, sfiorandole i capelli con una delicata carezza.
Allontanandosi, la sua attenzione è richiamata dalla cesta dove sono riposte le bambole; Lara adora giocare con lui, inventare storie, fare dei lavoretti e, soprattutto, giocare con le bambole. Gioco che, però, a lui mal riesce: sebbene si riprometta di provarci, ogni volta finisce per scoraggiarla, impacciato e privo di spontaneità.
Uscendo dalla camera, si dirige verso il proprio letto, dove l’attende in dormiveglia la moglie. Il cuscino bagnato di lacrime, le braccia pronte a stringerlo per trattenerlo a sé. Nonostante la stanchezza, il sonno stenta a sopraffarne i pensieri.
La mattina, svegliatosi di buon piglio, prepara la colazione per tutti pensando che avrebbe preso una giornata di permesso al lavoro. Euforico quanto un bambino la mattina di Natale, si porta al capezzale di Lara e la sveglia dolcemente.
«Sveglia, cucciola, sono quasi le otto» le sussurra.
«Ancora due minuti» bofonchia.
«Oggi non vai a scuola, ho bisogno di te» le bisbiglia nell’orecchio. Lara, con un guizzo, si gira verso di lui; sul volto nasce spontanea una buffa smorfia: un’espressione di stupore che contrasta con l’enorme sorriso di gioia. «Perché? Cosa dobbiamo fare?»
  «Oggi sarai tu a fare scuola» le risponde. «Ho un favore da chiederti: ti prego, insegnami a giocare con le bambole.»

Nessun commento:

Posta un commento