Giosuè di Betania
cap. III
Ancor prima
che il sole sorgesse, Giosuè svegliò Beniamino e, dopo una frugale colazione,
salutò e ringraziò Giacomo ed Ester per riprendere il viaggio.
Camminarono
spediti; Giosuè era impaziente di riabbracciare Giuda, che s’era rivelato assai
più degno nel meritarsi la benedizione di Zaccaria. Desiderava, più di ogni
cosa, precipitarsi al capezzale del padre, stringergli la mano chiedendo
perdono per la lunga assenza.
Si rese conto
di tenere un passo troppo veloce per il giovane Beniamino, che lo seguiva
taciturno. Il sole era alto nel cielo e la brezza rendeva piacevole il viaggio.
Si fermò, guardandolo con tenerezza negli occhi. Beniamino ne approfittò per
togliersi la sabbia dai sandali. Giosuè l’abbracciò e gli arruffò i capelli
sorridendo. Era fiero dei propri figli.
«Sediamoci a
riposare» disse, indicando l’ombra alla base di alcune palme. Beniamino obbedì
sedendosi a terra e appoggiando la schiena a una di esse.
«Non manca
molto». Indicò un massiccio roccioso. «Oltre
quelle colline, c’è il villaggio di mio padre. Non puoi ricordarti di lui, eri
ancora in fasce quando io e tua madre ti ci abbiamo portato. Tuo nonno sarà
felice di vedere come ti sei fatto grande».
Gli descrisse
con dovizia i posti legati alla propria infanzia, raccontando aneddoti che
stuzzicarono l’ilarità del giovane, mentre un gruppo di pastori attraversava l’orizzonte
guidando i propri armenti.
I due rimasero
a godersi l’ombra, mentre il sole arroventava le pietre. Si rimisero in cammino
dopo aver mangiato delle focacce preparate da Ester. Ripresero con passo meno
spedito, osservando i lineamenti dolci dei monti e il verde di alcuni gruppi di
alberi che, come barba incolta, punteggiavano qua e là un paesaggio altrimenti
brullo.
Giunsero al
villaggio nel tardo pomeriggio. Giosuè riconobbe subito quella che fu la sua
casa, il pozzo poco distante e, sullo sfondo, l’oasi che abbracciava il piccolo
borgo. Il cinguettare di alcuni uccelli celebravano il senso di pace, mentre il
profumo di salsedine aleggiava nell’aria.
Un’ondata di
ricordi ed emozioni lo travolse, facendolo
barcollare; trattenne a stento lacrime di gioia.
Trasalì nel
vedere uscire dall’uscio la figura di un uomo robusto, alto, dal portamento
fiero. Era Giuda: l’avrebbe riconosciuto ovunque. Non seppe resistere all’impulso
di chiamarlo e, lasciando cadere la propria bisaccia, gli corse incontro.
Giuda,
sorpreso e felice, allargò le braccia in segno di benvenuto. S’abbracciarono
come mai era loro successo di fare.
«Che tu sia
benvenuto fratello caro» disse il primogenito.
«Che il
Signore ti sia sempre benevolo, essendo il più meritevole dei miei fratelli».
I due si
strinsero nuovamente, sciogliendo in quel calore anni d’incomprensioni e parole
taciute.
«Nostro padre
ti attende» disse Giuda, indicando la casa.
Giosuè sentì il cuore balzargli in gola; assentì e, con passi leggeri, si
diresse verso la porta.
Appena varcata
la soglia, fu travolto da un’ondata di emozioni, come se il tempo, fermandosi,
ne avesse atteso il ritorno per ripartire dallo stesso istante. Titubante,
calpestò le stuoie stese sul pavimento. Sulle pareti erano appesi i mantelli e
le vesti dei fratelli, mentre dal focolare proveniva un profumo di zuppa di
legumi. Folgorato, intravide in un angolo della grande stanza, inondato dai
raggi di sole che penetravano attraverso la piccola finestra, il giaciglio su
cui riposava suo padre; nonostante il tempo trascorso, questi lo riconobbe
subito. Tracimante di felicità, lo invitò ad avvicinarsi.
Giosuè si
slanciò ai suoi piedi; gli prese la mano e, accarezzandola, lo rassicurò: era
tornato e avrebbero festeggiato assieme la festa più sacra.
Giosuè di
Betania edito 2015
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