Venerdì ho
chiuso la settimana proponendo una riflessione sui figli e in particolar modo
gli adolescenti. Oggi vorrei riprendere il filo del discorso ampliandolo,
passando la parola proprio ai giovani, attraverso la penna del filosofo Umberto
Galimberti nel suo ultimo libro La parola ai giovani, di cui propongo
uno stralcio pubblicato sul sito ufficiale dell’autore.
Lo sguardo critico dei nichilisti attivi sull’uso dei mezzi informatici
Nativi
digitali come tutti, i giovani del nichilismo attivo nelle loro lettere mi
chiedono: “Quanto incide l’uso dei mezzi informatici sui nostri processi
cognitivi ed emotivi?”. Moltissimo, perché questi mezzi sono dei condizionatori
del pensiero, non nel senso che ci dicono cosa dobbiamo pensare, ma nel senso
che modificano in maniera radicale il nostro modo di pensare, trasformandolo da
analogico, strutturato, sequenziale e referenziale, in generico, vago, globale,
olistico. Inoltre alterano il nostro modo di fare esperienza avvicinandoci il
lontano e allontanandoci il vicino. Mettendoci in contatto non con il mondo, ma
con la sua rappresentazione, ci consegnano una presenza senza respiro
spazio-temporale, perché rattrappita nella simultaneità e nella puntualità
dell’istante.
Che fare? Non
possiamo rinunciare all’uso di questi mezzi perché equivarrebbe a una sorta di
esclusione sociale. Il che la dice lunga sulla nostra libertà di far uso o meno
dei mezzi informatici. Non potendo prescinderne, non resta che diventare
consapevoli delle modificazioni che il nostro modo di pensare e di fare
esperienza subisce. E di questo dovrebbe rendersi conto anche la scuola, che
oggi ha a che fare con ragazzi che sanno cose, dalle più elementari alle più
complesse, non per averle lette da qualche parte, ma per averle viste in
televisione, al cinema o sullo schermo di un computer o di un telefonino,
oppure sentite alla radio o da due cuffie applicate alle orecchie e collegate a
un iPad.
È interessante che i giovani del nichilismo attivo
si pongano questi problemi e comincino a togliersi da Facebook per sottrarsi
alla dipendenza da quel monologo collettivo, dove chi scrive dice le stesse
cose che potrebbe ascoltare da chiunque, e chi legge ascolta le stesse cose che
egli stesso potrebbe dire. “Siamo malati di social network?” si chiedono. E poi
si rispondono: “No, è quel modo di comunicare la vera malattia, perché ciò che
si mostra in quella vetrina virtuale è quanto vorremmo che gli altri vedessero
di noi, il desiderio mai morto di costruzione di un nuovo io, la ricerca di
approvazione, più che di reale comprensione. L’aspirazione al miglioramento,
pertanto, tende ad arrestarsi, bloccata dall’opinione (non del tutto
consapevole) che lo scarto tra reale e ideale si sia colmato in quel profilo
virtuale. E così il social finisce per veicolare istanze profonde, attese
tradite, le quali, piuttosto che incentivare una spinta propulsiva, si
cristallizzano in quella vuota vetrina”.
Per non
parlare della continua espansione dell’informatica nei posti di lavoro, dove i
giovani, peraltro nativi digitali, al loro primo ingresso, mi scrivono
preoccupati del “progressivo ‘assorbimento passivo’ nell’era digitale che sta
avvenendo subdolamente e molto più rapidamente di quanto le nostre menti
impotenti possano comprendere.
Un mondo del
tutto virtuale e meno reale è quello che ci proiettano i docenti, descrivendolo
quasi come unica prospettiva logica e inevitabile, dove vita concreta e
virtuale saranno un’unica grande realtà inscindibile (vedi Google Glass, robot
a elevato grado di coscienza ecc.)”. È interessante constatare una sorta di
disaffezione da parte dei nativi digitali nei confronti dei mezzi informatici.
Possiamo pensare che il ritorno al mondo reale, dettato dalla nostalgia e dal
bisogno, cominci proprio da loro?
Tratto da La parola ai giovani, il nuovo libro di Umberto Galimberti (p.
17), Feltrinelli EditoreDescrizione
Nel 2007
Umberto Galimberti ha pubblicato un libro, L’ospite inquietante. Il
nichilismo e i giovani, in cui descriveva il disagio giovanile da imputare,
a suo parere, non tanto alle crisi psicologiche a sfondo esistenziale che
caratterizzano l’adolescenza e la giovinezza, quanto a una crisi da lui
definita “culturale”, perché il futuro che la cultura di allora prospettava ai
giovani non era una promessa, ma qualcosa di imprevedibile, incapace di retroagire
come motivazione a sostegno del proprio impegno nella vita.
A distanza di
anni cos’è cambiato di quell’atmosfera che Galimberti aveva definito
“nichilista”? Non granché, fatta eccezione per una percentuale forse non
piccola di giovani che sono passati dal nichilismo passivo della
rassegnazione al nichilismo attivo di chi non misconosce e non rimuove
l’atmosfera pesante del nichilismo senza scopo e senza perché, ma non si
rassegna. E dopo un confronto serrato con la realtà, si promuove in tutte le
direzioni, nel tentativo molto determinato di non spegnere i propri sogni.
La parola
ai giovani raccoglie la voce di questi giovani, che hanno un gran bisogno
di essere ascoltati per poter dire quelle cose che tacciono ai genitori e agli
insegnanti, perché temono di conoscere già le risposte, che avvertono lontane
dalle loro inquietudini, dalle loro ansie e dai loro problemi. E allora si
affidano a un ascoltatore lontano, che prende a dialogare con loro, non per
risolvere i loro problemi, ma per offrire un altro punto di vista che li faccia
apparire meno drammatici e insolubili.
“Al nichilismo
passivo della rassegnazione, non sono pochi i giovani che sostituiscono il
nichilismo attivo di chi, prendendo le mosse proprio da quel desolante
scenario, e non da consolanti speranze o inutili attese, inventa il proprio
futuro.”
Nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore
incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di
Filosofia dellaStoria. Dal 1999 è professore ordinario all’università Ca
Foscari diVenezia, titolare della cattedra di Filosofia della Storia. Dal 1985
è membroordinario dell’international Association for Analytical Psychology.
Dopo aver compiuto studi di filosofia, di antropologia culturale e dipsicologia, ha tradotto e curato di Jaspers, di cui è stato allievo durante isuoi soggiorni in Germania:
Sulla verità (raccolta antologica), La Scuola, Brescia, 1970.
La fede filosofica, Marietti, Casale Monferrato, 1973.
Filosofia, Mursia, Milano, 1972-1978, e Utet, Torino, 1978.
di Heidegger ha tradotto e curato:
Sull’essenza della verità, La Scuola, Brescia, 1973.
Dopo aver compiuto studi di filosofia, di antropologia culturale e dipsicologia, ha tradotto e curato di Jaspers, di cui è stato allievo durante isuoi soggiorni in Germania:
Sulla verità (raccolta antologica), La Scuola, Brescia, 1970.
La fede filosofica, Marietti, Casale Monferrato, 1973.
Filosofia, Mursia, Milano, 1972-1978, e Utet, Torino, 1978.
di Heidegger ha tradotto e curato:
Sull’essenza della verità, La Scuola, Brescia, 1973.
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