Emilio Diedo
Emilio Diedo, vive a Ferrara. Poeta, saggista, autore di romanzi,
racconti, fiabe, testi teatrali, critico letterario. Collabora con giornali,
case editrici e riviste culturali. Le sue opere spaziano dal teatro: Mariéta
Penèa; Madama Etrom, alla poesia con Mea culpa; Risorgeremo; Tra mille e
più; Fotoni; Le ebrezze di Chonos; Poesie (1999); Sbarchi d’arche;
La Fiamma sulla Croce; Spicchi di Specchi; Reale apparente. Giochi
d’esistenza. Per la narrativa ha pubblicato: Farfalle d’autunno; Lettera
dal paradiso; Stelle di terra e l’ultimo romanzo Diario di chi?
Lavori che
hanno portato all’autore, uno degli esponenti della Poesia Cosmica, numerosi
premi come “Noi e gli altri”1996; premio “Valle Senio” 2004;
premio selezione “Janus Pannonius” 2000; premio “Atheste” 1998; “Arcobaleno
della vita”, solo per citarne alcuni. Con quasi tutto il suo repertorio
letterario è stato prescelto come espositore per la “Biennale d’arte
contemporanea Città di Roma-Jubilaeum 2000” ed è poi stato decretato
vincitore assoluto per la letteratura. È socio fondatore del Gruppo
Scrittori Ferraresi.
Intervista
ad Emilio Diedo
Voglio
innanzitutto ringraziarti per la squisita disponibilità. Iniziamo con qualche
domanda per conoscerti meglio.
- Quale ruolo
riveste la scrittura nella tua vita? Condivisione, liberazione, evasione o che
altro?
- Mi sento, prima
d’ogni altra considerazione, libero nell’atto dello scrivere. Nel contempo tale
libertà interiore corrisponde anche ad una rimozione delle problematiche del
contingente, ossia ad un’evasione da quel me stesso che mi rende materia e
corpo nella quotidiana marea. Poi, posso dire che, almeno per quello che sento
nel mio impulso a scrivere, istintivamente vorrei che quel nero sul bianco che
mi spinge a fantasticare potesse in qualche modo essere recepito da altri,
magari da un mio affezionato lettore.
- Come
scrittore sei più allodola o civetta, trai più ispirazione nella notte fonda
oppure trovi che il mattino abbia l’oro in bocca?
- Dovendo
soppesarmi nell’ambivalenza d’una tale metafora, direi d’indossare un po’ i
panni (pardon: le piume) di tutti e due i volatili. Ma, pensandomi secondo la
metafora che realmente mi farebbe sentire in linea con un certo tipo d’uccello,
di giorno, crederei d’essere rondine prima di qualsiasi altro tipo di volatile.
E vada pure, per la notte, la maschera della civetta.
- Quali
sono stati i tuoi autori di formazione?
- Al di là delle
più elementari proposte che mi sono pervenute dalla scuola dell’obbligo e da
quella superiore, credo che, pur percependo inconsciamente un risultato di
sintesi sia dell’uno che dell’altro autore, italiano o straniero che fosse,
sintesi inevitabile che sento d’avere fagocitato ed a stento digerito, il
mio modello di scrittura sia abbastanza indipendente da stili, schemi e
soprattutto (specie parlando di poesia, ma non solo) da canoni. Per me scrivere
significa unicamente dar libero sfogo alla fantasia col musivo impiego delle
parole, con tutte le sue sfaccettature ed inclinazioni. E se regole decido di
seguire, preferisco inseguirne dei prototipi, creandomele ad arte. Vedasi la
mia ultima pubblicazione poetica, Reale apparente. Giochi d’esistenza,
del 2013, manifesto per una nuova metrica.
- Tu spazi
fra poesia cosmica, racconti, favole e romanzi: c’è un filo che lega in qualche
modo i tuoi lavori?
- Sì e no, più sì
che no! Nel senso che generalmente nutro le diverse categorie letterarie con
comuni bocconi di fantasia, ossia con i concettuali elementi che mi premono
nella mente, impazienti di farsi scrittura, divenendo talora poesia, talvolta
racconto… persino romanzo, di sovente travasandone i contenuti dall’una all’altra
categoria. Però, soprattutto se trattasi di romanzo, o comunque di scrittura
dal lungo respiro, l’ispirazione tende ad avere un’origine ben defilata e
preferenziale.
Il “Cosmo”, be’,
hai scovato la mia fonte d’estroversione primaria, fonte esistenziale, più che
essenziale. È proprio in considerazione dell’infinita incontenibilità del Cosmo
che riesco a concentrare, a elaborare la mia creatività. Chiaramente ciò che ne
trae maggiore sviluppo è la poesia. Non occorrerebbe neppure dirlo.
- Quanto
conta la conoscenza diretta della vita quando ti racconti? Quanto invece l’immaginazione.
- Dalla vita
traggo l’essenza, base imprescindibile per interrare in una realtà, per quanto
fittizia possa essere, quelle mie mille imprevedibili incursioni nel mondo
della fantasia, dei sogni, d’un ludico introiettarsi nella dimensione di quell’altra
barriera che è l’irrealtà capace di farsi letteraria quotidianità, idonea,
piacevole misura finalizzata ad una culminante lettura. Perché, sì, se scrivo
di narrativa, prima di chiudere con la parola “fine”, ho la pretesa di farmi
lettore di me stesso e di verificare se lo ‘scrittore’ sia stato davvero all’altezza
del ‘lettore’, garantendogli assorbente assuefazione, soprattutto
scongiurandogli quella cattiva conduttrice che è la noia d’un contesto
scritturale infimo, povero di folgorazioni, di vere emozioni.
E qui, è
evidente, sta anche il ruolo dell’immaginario. Tramite l’immaginazione si
scrive veramente! Non si scrive di soli aneddoti o di poche viscerali
vicissitudini. Lo scrittore deve cercare di legare alla verosimile realtà la
creatività, all’insegna d’una facezia che effettivamente sia tale, che renda
davvero l’idea della scrittura creativa, nel senso pieno del significato.
- Approfondiamo
ora il tuo ultimo romanzo, Diario di chi?. Com’è nata l’idea?
- Il suo abbrivo
l’ho percepito come tutte le altre proiezioni nel fantastico che, appunto, la
cosmica, illuminante dimensione dell’essere di volta in volta mi suscita,
istigandomi a farneticare, a frugare tra le infinite ragnatele del pensiero
incarnato. E nell’occasione il pensiero ha voluto erigersi ad ogni costo a
frastornante campana, prendendomi per mano ed accompagnandomi in un percorso
impervio fin dall’inizio ma, a me stesso, entusiasmante. Cosicché il minimo
sprazzo mentale abbia saputo trovare dialogica controparte, allargandosi fino a
divenire ampia visione… e poi, dopo una sua idonea maturazione, materia
ottimale di scrittura. In pratica, è nato ed è stato partorito come tutte le
altre narrazioni che un autore vorrebbe ad altri far leggere. Niente di più!
- La
storia è ambientata nella Ferrara del futuro, proiettata in avanti più di cent’anni;
è stato difficoltoso immaginare la società a venire, considerando con quale
velocità le nuove tecnologie cambino il nostro stile di vita e l’ambiente
stesso? C’è un motivo particolare del perché hai scelto la tua città?
- Inizio dalla
fine. Ho scelto Ferrara perché ci vivo e ne conosco abbastanza bene, prima di
tutto, la topografia, elemento essenziale per svolgere una trama radicata ad una
determinata territorialità certa. Poi, conosco la sua propensione economica e
sociale. E, altro particolare non di poco conto, conosco le abitudini dei
ferraresi, le loro tendenze di pensiero. Ma, siccome sono veneziano d’origine,
nel contesto ho riservato anche a Venezia un suo piccolo spazio, un ruolo
minimale ma inclusivo.
La società futura
che descrivo nel romanzo è semplicemente frutto della mia ottimistica,
pacifista, accomodante volontà d’espandere l’umanità nella storia. Non di farne
un catastrofico, apocalittico repulisti. È volere che il mondo funzioni secondo
una prioritaria tendenza all’amore, anziché no. In sé sembrerebbe un’utopia. Lo
so. Me ne rendo conto. Ma, uno dei tanti Tommaso Moro, ho voluto, ho preteso ed
osato esprimermi alla maniera d’un Don Chisciotte che, per una volta tanto, ha
avuto ragione di quei titanici, meccanici, insormontabili mulini a vento. Un
poco per ciò ed in parte perché ho voluto dare umana voce anche alla fauna, Il
Resto del Carlino, in una sua generosa recensione, ha definito il mio romanzo
come una “favola moderna”. Devo però pur dire che certe questioni squisitamente
etiche, finanche nell’epoca di cui narro, non troveranno definitiva soluzione,
finendo per essere rimpallate all’infinito, stelle comete senza tempo, senza
una finale meta.
Quanto alla
descrizione delle tecnologie, pur divertendomi giocando ad inventare meccanismi
e congegni strani, ho dovuto comunque impegnarmi in una ricerca scientifica
quasi estenuante, a tutto tondo. Ed ho perciò ritenuto opportuno riportare
alcune note esplicative in calce, giusto per dare un minimo di credibilità a
quanto di similmente scientifico ho dovuto inventare. Non mi va a genio d’usare
l’attributo ‘fantascientifico’ semplicemente perché il romanzo non è
finalizzato ad una scienza sbalorditiva ma ad una coscienza socialmente utile.
Mi piace inoltre precisare che non sono un patito delle note, riguardo ai testi
creativi (tutt’altro!), ma per questo romanzo ho reputato utile che ce ne
fossero. È la prima volta che chioso uno scritto narrativo. Discorso a parte
per altri miei testi saggistici, naturalmente.
- Vuoi
raccontarci la trama del romanzo?
- Preferirei che
fosse un potenziale lettore a leggersela. Ad ogni modo posso dire che il tiolo è
icastico della vicenda umana d’una creatura che, essendo stata generata da un
esperimento di laboratorio, sintetizzando il DNA umano con quello d’una
gorilla, per tutta la sequenza della trama emerge il suo dilemma: “sono o non
sono un uomo?”. La risposta risolutiva, che lo ripacificherà, se non col
prossimo, almeno con sé stesso, la troverà nell’accostare la sua vita privata a
quella del Cristo.
- “Che
cosa sono, che tipo di creatura sono?” è il quesito che si pone Adamo, il
protagonista; quanto del dilemma filosofico ‘dell’essere’ è presente nel libro?
- Il contesto
esprime senz’altro motivazioni sia filosofiche, chiaramente di tipo
esistenziale, sia teologiche, per quanto necessariamente ne consegue. Voglio
tuttavia chiarire che tali implicazioni teoretiche non inficiano la regolarità
d’una scorrevole lettura, che reputerei interessante tanto quanto allettante e
forse, con la concessione d’un minimo d’ironia, persino brillante, nonostante l’implicito
dramma del protagonista.
- Come
descriveresti Adamo? E qual è il suo rapporto con la fidanzata Odette? Ti sei
ispirato a dei ‘modelli’ o li hai plasmati unendo pregi e difetti della nostra
società?
- Adamo, nella
sua ibridata istintività caratteriale, è latore d’una sua indole naturalistica
più vicina alla mansuetudine dell’animale domestico che alla ferinità ipocrita
dell’essere umano dei nostri giorni. Sorta di riciclo del mito del ‘buon
selvaggio’ di Rousseau. Ed Odette è una sua degna compagna ed in seguito sposa.
Ambedue amano sé stessi nella maniera più pura che si possa concepire, in
quanto individui e coppia, ma sanno amare anche il mondo che li circonda e
tutto il creato. Quindi, mi sembra che si tratti d’un modello completamente
avulso dalla realtà dei nostri giorni. Forse apparirà addirittura bigotto, ma
assolse ad una cultura di vita che auguro possa essere stimolo di sincera
emulazione.
- Sul
tuo romanzo è stato scritto che si tratta di “un inno alla vita, ma soprattutto
una graziosa dedica alla donna, a tutte le donne del mondo”. Sempre rimanendo
nel tema del romanzo, come immagini la donna del futuro?
- Sì, l’ho detto
e l’hanno scritto, e lo ridico e lo ribadisco, confermando quanto ho affermato
nella precedente tua domanda. Aggiungo solo che, per esaltare la donna, mi sono
avvalso persino della figura della Madonna, che, nella sua solare, illuminante
icona, personifica la più amabile tra le madri di questo terreno mondo.
Oltre a ciò, la
donna del futuro la immagino esattamente come quella di adesso, quanto a
carattere, introversione e gusto nel vestire e nel sapersi esteriormente
valorizzare. L’unica differenza che potrà contraddistinguerla da qui a un
secolo credo potrà essere l’assoluta parità rispetto all’uomo, nel sociale, nel
lavoro e nella domestica quotidianità; emancipazione che la renderà consapevole
d’un ulteriore sapersi far valorizzare, cioè anche interiormente, più di quanto
ancora il maschio non voglia accettarla.
- Tre
aggettivi per descrivere Diario di Chi?
- Leggibile,
nel senso di sufficientemente godibile; catechizzante, per gli eventuali
lettori che vorranno leggerlo con il massimo impegno etico e rispetto religioso
(ma credo anche che, specie sotto l’ultimo punto di vista, sarà scarso questo
tipo di lettore); tragicomico, perché proprio quest’ultimo è l’intento
che mi spinge sempre a scrivere. Se non scrivo per divertirmi e divertire non
mi sembra nemmeno di scrivere! D’altra parte mi piace far sorridere le persone
anche nella tragedia, perché la vita è sorriso e dramma insieme.
- L’ultima
domanda è a carattere generale. In un paese come il nostro, dove la maggior
parte delle persone dichiara di non aver letto nessun libro nell’ultimo anno,
secondo te, cosa può fare la scuola e il mondo della cultura in generale per
invogliare le persone a leggere?
- Si possono escogitare moltissimi sotterfugi in
tal senso, per carità, tutti ugualmente encomiabili, ma sono convinto che,
prima d’ogni altra soluzione, occorrerebbe agevolare economicamente gli autori
e gli editori nella fase di produzione dei libri. Quindi motivare il cittadino,
e/o lo scolaro, ad una continua lettura, con incentivi premiali i più svariati.
Infine credo (ma è solo un mio umile parere) sia opportuno ripolarizzare l’uso
del libro, sia esso avuto in prestito (tramite le biblioteche, certi circoli
culturali e grazie anche agli scambi tra conoscenti ed amici) o direttamente
acquistato, avendo riferimento al suo circuito d’origine, che, a mio modo di
vedere, rimarrebbe, sempre e solo, quello cartaceo. Mi perdonino quanti la
pensano diversamente (tra i quali penso ci sia tu stesso), ma ho scarsissima
fiducia nel libro online.
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