di Pierangelo Colombo

venerdì 6 aprile 2018

Meditazione sui figli

Oggi vorrei condividere una meditazione scritta da don Carlo Colombo sul tema dei figli; riflessione che fa parte di un più ampio discorso rivolto al tema della famiglia.




 I FIGLI DALLA NASCITA ALLA MATURITÀ



1) PATERNITÀ E MATERNITÀ RESPONSABILI



Entro la vita della coppia hanno un loro posto di specifica importanza i figli che ci sono e anche i figli che non ci sono. Infatti la natura stessa inclina l’uomo e la donna a ricercare i figli come una componente essenziale della loro vita di coppia. Con questo non vogliamo affermare che i figli siano un diritto che metta in condizione i due coniugi di andare oltre i limiti che la natura stessa ha posto, anche perché, quando parliamo di figli, non intendiamo solo quelli generati, ma tutti i bambini che hanno diritto ad avere dei genitori, per cui quando questi vengono meno, possano essere sostituiti entro il contesto comunitario a cui le singole coppie sono di supporto. A questo punto sarebbe utile che la coppia abbia a riflettere un momento sull'argomento della paternità e maternità responsabili. Infatti gli atteggiamenti che si assumono in ordine alla ricerca o al rifiuto dei figli entrano e danno un volto alla coppia. Da qui l’importanza che si affronti questi temi nel periodo del fidanzamento, non solo per essere al corrente di ciò che pensa l’altro, ma soprattutto per raggiungere un punto di convergenza che individui la linea da seguire. A questo riguardo una coppia che abbia ricevuto il Sacramento del Matrimonio, quando pensa ai figli non può ignorare la provvidenza di Dio ed il suo disegno; spesso invece anche le coppie che si dicono cristiane fanno i propri conti fondandosi solo su elementi umani, senza avere neppure il dubbio che questi medesimi elementi siano falsati da una cultura che nega la vita.

Può capitare che il figlio venga cercato come soluzione di problemi emergenti nella coppia. Questo è un gravissimo errore, perché non fa altro che spostare i problemi della coppia, così che se li ritroverà poi aggravati, il momento in cui i figli diventano autonomi. Paternità e maternità responsabile non deve essere il tappeto sotto cui si scopano tutte le porcherie del pavimento, ma deve essere un atteggiamento di conoscenza e di controllo dei propri problemi, perché non diventino il motivo per ricercare il figlio, altrimenti il figlio sarà solo lo specchio che ci fa vedere tutti quei problemi che ci siamo buttati alle spalle, col rischio di cadere nella illusione che quei problemi siano suoi. Tuttavia i figli entrano di forza e cambiano la vita della coppia, soprattutto quando sono piccoli, creando abitudini nuove, che poi si protraggono nel tempo quasi rincresca alla coppia stessa che i figli crescano e le esigenze cambino. A questo riguardo vorrei invitare i genitori a non lasciarsi condizionare talmente dalla presenza dei figli così da perdere la loro autonomia di coppia. Se capitasse ciò, il giorno in cui i figli andranno per la loro strada, la coppia non avrebbe più nessuna ragion d'essere. Non dobbiamo dimenticare che i rapporti sesso-genitali non hanno solo la funzione di procreare, ma anche la funzione di consolidare l’unità della coppia; ciò per dirci che, oltre i figli, il matrimonio ha la funzione di preservare la coppia. L’indissolubilità della coppia non deve essere vista come una imposizione dall’esterno, ma come una esigenza che nasce dal nostro essere cristiani e perciò dalla partecipazione alla liturgia dell’incarnazione di Gesù Cristo, e perché ciò si attui è necessario vivere la dinamica del matrimonio.

Vorrei solo accennare ai figli che non ci sono. Se non sono venuti nonostante fossero cercati, lasciano nella coppia un alone di nostalgia che si esprime come senso di vuoto che la coppia stessa cerca di superare rendendo più stretti i rapporti reciproci, col rischio di chiudersi all'ambiente. Tuttavia oggi il rischio più grosso che può correre una coppia è quello di volere ad ogni costo il figlio, usando tutte le tecniche che la scienza ci mette a disposizione, senza neppure porsi il problema del loro valore etico. Ciò significa che si è arrivati a rendere assoluto il desiderio di avere un figlio, in quanto viviamo in una cultura che mette in condizione le persone di sentirsi padrone della vita. Se invece i figli non ci sono, e in un certo periodo non sono stati voluti, oltre la nostalgia abbiamo vaghi sensi di colpa che tingono un po' tutta la vita della coppia rendendo amari i reciproci rapporti ed esprimendosi anche con accuse più o meno velate lanciate all'indirizzo del coniuge. Che questo sia un atteggiamento deformante la vita della coppia è dimostrato dal fatto che, se anche dopo i vari tentativi di inseminazione artificiale, i figli non vengono, spesso la coppia si lega a un cane, oppure ad un gatto, o anche a un coniglio, o altri animali, che in casa prenda il posto del figlio. Non penso che questo fatto abbia bisogno di altri commenti. La coppia deve saper superare queste forzature per arrivare a vedere la propria vita alla luce della provvidenza di Dio e chiedersi che cosa vuole la provvidenza di Dio, a quale vocazione ci indirizza e quali strumenti dobbiamo mettere in atto per poterla realizzare in funzione della nostra perfezione e del bene comune.

Un'altro momento importante nella vita della coppia è il matrimonio dei figli. Ma qui siamo già nell'età avanzata, coi suoi ritmi nuovi e anche coi suoi problemi e le maggiori difficoltà. Su ciò fermeremo la nostra attenzione in seguito.

Vediamo ora una fase della vita dei figli:







2) L'ADOLESCENZA DEI FIGLI.



La prima affermazione che vorrei fare è questa: L'uomo è un essere che vive il presente in funzione del futuro con la ricchezza del passato. Dietro questa affermazione sta un concetto molto forte e cioè: non possiamo ridurre l’uomo all’effimero; infatti non possiamo capire l’uomo guardando solo il suo presente. Ne segue che, pur parlando di adolescenza dei figli, dobbiamo tener presente tutta la loro vita. Spesso, quando noi parliamo della fase vissuta da una persona, ci comportiamo come se tale persona non abbia altra esperienza. Questo atteggiamento deforma sia la ricerca che il rapporto con le persone. L’adolescenza è il punto di arrivo non solo di un cammino che è durato diversi anni, ma il punto di arrivo della costruzione anche della strada che ha permesso il cammino.

Cercherò di spiegare questa affermazione tracciando brevemente le tappe della vita della persona, anche per il fatto che i figli non nascono adolescenti, per cui già da anni vivono una dinamica di rapporti coi genitori, che hanno profondamente inciso nella loro vita, plasmando quel carattere e quella fisionomia che li identificano, distinguendoli da tutti gli altri.

Nei primi anni di vita quando il bambino non ha un suo passato personale, i genitori sono il suo passato. Ci chiediamo quanto possa essere importante questa fase della vita, anche per il fatto che il bambino non è consapevole di tutto ciò. Eppure dal modo con cui i genitori guidano il figlio a vivere questa fase della sua vita dipende l’attualizzazione o meno della formazione e interiorizzazione del suo schema corporeo e della sua dimensione sociale. L'arte dei genitori consiste nel far sì che il bambino si renda consapevole del proprio passato e lentamente faccia a meno di loro. In questa dinamica passiamo da un rapporto di dipendenza ad un rapporto di amore e rispetto.

In primo luogo dobbiamo tener presente che la vita psico-fisica del figlio non viene dal nulla, ma è intessuta della ricchezza genetica che gli viene trasmessa dai genitori. Qui vorrei ricordare che i geni del padre e della madre non si assommano, ma si sintetizzano formando il nuovo essere esistente; ma questi geni portano in sé tutta la ricchezza dell'umanità. Quella ricchezza che dà al bambino la capacità di adattarsi all'ambiente in cui verrà a vivere e la capacità di essere se stesso in questo ambiente, senza lasciarsi fagocitare e senza mettersi in opposizione. Oltre la ricchezza genetica i genitori trasmettono al figlio anche la ricchezza accumulata da loro lungo gli anni della loro vita; per questo è importante che i genitori si costruiscano uno stile di vita che li caratterizzi e li identifichi. La sintesi di queste ricchezze personali che avviene attraverso le singole generazioni porta a quella lenta trasformazione che permette alla persona di vivere il meccanismo psichico fondamentale della emotività in un ambiente che modifica continuamente la propria conformazione.

Abbiamo poi le esperienze che il bambino vive nel periodo di gestazione nell'utero della madre. Esperienze che entrano con le tendenze genetiche a far parte di quel filtro che il bambino userà per filtrare la realtà con cui viene in contatto per accettarla o rifiutarla. Possiamo dire che ci troviamo di fronte al primo abbozzo della sua personalità. Infatti il bambino nasce con inclinazioni precise, con tendenze e con un suo modo di vedere tutto ciò che sta fuori di lui. Da ciò possiamo dedurre quale debba essere l’attenzione dei genitori, non solo della madre, anche se è chiamata in modo diretto e maggiormente coinvolgente, durante il periodo della gestazione, a far sì che il figlio possa avere un bagaglio di strumenti che lo aiutino a inserirsi nel flusso della vita nel migliore dei modi.

Dal momento in cui il bambino nasce ha già una ricchezza di passato suo personale, ma di cui non ne è consapevole; per cui quel passato a cui si riferisce nel primo periodo della sua vita è dato dai genitori. Sono loro il suo passato! Inoltre i genitori sono la sua memoria; attraverso i genitori, soprattutto la madre, il bambino si accosta progressivamente alla realtà. Perciò sta alla madre fare in modo che il figlio si apra ad una realtà amica, accogliente. La madre deve sapere quanto i suoi atteggiamenti e di conseguenza i suoi comportamenti influiscano sul figlio, creando in lui apertura o chiusura verso una realtà che può essere percepita come amica o come nemica.

Man mano che il bambino cresce si fa un suo passato, non solo consapevole, ma anche inconscio.

Abbiamo quindi un cammino che porta il bambino dalla simbiosi coi genitori - all'allontanamento per scoprire il mondo in cui vive - all'apertura agli altri nella ricezione del proprio ruolo (durante il periodo dai cinque ai nove anni) - alla grande crisi puberale, che è il distacco definitivo dal passato dei genitori per costruire la propria vita sul passato personale. Siamo di fronte ad un susseguirsi di tappe che non avviene automaticamente, ma esige una continua interazione tra genitori e figlio, così che possa passare da una tappa all’altra senza intoppi e senza regressioni. Sappiamo che ci sono momenti in cui le difficoltà sono maggiori, sappiamo pure che ci possono essere frustrazioni e traumi. Tutto ciò lascia una traccia che segna il soggetto. La presenza dei genitori può rendere anche meno profonde tali tracce. Di fronte a tutto ciò i genitori spesso si chiedono: come possiamo sapere se questo lungo cammino viene percorso bene o meno da nostro figlio? La risposta è: dall'equilibrio che la persona ha. La persona è equilibrata, quando il passato genetico ed ontologico si fondono in modo organico nel passato personale (senza traumi o fissazioni) per essere il terreno su cui si costruisce il presente in funzione del futuro. A questo punto i genitori devono stare attenti alle frustrazioni che inibiscono il futuro e scoraggiano e annullano anche le più belle ricchezze di un passato! I genitori comprendono l’importanza della loro presenza e la necessità che questa presenza sia adeguata. Perciò i genitori devono rendersi consapevoli che hanno a disposizione degli strumenti: in primo luogo la disponibilità e la collaborazione con lo Spirito santo per mezzo della partecipazione alle celebrazioni liturgiche, della meditazione e della direzione spirituale; in secondo luogo hanno la possibilità di usufruire delle conoscenze che derivano dalle varie scienze psicologiche, antropologiche e sociologiche. Ciò esige l’appartenenza ad una comunità che li aiuti ad uscire dalla solitudine per far parte attiva della medesima comunità.

Spesso si parla di frustrazioni e qualche volta si dà l'impressione che al figlio bisogna concedere tutto, per evitargli le frustrazioni. Questo è falso! Dobbiamo distinguere tra frustrazione, rinuncia e sacrificio. Il sacrificio è l'impegno che richiede sforzo, fatto per un ideale da raggiungere; questo sforzo nasce da un atteggiamento religioso, perciò diventa un atto di culto che fa di noi un sacrificio, cioè una cosa sacra. La rinuncia è la capacità di fare a meno di cose che al momento possono essere gratificanti, ciò sempre per un ideale da raggiungere. Non è detto che si rinunci sempre a ciò che è male, spesso siamo chiamati a rinunciare ad un bene minore in funzione di un bene maggiore sperato; possiamo anche rinunciare a cose materiali in favore di cose spirituali o anche religiose. La rinuncia diventa inibizione quando non si ha un fine da raggiungere che sia più importante. La rinuncia diventa il segno della nostra capacità di fare delle scelte che siano finalizzate. Quando parliamo di ideale intendiamo il modo con cui uno vede la propria vita proiettata nel futuro. La frustrazione, invece, è l'atteggiamento di chi rifiuta la rinuncia per cui la subisce e la vive come menomazione delle proprie capacità espressive. Questa avviene in proporzione a quanto uno valorizza le gratificazioni presenti a scapito della proiezione della propria vita verso il futuro, cioè a scapito dell'ideale. Siamo di fronte a quelle persone che non hanno saputo passare dal principio del piacere al principio della realtà. Perciò la frustrazione è la sensazione vissuta da uno che vuole stare nell’effimero, oppure si accorge che non può avere tutte le soddisfazioni sperate. Possiamo dire che il frustrato è colui che pretende avere la moglie ubriaca e la botte piena. Qui la funzione educativa dei genitori consiste nel portare i figli a distinguere tra frustrazione, rinuncia e sacrificio e contemporaneamente aiutarli ad aprire i loro orizzonti perché non abbiano a sentirsi sempre il centro dell’universo e abbiano a vedere la propria vita proiettata nel futuro come momento di propulsione per vivere il presente. A questo riguardo i genitori devono essere accorti a far capire ai figli la differenza tra proiezione nel futuro e fuga nel futuro. Qui siamo ormai nella dinamica del dialogo tra genitori e figli nel momento in cui si aprono all’adolescenza. In questa dinamica è importante che i genitori abbiano chiaro il concetto di rinuncia e di sacrificio e quale possa essere il loro legame. Innanzitutto abbiamo detto che la rinuncia ha senso solo in funzione di un bene maggiore, ciò può avvenire solo in un contesto religioso, in quanto il motivo che fonda la rinuncia è la volontà di Dio; ne segue che chi rinuncia diventa sacrificio gradito a Dio.

La persona equilibrata non fugge né in avanti né in dietro. Per vivere la propria vita e non avere fughe è necessario avere la tecnica (la rinuncia-sacrificio per passare dal principio del piacere al principio della realtà) e i mezzi (ideali per vivere il presente con lo sguardo al futuro). Solo quando i genitori sono capaci di educare i figli ad essere sacrificio e all'ideale, li mettono in condizione di non avere frustrazioni. Non dovranno proprio essere i genitori che si interpongono tra la vita e i figli per evitare loro fatiche e contrattempi, altrimenti creano veramente dei frustrati. Per sapere che cosa è il dolce è necessario assaggiare prima l'amaro! I genitori accorti sanno accompagnare con attenzione e delicatezza i loro figli, lasciando loro gli spazi perché possano fare le proprie esperienze. La nostra società, che sta scivolando nella verbalizzazione paranoica, non aiuta certo a fare le proprie esperienze. Qui vediamo l’importanza della presenza accanto ai genitori di educatori che, condividendo con loro fede e convinzioni, li aiutino in questa loro missione così importante.

Dobbiamo ricordare che la vita non è un equilibrio né attivo e tanto meno passivo: è la capacità di prendere consapevolezza del proprio futuro e incarnarlo nel presente. In una parola: è una sintesi, continuamente rifatta nel presente, di un passato in funzione del futuro. Per cui possiamo dire che la vita è una conquista e ogni conquista richiede sforzo, volontà e tenacia. Abbiamo continuato a parlare di futuro senza specificarlo col rischio di creare confusione. Per futuro non intendiamo quello nel tempo, in quanto è sempre relativo e limitato e perciò non può giustificare certe rinunce che portano ad essere grosso sacrificio, diventando fonte di frustrazione. Per futuro intendiamo l’eterno in cui incontriamo in modo definitivo Dio che si partecipa a noi nel suo mistero trinitario, ed in questa partecipazione possiamo vedere in tutta la sua luce il senso ed il valore delle nostre scelte. Sarà utile ricordare che possiamo accostare questo futuro partecipando alle celebrazioni liturgiche così che diventi caparra di ciò che saremo.

Torniamo ora a vedere i due punti che abbiamo accennato sopra, nella loro progressiva applicazione e quale debba essere la presenza dei genitori:

1. La tecnica, cioè essere sacrificio, si acquista nei primi anni di vita. Sono illusi quei genitori che aspettano che il figlio sia più grandicello e incominci a capire per indirizzarlo col ragionamento ad essere sacrificio. Il figlio capisce fin troppo bene fin dai primi giorni di vita quale tipo di comportamento deve assumere come risposta agli atteggiamenti dei genitori. Per cui se non lo si abitua subito ad avere delle regole nella vita, certo sempre secondo la sua età e le sue capacità, senza ansie o cedimenti, non si abituerà mai. Avere le regole significa saper fare delle scelte. Non sono certo le ansie dei genitori che creano gli equilibri dei figli. Spesso infatti queste ansie hanno come finalità solo fare bella figura con gli altri, perché il figlio sa essere pulito oppure sa essere educato. Ma non sta solo qui la vita della persona! Risulta in questo modo che i genitori abbiano una duplice condotta: l'una per il pubblico e l'altra per il privato; finiscono così per disorientare maggiormente il figlio creando in lui incertezza, ansia e quindi frustrazione. Inoltre non possiamo pretendere che i genitori insegnino al figlio che è necessario conformarsi alle regole, quando loro non vi si conformano in alcun modo. L’educazione parte dall’esempio, poi le parole avranno il loro peso. Potranno due genitori che non hanno mai rinunciato a nulla, in quanto vivono solo l’effimero, educare il figlio a fare delle rinunce per raggiungere un bene maggiore? Tali genitori non devono meravigliarsi se, nonostante le parole e i loro predicozzi, i figli non rinunciano mai a nulla.

2. I mezzi, cioè gli ideali, vengono forniti al figlio da parte dei genitori nel periodo in cui acquisisce il proprio ruolo nel mondo e nel rapporto con gli altri. Per ideali intendiamo le convinzioni che, sollecitate dai sentimenti, nascono da un serio confronto tra le proprie idee e la verità. Solo quando ci sono degli ideali si ha il coraggio di proiettare la propria vita verso il futuro, mentre si vive intensamente il presente. E gli ideali nascono dalla speranza, non dalle illusioni o dalle utopie. La speranza è una certezza che ci è donata dallo Spirito e che affonda le proprie radici nella Parola di Dio conosciuta attraverso la partecipazione alle celebrazioni liturgiche e alla meditazione e assimilata per mezzo della direzione spirituale. A questo punto i genitori dovrebbero chiedersi se al figlio propongono delle speranze o delle utopie, cadute le quali si crea solo il vuoto nella vita. L'esperienza di questi ultimi anni ci ha mostrato quanto sia disastroso creare delle utopie! Quando sopravviene la crisi, tutto crolla. È utopia lo sport agonistico a cui si indirizza il figlio nella speranza che diventi un campione; è utopia la scelta dello studio che porti a guadagnar tanto lavorando poco; è utopia da parte delle ragazze coltivare solo la bellezza esteriore nella speranza di uscire dalla massa per diventare una diva; così come è utopia da parte del ragazzo dare tutto il tempo libero alla palestra nell’illusione di presentarsi come un bel fusto. La demarcazione tra l’ideale e l’utopia è molto leggera, per cui, se non vogliamo cadere nell’utopia, abbiamo bisogno di partecipare alle celebrazioni liturgiche che, inserendoci nella liturgia di Dio, ci portano a confrontarci sulla verità che ha come conseguenza la formazione in noi delle convinzioni che, proiettate nel futuro, assumono il volto di ideali.

Da qui la responsabilità di coloro che formano il passato del bambino (i genitori) prima ancora di tutti gli altri collaboratori. Infatti spetta ai genitori lavorare su questi due punti. Quando il bambino va alla scuola materna, è ormai tardi e si può fare ben poco.

Tenuto presente che il periodo dell'adolescenza non è staccato dal resto della vita vissuto in antecedenza, ma ne è la continuazione, ne deriva che quella personalità che troviamo in germe nel bambino, sboccia e viene indirizzata verso la sua maturazione nel periodo dell'adolescenza. In questo periodo arriva alla sua maturità anche la vita affettiva, così che si aprono nuove prospettive di rapporti umani. Tutto ciò si attualizza solo a condizione che i genitori abbiano guidato i loro figli fin da piccoli a vivere quel Battesimo che hanno chiesto fosse loro amministrato in un rapporto personale con Dio entro il contesto comunitario, partecipando alle celebrazioni liturgiche, alla catechesi e alle attività comunitarie. I genitori per attuare questo impegno devono saper affidarsi alla Sacra Famiglia nel momento descritto nel Vangelo secondo Luca in cui Gesù viene ricercato e trovato nel tempio da Maria e Giuseppe.

Quando si parla dell'adolescenza subito si mette in evidenza come periodo di crisi. Qualcuno dice: "l'età della stupidera". Dobbiamo essere molto cauti a dare certe definizioni così drastiche ed unilaterali. Se per crisi intendiamo il passaggio dal seme al germe e quindi alla pianta, allora possiamo essere d'accordo; se per crisi intendiamo il sorgere di qualcosa di nuovo che prima non c'era e che sta nascendo: ben venga. Ma se per crisi intendiamo una deviazione dalla strada della crescita, oppure uno stato di malattia, allora, è tutto da discutere. Ci possono essere, infatti, anche questi casi, ma sono patologici, sono l'eccezione, non la norma. Noi sappiamo quanto sia delicato il momento in cui sboccia un fiore e di quanta attenzione abbia bisogno perché non sia sorpreso dal gelo oppure abbia sufficiente acqua. Così è la vita dell’adolescente che richiede la necessità di una presenza amorosa e discreta da parte dei genitori e della comunità.

Che anche l'adolescente si trovi a disagio con se stesso perché incomincia a scoprirsi in tutte le sue potenzialità e in quegli angoli nascosti della propria vita, è pienamente vero. È pure vero che ci sia un disorientamento, ma non è vero che sia l'età della "stupidera", in quanto è l’età in cui chi ha fatto un vero percorso di maturazione ha la capacità di proiettarsi nel futuro con scelte generose e impegnate. Infatti è il periodo in cui il soggetto prende coscienza di se stesso, incomincia a prendere consapevolezza del suo passaggio da un passato non personale a un passato personale e da qui incomincia a guardare in faccia al proprio futuro con un altro atteggiamento, così personale, da opporlo a chi gli sta attorno, in modo particolare ai genitori; siamo di fronte ad una opposizione di progresso e non di rifiuto.

È un periodo difficile, quanto può essere difficile al seme passare ad essere germe per poi diventare pianta, ma è nella linea naturale della crescita. Se i genitori fanno in modo di essere presenti nella vita dei loro figli fin dall'inizio, mantenendo sempre il massimo rispetto della loro persona e aiutandoli a costruire la loro libertà, allora l'adolescenza non sarà il momento dei cicloni che tutto distruggono, ma sarà l'inizio di una primavera che prelude a un'estate ricca di frutti.

Vorrei concludere insistendo in modo particolare perché i genitori sappiano avere una visione più positiva di questo periodo della vita dei loro figli, non perché si voglia essere degli illusi ad ogni costo, ma perché solo in clima di ottimismo si sa scoprire tutto ciò che di positivo c'è nell'adolescenza. Dobbiamo inoltre ricordare che gli atteggiamenti dei genitori hanno un grandissimo influsso sul concetto che i figli possono avere di se stessi, per cui l'ottimismo dei genitori influisce sui figli, dando loro maggiore sicurezza per affrontare questa esperienza tutta nuova, per cui anche di fronte alle difficoltà si scoraggiano più difficilmente. È stato sperimentato che la fiducia riposta e manifestata verso una persona, porta questa stessa persona a rendere fino al 40% in più, perché, forte della fiducia dell'altro, arriva a fidarsi maggiormente in se stessa.

Sarebbe un discorso incompleto, se non tenessimo presente il fattore religioso che ci porta ad essere liturgia di Cristo sacrificio gradito al Padre e che contemporaneamente ci proietta nell’eterno, dove troviamo la nostra piena realizzazione, e dove genitori e figli troveranno quella unità che non si è potuto avere sulla terra a causa del peccato e delle sue conseguenze.




 di don Carlo Colombo



 

Nessun commento:

Posta un commento