Il miglior regalo che possiamo fare ai nostri figli,
e a noi stessi, è il tempo. Non lo vendono nei negozi né su
internet. Lo troviamo solo in noi stessi, nella nostra disponibilità e
nell’essere coscienti che ogni ora persa nello stare insieme non sarà mai più
recuperata. Troppe volte mettiamo in primo piano traguardi che esaltano il
successo personale, la carriera o un’effimera posizione sociale, tralasciando
quello che veramente conta nella vita. A volte accadono degli avvenimenti che,
scombussolandoci la vita, ci aprono gli occhi, costringendoci a rivalutare e
riordinare la scala delle priorità.
A questo argomento vorrei dedicare il mio racconto di oggi.
Insegnami a
giocare con le bambole
È notte fonda
quando Marco spegne il computer: il sonno si è fatto indomabile, le palpebre
bruciano. Anche per questa volta deve abbandonare il campo di battaglia
sopraffatto dalla stanchezza, una lotta quotidiana che ingaggia nei confronti
del tempo: dormire è una perdita di minuti preziosi. Concede al sonno soltanto
lo stretto necessario a riprendere le forze, conscio d’avere dinanzi a sé
un’eternità per il riposo.
Silenzioso
come un fantasma, discende le scale che dalla mansarda portano in cucina senza
accendere la luce: dalla finestra spalancata entra discreta la luce della luna.
Accostandovisi, un soffio di brezza lo accarezza, movendo appena quel ciuffo
ribelle che mai ha saputo domare. Una folata più decisa porta il profumo di
erba bagnata, di notte placida di fine estate, di boschi di montagna. L’autunno,
deciso a spazzare via i fasti della bella stagione, dà le prime avvisaglie del
prossimo arrivo della pioggia, mentre Marco ammira la vicina betulla che pare
danzare per la luna. Le foglie fruscianti, ormai al termine della vita, lottano
invano per restare aggrappate ai rami e, cedendo infine alle lusinghe del
vento, si lasciano rapire e portare verso l’ignoto. Quale perfetta similitudine
alla propria condizione: Marco, infatti, sente spirare un vento impetuoso
deciso a strapparlo dalle proprie radici, dalla propria vita; vi si oppone,
certo, ma sa che si tratta di una lotta impari. La sentenza è scritta nero su
bianco: il suo tempo sta per scadere.
Marco si
lascia avvolgere da profumi e dalla voce suadente del vento errante che mai
cessa la propria corsa. Soltanto negli ultimi mesi si è reso conto di quanto
sia fantastico il mondo; attento ai minimi particolari, apprezza tutto ciò che
prima non ha mai nemmeno considerato: adesso può perdersi nello splendore di un
fiore, la fragranza di un profumo o l’immensità del volo di un uccello. Scruta
incantato le bellezze del creato, rammaricandosi del tempo sprecato a
rincorrere cose futili trascurando ciò che di magnifico lo circonda. Ora che il
tempo rimastogli è esiguo, non intende perdersi nulla. Ogni granello di sabbia
è importante nella clessidra dei giorni.
Verso l’orizzonte, oltre il bosco, l’alone
di luce si leva dalla città inquinando il cielo, e a farne le spese sono le
stelle più fievoli: nella volta celeste, infatti, si possono scorgere soltanto
le più brillanti. Cerca d’individuare l’orsa maggiore: nonostante ci abbia
provato altre volte, non è mai riuscito a distinguerla con certezza.
Un brivido freddo interrompe i pensieri; si ritrae
dalla finestra, richiudendola. Avviandosi stancamente verso la camera, si ferma
dinanzi alla porta della figlia: ne percepisce il respiro lieve, quasi una
carezza data all’aria. Entra. La piccola luce a forma d’orsetto, infilata nella
presa sulla parete, neutralizza i colori tingendo la camera di mille tonalità
d’arancio. Un gradevole tepore lo avvolge, dissipandone il senso d’oppressione
che lo accompagna. Ogni volta si meraviglia della grande sensazione di
benessere, di tranquillità, che aleggia nella camera di un bimbo che dorme. Una
zona franca, dove tutto il brutto del mondo sembra non esistere, il tempo si
sospende e, incontrastata, regna l’infinita fantasia dei bambini, il loro modo
di semplificare la vita; tutto ha un rimedio: nei loro giochi il dottore trova
sempre la medicina giusta e, se non basta, possono chiedere aiuto alla fatina.
Rilassato
dall’atmosfera, percepisce la serenità della figlia, la sicurezza e la grande
fiducia riposta nei propri genitori. Una fiducia smisurata, cresciuta con lei
nella certezza di poter sempre contare sul loro amore e protezione. Mai come
ora, Marco sente il peso della responsabilità: per la piccola Lara è un punto
di riferimento. Per lei papà è saggio, un po’ severo, certo, ma affidabile.
Marco, d’altro canto, è conscio d’aver commesso degli errori e ne avrebbe fatti
certamente altri, se solamente avesse avuto la possibilità di vederla crescere.
È consapevole che ci sarebbero stati momenti difficili: il periodo critico
dell’adolescenza, la voglia d’indipendenza, la contestazione. Però, è sicuro
che avrebbe potuto aver fiducia in Lara. È fiero dell’educazione che, assieme
alla madre, ha saputo instillarle. Un rapporto di rispetto reciproco, nessuna
menzogna, nemmeno quando sarebbe stata la via più semplice. Sempre rispettata
fin dalla più tenera età, trattata da pari e non come un essere privo
d’intelletto, facendola intervenire nelle decisioni le infondevano fiducia,
dando il giusto peso al suo giudizio, alle sue richieste. Crescendo, lei di
questo s’era resa conto e, sebbene abbia sofferto per qualche diniego, sapeva
che non l’avrebbero mai ingannata.
Ora, però,
Marco teme di scalfire questa sua fiducia, ha paura di tradirla. Come potrebbe,
in meno di sei mesi, spiegare a una bimba di otto anni cose che lui stesso
fatica ad accettare. In che modo rincuorarla quando anch’egli prova una paura
boia; come farle comprendere che non avrebbe potuto mantenere le promesse
fatte.
Cosa avrebbe
rammentato di lui? Il lento incedere del tempo avrebbe patinato il suo ricordo?
Avrebbe dimenticato la sua voce? Si sarebbe sentita abbandonata?
Abbandonarla,
questo è il maggior patema. Peccando certamente di presunzione, sapendo di non
essere indispensabile, mal sopporta l’idea di non esserle accanto quando ne
avrà più bisogno.
S’avvicina per osservarla meglio: è sdraiata
a pancia sotto; accanto a lei, tenuta teneramente con un braccio, la morbida
bambola tirolese. La testa sul cuscino mostra il profilo destro, mentre le
labbra sono socchiuse. Marco sorride per quella bocca che ha visto in mille
smorfie: cantando, urlando a volte imbronciata. Nulla può ripagarlo della
bellezza di quel suo splendido sorriso. Vorrebbe darle una carezza, svegliarla
e farsi abbracciare come lei sola sa fare: sentirla stringersi forte attorno al
collo sino a mozzargli il respiro. Si limita, piuttosto, ad avvicinarsi
coprendole le spalle con il lenzuolo, sfiorandole i capelli con una delicata
carezza.
Allontanandosi,
la sua attenzione è richiamata dalla cesta dove sono riposte le bambole; Lara
adora giocare con lui, inventare storie, fare dei lavoretti e, soprattutto,
giocare con le bambole. Gioco che,
però, a lui mal riesce: sebbene si riprometta di provarci, ogni volta finisce
per scoraggiarla, impacciato e privo di spontaneità.
Uscendo dalla
camera, si dirige verso il proprio letto, dove l’attende in dormiveglia la
moglie. Il cuscino bagnato di lacrime, le braccia pronte a stringerlo per
trattenerlo a sé. Nonostante la stanchezza, il sonno stenta a sopraffarne i
pensieri.
La mattina,
svegliatosi di buon piglio, prepara la colazione per tutti pensando che avrebbe
preso una giornata di permesso al lavoro. Euforico quanto un bambino la mattina
di Natale, si porta al capezzale di Lara e la sveglia dolcemente.
«Sveglia,
cucciola, sono quasi le otto» le sussurra.
«Ancora due
minuti» bofonchia.
«Oggi non vai
a scuola, ho bisogno di te» le bisbiglia nell’orecchio. Lara, con un guizzo, si
gira verso di lui; sul volto nasce spontanea una buffa smorfia: un’espressione
di stupore che contrasta con l’enorme sorriso di gioia. «Perché? Cosa dobbiamo
fare?»
«Oggi sarai tu a fare scuola» le risponde.
«Ho un favore da chiederti: ti prego, insegnami a giocare con le bambole.»
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