Cosa ci spinge a
scrivere? Spremersi le meningi per
cercare una trama, dar vita a dei personaggi virtuali, personalità che
convivono dentro di noi e che, grazie alla scrittura, diamo loro un corpo, una
voce con cui dire e fare ciò che noi stessi non avremmo il coraggio di fare?
Cosa ci spinge a mettere a nudo desideri, paure ed emozioni?
Probabilmente sono molteplici le ragioni, chi in cerca di gloria o di uno
sfogo, chi per autoanalisi o per comunicare, ma, quasi certamente, siamo
accomunati dalla ricerca di un pensiero che sappia sopravvivere a noi stessi,
lasciando una traccia della nostra esistenza. Il complesso di
Erostrato vissuto nel modo più etico e costruttivo forse, ma assai meno
efficace.
Alla domanda, perché scrivi?
Umberto Eco rispose: “Perché mi piace”
Probabilmente, questo responso
lapidario racchiude tutte le possibili risposte. Mille motivi che portano a
soddisfare un bisogno che proviamo: condividere un’opinione, il nostro modo di
vedere il mondo, la vita; per divertirci e far divertire; far riflettere nella
speranza di dare il nostro contributo, seppur piccolo che sia, a migliorare il
mondo. Oppure per brama di successo: chi non sogna di essere riconosciuti per
strada, vedere la gente mettersi in fila per un autografo, cenare in una serata
di gala allo stesso tavolo di autori affermati.
Le motivazioni sono
molteplici, così come le difficoltà e le delusioni. I sogni costano caro, si
alimentano di speranze e disillusioni, di euforia e scoramento. Per ogni
mattone che posiamo nel costruirlo, rischiamo di prendere una picconata
attraverso un rifiuto, una stroncatura o un mancato riconoscimento.
L’importante è non demordere, riconoscere gli errori e riprovarci. Un esempio?
J.K. Rowling, una delle autrici più famose nel mondo, tuttavia, quando propose
il suo Harry Potter e la pietra
filosofale, a ben dodici differenti case editrici, ricevette altrettanti
rifiuti che etichettavano il suo lavoro fin troppo lungo. Quindi: mai arrendersi.
Possono toglierci tutto, ma
non la libertà di sognare. E per scrivere un buon libro dobbiamo
sognare, lasciar sgorgare la creatività che è innata in noi.
Oggi, vorrei dedicarvi un
mio racconto, scritto anni fa, anche se non ero agli esordi, mi consideravo,
come mi considero ancora oggi, un eterno esordiente; perché c’è sempre da
imparare
Elucubrazioni di un esordiente
Pagina centosettantadue.
Sono quindici minuti che il cursore
palpita impietoso accostato all’ultima sillaba battuta; sembra scrutarmi come
un professore austero che, spazientito, tamburella con le dita la cattedra
sottolineando il mio silenzio.
Do un'occhiata all'orologio: le due e
quarantuno. Il mio sguardo si perde nel deserto della pagina elettronica. La
ragnatela tesa a sagomare la trama del romanzo si va aggrovigliando,
avviluppandomi in un bozzolo asfissiante.
La luce della lampada da tavolo s’espande, diluendosi nel buio
della mansarda; sfiora appena il dorso dei libri disordinatamente poggiati su
scaffali affaticati dal tempo. Nella penombra del locale il letto m’invita a
lasciarmi sprofondare nelle calde e avviluppanti braccia di Morfeo. Non talamo,
bensì campo di battaglia nella quotidiana lotta contro l’insonnia.
Il fumo sprigionato
dal sigaro, malamente abbandonato nel posacenere, sale lento e sinuoso come una
danzatrice del ventre, scindendosi in fili sottili modellati da impercettibili
correnti d’aria.
In un angolo, posata su di un tavolino, la vecchia Olivetti pare
scrutare compiaciuta questa mia battuta d’arresto. La bandella rossa e nera
giace inerme e inaridita, con il solo scopo di rammentarmi quelle notti lontane
in cui fungeva da catalizzatore fra la mia mente e il resto del mondo,
imprimendo sul foglio vergine quel fiume impetuoso e inarrestabile che erano i
miei pensieri. In quell’età in cui ero certo d’aver scovato la chiave segreta
del mondo, quando nulla sembrava poter fermare l’irruenza dettata dall’orgoglio
e dall’arroganza. Accanto alla macchina, la risma di fogli bianchi in attesa e,
ai piedi del tavolino, l’immancabile cestino, tumulo di errori e ripensamenti.
Allora, il ticchettio dei martelletti s’espandeva nell’aria assieme all’aroma
del caffè e al fumo delle sigarette, mentre, dal piano di sotto, s’udivano gli
improperi dell’inquilino disturbato dal fastidioso picchiettio.
Immagini simili a quelle di un film
neorealista che, riaffiorando, mi spingono ora a chiedermi se la finzione
rispecchia la realtà o se, piuttosto, la condizioni. Ore notturne sostenute da
litri di caffè pagato a colpi di gastrite, come se l’ispirazione non avesse
potere alla luce del giorno. Al quadretto manca soltanto un bicchiere di bourbon
o di gin (perché una grappa fa troppo nostrano) e lo stereotipo dello scrittore
è servito. E pensare che detesto l’odore di nicotina, così come non sopporto
svegliarmi con la bocca impastata dal sapore di alcol.
Mi chiedo quale differenza passi fra un
pescatore che racconti d’aver preso all’amo la madre di tutte le trote e uno
come me, pozzo inaridito nell’oasi dei sentimenti, che scrive di travolgenti
passioni, amori e tradimenti senza averne saggiati di propri.
Scrittori: eterni
pizzicagnoli dediti a offrire sempre nuovi sapori a menti affamate d’emozioni.
Sapori aspri, a volte insipidi, dolci, saporiti. Barman pronti a sperimentare
nuovi cocktail, shakerando parole, sentimenti, emozioni e, forse, anche
banalità. Spinti da mille ragioni differenti, chi in cerca di gloria o sfogo,
chi per autoanalisi o per comunicare, ma tutti accomunati dalla ricerca di un
pensiero che sappia sopravvivere a se stessi, lasciando una traccia della
propria esistenza. Il complesso di Erostrato vissuto nel modo più etico e costruttivo
forse, ma assai meno efficace. A volte mi chiedo se sia meno doloroso dare alle
fiamme un tempio oppure ardere lentamente dalla passione e soffocare per le
cocenti delusioni, mentre, disincantati, si osservano i propri sogni
sgretolarsi sotto il peso della realtà.
Esordiente ormai veterano, vago frustrato in librerie che
somigliano sempre più a supermercati: dove l’odore di pizza e Coca Cola copre
il profumo di carta, colla e petrolio dei libri freschi di stampa. Copertine accattivanti
in cui spesso il nome dell’autore sovrasta di gran lunga il carattere del
titolo, equiparando i romanzi a scatole di biscotti colorate il cui 'nome' è
sinonimo di bontà. Scaffali colmi di sapere, antico e moderno, mentre in
vetrina campeggiano i prodotti pubblicizzati, griffati, alla moda, relegando le
novità, gli esordienti, ad agonizzare nel sottoscala.
Mi chiedo se valga ancora la pena dar vita a storie per poi
confinarle in una clausura forzata nella memoria di un computer. Personaggi con
un volto, un cuore, una storia; figli della propria anima, partoriti mettendosi
a nudo e liberando le paure e i sentimenti più intimi.
Nei caffè letterari mi sento impacciato come un leone marino in un
campo di calcio; preferisco di gran lunga la vita di strada, dove posso rovistare
fra i discorsi della gente assaporandone le vite, le esperienze. Storie che mi
cucio addosso come un vestito di Arlecchino, mimando caricature di me stesso;
raccolgo ogni esile pensiero svolazzante nell’aria per distillarlo, goccia dopo
goccia, in esperienze vissute attraverso i miei personaggi. Un universo
parallelo a due dimensioni in cui posso gioire, ansimare, piangere e persino
pregare.
Forse sto solo
farfugliando parole senza senso. Probabilmente, qualche mattina, mi sveglierò e
andrò sul pianerottolo nudo come un verme a cantare l’inno alla gioia,
palesando tutto il disagio e la rabbia repressa, soffocata a stento dalle
illusioni. Per il momento, però, torno a fissare il cursore: immobile nel suo
lampeggiare come una sentinella in attesa di nuovi ordini. Magari un giorno
smetterò di scrivere e formatterò l’hard disk, troncando con questa vita
virtuale, ma per questa notte proverò ancora una volta a gettare dei semi neri
su di un terreno vergine e bianco. Sentendomi una vecchia quercia nodosa e curva
che lascia cadere le proprie ghiande, spargerò queste parole lasciandole
sospese nel tempo, nella speranza che, anche una sola di esse, possa
attecchire. Sarà il vento a portare lontano le mie emozioni, nel miraggio che,
un giorno lontano, anche un solo uomo legga il mio nome, così che un briciolo
della mia anima possa ancora palpitare attraverso di lui su questa terra.
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