di Pierangelo Colombo

mercoledì 21 febbraio 2018

Incontro con l'autore, Alessandro Molteni




  Sono felice di poter intavolare questa conversazione con Alessandro Molteni che, oltre ad essere uno straordinario autore, è un profondo conoscitore dell'editoria digitale di cui è un veterano, come dimostrato dalla lunga lista di Ebook pubblicati.






  
 Iniziamo con il conoscerci meglio, chi è Alessandro Molteni?
Milano 1947.
Che inizio!
Stesso anno di Paul Auster, Tom Clancy, Salman Rushdie, Stefano Benni, Paulo Coelho e Stephen King. Io però, ancora non avevo deciso cosa fare della mia vita. Nell’attesa, ho trascorso l’infanzia nella storica città delle ferriere di Sesto San Giovanni e mi son goduto la giovinezza tra i giardini e le villette di Cusano Milanino. La combriccola dei miei più famosi coetanei l’ho persa di vista quasi subito. Mentre loro già vendevano libri, trentasette anni in aziende multinazionali mi sono fatto.
Nel frattempo ho letto. Ho letto tanto. Tra un libro e l’altro mi sono pure sposato e dopo un paio di anni vissuti in California, mi sono trasferito in Brianza dove vivo tuttora. Perché ci ho messo tanto? Ci sono andato con i piedi di piombo. Che sbagliare con i capelli già quasi bianchi ti prendi pure dello stupido. Ci ho speso una vita per raccogliere spunti, vivere in prima persona le emozioni e conoscere i personaggi che popolano adesso i miei racconti. Nelle storie che scrivo, cerco sempre di metterci e far trasparire il sapore sincero della testimonianza. Emozioni vissute e personaggi reali. Le grandi storie cambiano il mondo. Ma è con le piccole vicende di tutti i giorni che la gente si deve confrontare. Prendere l'iniziativa di raccontare. Prima o poi dovevo pur cominciare e mi pento di non averlo fatto prima.



Quanto tempo occupa la scrittura nella tua vita? 
Non è un impegno costante inteso come giornaliero. Va a fiammate. Se non c’è l’ispirazione sto mesi senza scrivere. Poi, sollecitato da un’idea o una storia che ronza sempre più pressante, comincio a pensarci e se il progetto ha delle buone basi, poco a poco prende forma. …Giusto una bozza tipo Anno Mille, come nel libro dell’Apocalisse, il demone si risveglia e in uno sperduto monastero del Giura… Allora si entra in un vortice che non lascia scampo. La tua mente sempre lì ti porta. E le notti in bianco non si contano. Attento però a non farmi sopraffare. È un hobby. Costa tempo e sacrificio, cerco di non farlo diventare una ossessione.


Qual è stato il romanzo o l’autore che più ti ha formato o hai amato? 
Ho rubacchiato un po’ qua e un po’ la. Victor Hugo e Dickens su tutti. Contemporanei, Che in Francia uno e Inghilterra l’altro, ci hanno raccontato l’epopea della rivoluzione industriale e quello che nel tessuto sociale ha comportato. L’umanità dei personaggi e la cornice storica. Due maestri. Da cui ho cercato di apprendere, per dare testimonianza di fenomeni come delocalizzazione e mercato globale. Che tante fabbriche ha chiuso. A cominciare dalla mia. Da “Com’era verde la mia valle” di Richard Llewellyn ho cercato di cogliere la tecnica del raccontare una saga famigliare. Di Simenon mi piacciono le atmosfere attorno ai personaggi (La vedova Luderc). Di Grisham ho letto quasi tutto. Negli intrecci e come crescere la tensione senza colpi di scena mirabolanti, è insuperabile. Baricco, (Oceano mare), ovvero la suspense delle singole frasi. Devi arrivare quasi in fondo per scoprire il soggetto. Come nei thriller. L’assassino lo scopri nell’ultima riga, dell’ultima pagina, dell’ultimo capitolo.



La tua bibliografia oltre ad essere ricca, spazia in  molteplici ‘tinte’, dal mistero storico all’introspezione, dal giallo alla riflessione sulle paure e i sentimenti. C’è, in qualche modo, un filo che ‘lega’ i tuoi lavori?
Prima c’è la nostalgia. Per dare testimonianza di un tempo che non c’è più. Atmosfera da neorealismo. Alla “Ladri di biciclette” per intenderci. La Sesto san Giovanni delle ferriere. Anni cinquanta. Operai, sudore e tanta nebbia. Cascine che diventano quartieri così in fretta da dimenticarsi l’anima (Villa Rachele/I disperati del Korea). Ossia l’infanzia. L’oratorio. Le strade fangose. Le scarpe bucate.
Poi vengono le sfide della vita. Il mondo del lavoro (Le certezze e la realtà/Il bosco dei Guaranà/L’uomo invisibile/La piramide rovesciata) che già dai titoli: carriere, conflitti, multinazionali e delocalizzazione.
Senza dimenticare sogni e paure (Il cassetto degli orrori/L’Apocalisse di Beniamino). Il mondo degli ultimi (Il primo giorno di scuola).
E per ultimo, storia e mistero. (Il Mistero della grande Quercia/L’Icona/L’Imperio, Romano e il Sacro Fregio). Sfogo di fantasia pura.
Sentimenti insomma, il filo conduttore.


Dalla favela brasiliana alla periferia di Sesto San Giovanni, dalla Francia di fine 800 alla baia di San Francisco; nei tuoi romanzi traspare una meticolosa cura nell’ambientazione e ai riferimenti storico geografici, segno di un lavoro di ricerca e preparazione della trama. Quali sono le tue fonti principali? Preferisci spaziare nel web o in biblioteche? 
A Sesto San Giovanni ci sono nato. A San Francisco ci ho vissuto. Nella favelas ci sono stato con un missionario Saveriano. Curitiba 400 km a Sud di San Paolo. Il resto, biblioteche o Web. Per documentarmi sulla rivoluzione francese e la quasi contemporanea guerra d’indipendenza degli Stati Uniti mi sono letto almeno una decina di libri, anche se alla fine taglia di qua e accorcia di là ben poco ci è rimasto. Le mie storie sono inventate, ma l’ambientazione storica è il più possibile rigorosa. Più ci sei dentro tu, più riesci a trasmetterlo. Scrivere che all’angolo di Country Lane e Lombard Street c’è un bar che si chiama Silver Bullet, non farà vincere il Nobel, ma al lettore che s’immedesima darà più colore alla scena. Sul web oggi ci puoi persino camminare per Lombard Street. Inutile sottolineare quanto importante sia per chi vuol descriverla.  


Nella costruzione dei personaggi, molto caratterizzati e ben distinti, usi più l’immaginazione o prendi spunto da modelli reali? 
Reali. Tutta la vita. Certe espressioni. Certe peculiarità, sono così indelebili che a distanza di anni, nome e cognome mi ricordo. E più li descrivo, più li rivedo. Penso proprio che sia questo bagaglio di emozioni accumulate negli anni, l’arricchimento di chi poi cerca di raccontare. Storie inventate, ma personaggi reali con nomi di fantasia. Facendo attenzione però, ai tranelli degli stereotipi. Tanto facili quanto abusati. Tipo il vecchietto del saloon, negli spaghetti western. O il commenda milanese nella commedia italiana da cine panettone. 


Fai un uso ben calibrato del ritmo narrativo, in testi come L’icona o Il primo giorno di scuola, per fare degli esempi, ogni pagina cattura l’attenzione del lettore tenendo vivo il mistero. Come arrivi a un tale risultato? Prepari uno schema o lasci che la storia si sviluppi da sé? 
Bella, questa domanda. I personaggi più sono veri, meno sono docili. Se gli schemi sono troppo rigidi, puntano i piedi e vagano qua e là per le pagine del romanzo, senza una meta. E se il personaggio che hai pensato risulta spento e poco convincente, prima o poi si perde nei meandri di qualche capitolo senza capo ne coda, Esattamente come il romanzo che stai scrivendo. Una specie di “Sei personaggi in cerca d’autore” in libera uscita. Un fenomeno che mi ha così affascinato da scriverci un racconto. (La finestra sul Golden Gate). E giusto come esempio, nel “Mistero della grande quercia” per creare l’atmosfera del paesino sperduto sui Pirenei ho messo la locanda di madame Gosse, ma dopo qualche capitolo mi sembrava sbilanciato, si insomma, al paesello mancava l’anima. E parlando di anima, alla faccia dell’originalità ho pensato di metterci un parroco. Padre Arlot. E da quel momento il romanzo è virato tutto da quella parte. Tanto che alla fine è proprio lui a scoprire l’arcano. Quindi: no agli schemi troppo rigidi. Personaggi motivati è meglio,
Per tenere vivo il mistero invece, mi ispiro a Grisham. Una tecnica semplice ed efficace. A partire dall’intreccio con storie sovrapposte e personaggi che s’incrociano. E ogni volta che ne lascia uno per passare all’altro, alimenta l’attesa. Semplice curiosità invece del più abusato colpo di scena.


In L’apocalisse di Beniamino, compi un viaggio, attraverso dieci racconti, nel mondo delle paure; in quale, di questi racconti, hai messo a nudo la tua paura più radicata?
Un inverno da dimenticare. Per raccontare in maniera breve e drammatica la paura del futuro. Che può colpire con una malattia come in questo racconto o con la minaccia improvvisa alle certezze che ti sei costruito. Paura che per altro ha fatto da stimolo al mio cimento nella scrittura. Un sfogo come un altro per esorcizzare la paura e testimoniare un fenomeno che allora (1992), dava già i segnali di come sarebbe finita. Lavoravo in una multinazionale piena di certezze. Non ero né uno scrittore, né un consulente aziendale. Neppure un giornalista. Tantomeno un Super Manager. Ero nessuno. Ma quando l’ho vista. Una crepa! E chi se ne frega se era la prima. Il messaggio che si portava appresso, difficile ignorarlo. Profonda. Angosciante. Si era insinuata nelle granitiche certezze della multinazionale con fatturati da record, minacciando di sgretolare un futuro che si credeva garantito per sempre. Tutto poi e' successo di conseguenza. Nel 1993 ho inventato il finale (Il bosco dei Guaranà), “troppo pessimista” mi sono sentito dire. Ma quando e' arrivata la botta. Confronto a quello che dieci anni dopo ha scritto il destino, il mio faceva ridere.


Stai lavorando a un nuovo progetto?
Sto lavorando al sequel dell’Icona. Un thriller storico. A partire dalla Crociata degli straccioni. Un maledetto fatto di sangue ambientato nella San Francisco fine anni ‘80 che ha le sue radici nell’anno mille. In un monastero dell’universo Cluniacense del Giura Francese. Il centro del mondo ecclesiastico, per il monachesimo dell’epoca. Un rogo e un processo per eresia. Materia per esorcisti più che poliziotti. Padre Connelly più che il sergente Morgan.


Vorrei portare la conversazione sul tema del digitale. Il tuo repertorio conta un lungo elenco di romanzi, tutti pubblicati in formato Ebook.

Quanto ha pesato, in questa tua scelta, la possibilità di potersi autogestire, svincolarsi, quindi, da leggi di mercato altrimenti imposte da un editore? 
Il mondo dell’editoria oggi boccheggia, ma alla fine degli anni novanta non stava molto meglio. Già cominciava a tossire. Le grandi case Editrici che ho interpellato erano già booked per i secoli a venire. Per le altre ero quasi meglio di Wilbur Smith. Bastava pagare e mi avrebbero pubblicato anche la Vispa Teresa. Conscio dei miei limiti ho lavorato per migliorarmi, intanto che riempivo il cassetto di manoscritti. Che alla fine sono esplosi. «Stacci te nel cassetto per vent’anni e poi vediamo se non t’incazzi.» Mi hanno minacciato. Nel frattempo il mondo era cambiato. Quello dell’editoria in peggio. Quello del Web in meglio. Mi sono dato da fare con copertine e tutto il resto e uno alla volta, dopo averli vivisezionati ancora, ancora e ancora, alla fine li ho messi in un altro cassetto. Quello virtuale. E qualche piccola soddisfazione me la sono presa. Loro sono felici. Io di più.


Quali sono i vantaggi nel pubblicare in digitale? 
Per quel poco o tanto che valgono, i diritti sono sempre miei. Posso gestirli come voglio. Copertine, riedizioni e tutto il resto. Le piattaforme come Amazon e Kobo Mondadori offrono visibilità e tutti i servizi editoriali che servono. I rapporti commerciali sono molto chiari. Se i tuoi obiettivi lo richiedono, le offerte sono tante. Con la versione cartacea “on demand” stampano e spediscono anche la singola copia. Io mi servo di Lulu Edizioni.


E quali sono, invece, i punti ancora migliorabili delle piattaforme digitali di lettura? 
L’offerta è tanta. La qualità ne risente. Il materiale va direttamente sul mercato senza uno screening preventivo. Queste le critiche che vengono fatte agli autori “indie” (indipendenti che si auto pubblicano) come me. Poi, se leggi i vari articoli che disputano di scelte “indie” o a mezzo editore, scopri che per restare a galla le case editrici commissionano il lavoro di revisione a prezzi sempre più “competitivi in basso” a specialisti che per campare lavorano quasi a cottimo. La qualità quindi. E qui mi fermo perché non ho esperienza diretta.



Il mercato degli Ebook è in costante crescita creando così business; così come è accaduto al mercato discografico, non ti preoccupa il possibile dilagare della pirateria anche nell’ambito della letteratura?
Io mi cautelo con la piattaforma Creative Commons. Deposito Titolo e sito. Certo, uno può sempre cambiare titolo, copertina e prime pagine, che quando lo scopri magari è già diventato un best seller in un'altra lingua. Sinceramente non riesco a immaginarmi chi possa pensare di piratare un mio scritto. Sto con i piedi ben piantati per terra. I miei sono piccoli numeri, deve proprio essere un pirata disperato se pensa di arricchirsi in questo modo. 


Inutile negare che la grande editoria, specie nel nostro paese, pur in costante crisi economica, propone contratti milionari a scrittori anglosassoni già affermati oppure ripropone i classici, magari con una nuova traduzione, invece di investire in nuovi talenti. Per quale motivo, secondo te, non colgono l’occasione di promuovere giovani autori esordienti, dato i costi relativamente bassi nel pubblicare un ebook? 
Qualche cosa però, sta cambiando. Le grandi case fanno scouting nel mondo degli ebook. Selezionano direttamente o per mezzo di Agenzie gli esordienti che meritano di essere pubblicati. Qualcuno ha vinto premi, qualcun altro ha sfondato prima come indie. (Anna Premoli/Bancarella 2013 dopo aver auto pubblicato con la piattaforma Narcissus – John Locke ha sfiorato il milione di ebook sulla Kindle Direct Publishing a 99 cents l’uno, prima di firmare con la Simon&Shuster) 
La Kobo Mondadori ha organizzato nel 2016 il concorso “6 Romanzi in cerca d’autore”. Contest sia per editi che inediti. Altre case editrici importanti hanno fatto lo stesso. Giusto accennare però, che qualcosa si muove pure all’incontrario e cioè, scrittori già affermati che lasciano le grandi case editrici per auto pubblicarsi su Amazon e Kobo. (Joel Dicker col romanzo “La verità sul caso Harry Quebert” oppure Amanda Hocking col suo “Witched” due milioni di ebook venduti). C’è movimento, insomma.


Quando pubblichi un nuovo romanzo, quale strategia usi per promuoverlo?
Faccio davvero poco per promuovere le mie creature. Lo stretto necessario. Devi limitarti a fare quello che sai, non puoi improvvisarti showman se non lo sei. Una pagina Web dedicata, di solito su Facebook, un lancio mirato ai potenziali lettori, su gruppi a soggetto tipo Thriller o Storici. Senza spamming però. Solo rilanci se l’ebook si piazza in classifica, per dire: “fidatevi” oppure a seguito di uno spunto tematico come un articolo che riprende il periodo storico o il tema trattato dal racconto. Piccole cose. Minimi risultati. Recentemente ho sperimentato un nuovo canale. Suggeritomi proprio dal contest di Kobo Mondadori. I concorrenti erano invitati a pubblicare l’estratto in versione ebook (download gratuito download gratuito) da affiancare all’ebook originale (download a costo standard Il mistero della grande quercia). Gruppi di lettura scaricavano l’estratto e lo recensivano. Su queste basi venivano poi stilate le classifiche. Ottimo traino per l’ebook originale. Il lettore prende visone a costo zero del racconto. Molto più di una semplice sinossi. Come dargli torto, l’autore è sconosciuto. Mica sempre un’accattivante copertina promette un romanzo appassionante.




 

Nessun commento:

Posta un commento