di Pierangelo Colombo

domenica 10 maggio 2020

La vita dentro me

Festeggiando tutte le mamme dedico loro questo mio racconto breve.
Buona lettura. 

La vita dentro me


Due sottili linee parallele, blu cobalto, che osservo materializzarsi dal nulla, con calma, alimentando la buriana di emozioni che ho dentro. L’apprensione per il futuro scalza l’ansia dell’attesa. Una doccia di sensi dove ogni goccia è gioia, paura, pianto e riso, tremarella  alle gambe e farfalle nello stomaco; praticamente, l’innamoramento elevato all’ennesima potenza. Perché non posso che innamorarmi di quell’esserino, ancora informe, che ha deciso di mettere radici dentro me. 
È un istante infinito, che si fissa nella memoria, mentre me ne sto seduta sullo spigolo della vasca da bagno, il test che ancora trema nella mano. Ed è subito colloquio con lui o lei, non importa il sesso; so già che sarà una creatura meravigliosa. Si tratta di un’esperienza unica, come oltrepassare il confine fra sogno e realtà, dove le fantasie germinano certezze. 
È una sensazione straordinaria e sconvolgente al tempo stesso, un viaggio di sola andata, un cambiamento irreversibile: una volta che si è versato del latte nel caffè, non ci sarà modo di scindere i due elementi. Qualsiasi sarà il nostro destino, nulla potrà cancellare il fatto di essere madre. Un essere umano crescerà dentro di me, avrà il mio sangue, si nutrirà con me, ascolterà i battiti del mio cuore, fremerà per le mie emozioni e si tranquillizzerà cullato dal mio respiro. Arriverò a toccare la vetta più alta che sovrasta l’intero genere umano: il dare la vita. Lo stato che più ci avvicina al Creatore; saggerò l’immensità dell’amare, l’estasi nello stringere al seno un essere fragile e indifeso, sentirne il primo vagito che è richiesta di respiro, di esistenza. Mi esalta il pensiero di mettere al mondo un nuovo essere umano, una persona che proverà tutte le emozioni possibili, che odierà, ma, soprattutto, che avrà la straordinaria possibilità di amare, l’opportunità di provare un brivido sottopelle nel sentire, come capita a me, il profumo di mio figlio.
Il mare di suggestioni in cui sguazzo, però, si agita in un istante, formando delle onde di panico che mi sommergono togliendomi l’aria: sarà sano? E il parto? Oddio, sopporterò mai il travaglio? Io che a ogni strappo di ceretta trattengo a stento le urla. Saprò accudirlo, comprenderne i bisogni? E le malattie? Febbre, mal di pancia, rosolia, morbillo: come farò a capire se sta male se ancora non parla? E se dovesse soffocare? Oh mio Dio, non dormirò per assicurarmi che respiri. 
Ma non sono sola, c’è Tommaso: lui è deciso e pratico, sarà certamente un ottimo padre. E poi c’è mia madre: ha allevato tre figli e un nipote, saprà consigliarmi; è un’esperta.
Sì, certo, quando sono piccoli sono tutti buoni a cambiare pannolini o infilare supposte -oddio no, odio le supposte; piuttosto cambio pediatra-. Ma i problemi iniziano dopo, quando crescono, con la scuola; e se i compagni lo bullizzano? Sicuramente accadrà, se avrà i capelli pel di carota e le lentiggini come il nonno, oppure gli occhiali, come me. 
Se poi nasce femmina, è la fine del mondo: pancia, peli, brufoli, gambe storte, orecchie a sventola, bassa o troppo alta, alitosi, anoressia o bulimia, il primo amore non corrisposto, la gelosia, i tradimenti. E se conosce un poco di buono? E la violenza? Chi le spiegherà i contraccettivi? Tommaso no di sicuro. 
Saprò affrontare la crescita di una donna? Sopportarne gli sbalzi d’umore, la rabbia e il sentirsi esteticamente inadeguata? Saprò resistere all’impulso di strozzare un’adolescente come lo sono stata io? Come potrò sostenere l’ansia nel saperla affrontare le mie stesse esperienze, gli idioti che ho conosciuto, le megere che si sono finte amiche mettendomelo poi in quel posto. 
Dovrebbe esserci una scuola per genitori oltre al corso preparto, dove pare che il grosso del lavoro è limitato all’espulsione, l’anno zero dove, passata la sofferenza, subentra la gioia di vivere. La scuola dei genitori dovrebbe preparare alla depressione post partum, lo smarrimento della prima notte a casa, con quel mostro strillante che non vuole saperne di dormire e ti strizza le meningi gettandole nel cesso. E così, impotente, ti senti una merda, perché arrivi a odiare ciò che ami più di te stessa; ti chiedi come un mostriciattolo di pochi chili possa tenerti testa, senza mostrare un briciolo di pietà nei tuoi confronti. E le ore piccole, assaporate con euforia fino a qualche mese prima, si fanno un calvario, perché ti senti depredata del sacro diritto a dormire.
So già che qualsiasi cosa farò sbaglierò; non riesco a gestire una persona ‘adulta’ come mio marito, figuriamoci un bambino. Un essere che, ancora inerme, sta già facendo vacillare le mie certezze; cosa potrà fare quando avrà imparato a parlare?
Saprò mai rinunciare a quella che sono? Cambiare abitudini, spazi e priorità?
Forse la maternità è un dubbio, un seme da cui spuntano mille radici, mille domande che, scavando nel profondo, s’incuneano nella nostra anima cercandovi risposte, e più ne scoveranno più sarà salda la pianta che ne germinerà. Non si è mai pronte a essere madri: è uno status che sorge e si sviluppa con la creatura stessa; due esseri che nascono lo stesso giorno e cresceranno assieme, imparando vicendevolmente. 
Darò la vita a un essere umano, offrendogli il dono di conoscere il mondo; proverà il dolore, certo, ma da questo ne trarrà un metro con cui misurare la felicità; attraverso le tenebre apprezzerà la luce, dall’odio imparerà l’amore. Forse, un giorno maledirà il proprio concepimento, ma in altri saggerà l’orgasmo del vivere, la gioia dell’amicizia e la totalità nascosta in un bacio. Tremerà d’emozione davanti all’amore e, per tutto ciò, vale persino la pena di morire.

Di Pierangelo Colombo. 
Leggete e divulgate liberamente, non dimenticate, però, di menzionare l'autore. 😉