di Pierangelo Colombo

martedì 28 febbraio 2023

Incontro con L'autrice: Cristiana Antonelli

  Che cosa significa “Rieducare in carcere”? È quello che Alessandra, Cristiana e Abba, hanno cercato di raccontare attraverso la propria esperienza nel libro In Vinculis, Masciulli edizioni. E, oggi, abbiamo la fortuna di poter intervistare Cristiana Antonelli, che ci parlerà di questo interessante progetto.

 Abba, Alessandra e Cristiana, tre donne di diverse generazioni, condividono quella philantropìa che è alla base del loro rapporto di amicizia e di impegno nel sociale.

Insieme hanno fondato l’Associazione “Uomo: patrimonio da salvare”, dal titolo del progetto condiviso con i detenuti dell’Alta Sicurezza della casa circondariale di Lanciano in collaborazione con una classe del liceo classico "Vittorio Emanuele II” di Lanciano. Esso ha avuto il riconoscimento di essere premiato al primo posto del concorso” Maggio dei libri” 2018, nella sezione “  Carceri, strutture sanitarie e di accoglienza per anziani”.

 Abba Castrignanò è una docente di lingua e letteratura inglese, attualmente in pensione, che ha insegnato in vari istituti di scuola superiore del territorio frentano.

Alessandra Di Labio è dottoressa in Sociologia e Criminologia ed ha appena conseguito la Laurea Magistrale in Ricerca Sociale, politiche della sicurezza e criminalità con il massimo dei voti.

Cristiana Antonelli è docente di materie letterarie e presta servizio presso il liceo classico “Vittorio Emanuele II” di Lanciano.




Iniziamo con qualche domanda per conoscerci meglio.

 

-         Assieme ad Abba Castrignanò e Alessandra Di Labio avete fondato l’Associazione “Uomo: patrimonio da salvare”, dal titolo del progetto condiviso con i detenuti dell’Alta Sicurezza della casa circondariale di Lanciano in collaborazione con una classe del liceo classico "Vittorio Emanuele II” di Lanciano. Di cosa si tratta?

 Nel mese di maggio 2018 abbiamo condiviso, con l’amministrazione comunale e la casa circondariale di Lanciano, la partecipazione al concorso nazionale de “Il Maggio dei libri”, sponsorizzato dal Ministero della cultura. Io e Alessandra, in qualità di volontarie che tenevamo un corso pomeridiano settimanale, finalizzato alla rieducazione della pena, ci siamo occupate della stesura del progetto sul tema generale del “patrimonio” che noi abbiamo inteso “umano”. Abbiamo coinvolto i detenuti delle sezioni dell’Alta Sicurezza, frequentanti il nostro corso ed una classe del liceo classico, in cui insegnavo. A novembre è arrivata la notizia che avevamo vinto il primo premio e il 5 dicembre siamo andate a ritirarlo a Roma presso il Centro per il libro e la lettura, insieme all’Assessore alla cultura, alla direttrice del carcere e agli studenti. Nella primavera del 2019, proprio per perpetrare la memoria di un così inaspettato e prestigioso riconoscimento, soprattutto convinte che bisogna operare nel rispetto dell’umanità, quando l’individuo si viene a trovare in condizioni fragili per fattori esterni o per cause personali, abbiamo deciso di fondare un’associazione no profit , con una finalità ben precisa :  se salviamo l’uomo, salviamo tutto ciò che gli appartiene, a cominciare dall’ambiente che sta soffrendo a causa della inconsapevolezza umana.  Pertanto, i nostri eventi ci vedono impegnate in temi a carattere sociale e culturale, che restituiscono all’individuo un ruolo di creatura del creato e non del creatore, capace di tutelare sé stesso e il mondo che lo circonda, proiettato nel futuro con un occhio rivolto al passato, per evitare di commettere gli stessi errori.

 

  Tre donne di diverse generazioni, tre amiche unite dalla stessa passione e proiettate in un progetto importante, quale?

 Da due, infatti, siamo diventate tre. Sono stata io a coinvolgere Abba, mia ex collega in pensione, a cominciare un percorso di lezioni di lingua inglese ad un detenuto dell’Alta Sicurezza. Più che passione parlerei di convinzione: sarà il nostro vissuto di insegnanti ma nulla ha il potere di riscatto quanto il libro, inteso come strumento di crescita personale e di libertà dello spirito. Le organizzazioni criminali a carattere mafioso, infatti, sono radicate in aree dove è ancora forte la dispersione scolastica, anche se la sua capacità imprenditoriale si è affermata a livello nazionale ed internazionale. Pertanto, il nostro progetto, animato anche da una grande passione che è fondamentale per mettersi in gioco e per arrivare a dei risultati, è quello di far conoscere questa nostra esperienza e di poterla continuare adesso che si sta lentamente tornando ad una normalità di vita. 



  Come è nato In Vinculis?

  In Vinculis  è nato per gioco e per caso, durante il lockdown. Per passare il tempo, a volte con Abba ed Alessandra ci si sentiva e immancabilmente si tornava con la mente al passato, ai bei momenti trascorsi tra le mura del carcere. Sembrerà strano ma è così: forti emozioni per i traguardi raggiunti nella crescita umana da entrambi, da parte di quelli di fuori e di quelli di dentro, per così dire. Un rapporto basato sulla fiducia e sul rispetto della persona, fondamentale soprattutto quando un individuo si trova in un momento di difficoltà, in una qualsiasi circostanza. Non avevamo intenzione di scrivere per pubblicare, circostanza che è avvenuta casualmente. Colgo, infatti, l’occasione per ringraziare la Masciulli edizioni che ha investito in un tema difficile da veicolare ma quanto mai adesso attuale, per quanto riguarda la dicotomia tra la cosiddetta giustizia riparativa e le modalità di detenzione, quale il 41bis.


 A che tipo di pubblico si rivolge?

 A tutti. Ultimamente, ad esempio, sono andata ad incontrare una classe di ragazzi che si stanno preparando in parrocchia per la cresima. È stato emozionante vedere il loro interesse mentre parlavo, perché il carcere non è un luogo che si frequenta abitualmente.

 

 Nel libro parlate, demolendo luoghi comuni attraverso una retorica efficace, di cosa sia rieducare in carcere.

 Rieducare in carcere, per cominciare, è un diritto sancito nell’art.27 della nostra Costituzione. È un atto nobile di grande spessore umano che ci autorizza a definire la nostra Magna Charta figlia dell’humanitas, per così dire antropocentrica. Il luogo comune, purtroppo, è la grande diffidenza, lo scetticismo nei confronti di questi tentativi rieducativi, considerata l‘alta percentuale di recidiva nel tornare a delinquere. È vero che i numeri non incoraggiano, ma ci sono anche esempi di persone che sono riuscite ad intraprendere un nuovo cammino di vita e di questo ne beneficia in sicurezza l’intera comunità.

 

 In Vinculis, è un viaggio dove visitare non un luogo di reclusione, bensì un’opportunità dove intraprendere un cammino di rieducazione.

 Un carcere non si visita. Non si può rimanere spettatori e vivere un’esperienza di chi guarda a chi è detenuto come un fenomeno da baraccone. Il carcere è, invece, un luogo di grande sofferenza e dolore, che ti porta piano piano ad intraprendere un viaggio con te stesso. Diventi anche tu, senza volerlo, senza esserne all’ inizio consapevole, un navigante della tua anima.

 


 Una missione dai risultati tutt’altro che scontati. Oltre alle già note mancanze istituzionali, quali sono i problemi maggiori che vanno a minare questo tipo di percorso?

 Come già ho detto prima, si è molto scettici di fronte all’alta percentuale di recidiva dei reati, da parte di chi esce dal carcere. Sappiamo, tuttavia, che affrontare un cambiamento non è facile per nessuno, soprattutto se concorrono fattori culturali e educativi, come avviene per gli appartenenti alle “famiglie" di mafia. Lo Stato non può e non deve arrendersi, pertanto deve investire più risorse nell’assumere personale educativo e di Polizia Penitenziaria. Le misure cautelative, specie per i reati ostativi, richiedono un’attenta vigilanza e questo necessiterebbe di un numero più alto di agenti.

 

 Con In Vinculis, sembra vogliate parlare direttamente con il lettore, condurlo in un viaggio interiore, quale?

 In Vinculis, infatti, non è soltanto una cronaca di un’attività di volontariato o di un percorso interiore, ma è uno scritto che vuole aprire un dialogo con chi lo leggerà, partendo proprio dalla dedica “A coloro che vanno oltre le sbarre del proprio cuore”. In Vinculis ti mette in mano un invisibile filo di Arianna che ti fa entrare nel labirinto del tuo animo per farti trovare una via d’uscita oltre le sbarre che non sono solo quelle fisiche ma quelle costruite dentro di noi. Con una penna leggera abbiamo cercato di esplorare e riportare sulla carta il ruvido mondo del carcere in una chiave di lettura che riguarda, in realtà, il nostro modo di essere nella vita di tutti i giorni.

 

 Le sbarre non sono solo quelle fisiche di un carcere, di quali altri tipi di reclusioni parlate nel libro?

Il libro è nato per lanciare un messaggio molto preciso, riassunto nella dedica: “Dedicato a tutti coloro che vanno oltre le sbarre del proprio cuore”. Questa esperienza di volontariato ci ha fatto acquisire con il passare del tempo che le sbarre di ferro sono la proiezione di quelle interiori che ognuno di noi ha dentro. Pensiamo semplicemente a quando alziamo il muro del pregiudizio e del giudizio nei confronti degli altri, in particolare verso chi nella vita ha commesso errori gravi che si sono tradotti nel Codice penale in reati. Dietro al detenuto c’è la persona, l’essere umano che può cadere nelle fragilità. Ci dobbiamo chiedere sempre quali sbarre interiori lo hanno condotto a varcare la soglia di un penitenziario. Il detenuto sconta giustamente la pena ma la colpa che è in lui deve essere elaborata per rivedere la propria vita e riprendere la strada giusta.  

 

 Progetti per il futuro?

 Ci piacerebbe continuare la nostra esperienza di volontariato all’interno del carcere. Purtroppo, la pandemia ha creato uno strappo improvviso e non è stato un periodo facile per i detenuti, che si sono visti sottrarre quel poco di libertà, in quanto le ore dei corsi permettono loro di lasciare la vita in cella. Personalmente, ho scritto qualche mese fa un racconto, intitolato “Oltre le sbarre” che mi è stato pubblicato in un’antologia. La mia speranza è di poter di nuovo avvicinare i miei alunni in qualche attività che li faccia confrontare con la realtà detentiva. 


Ringrazio Cristiana per la disponibilità, con l'augurio di poter proseguire nel suo progetto.

Link per acquistare il libro

Descrizione:

 Che cosa significa “Rieducare in carcere”? È quello che Alessandra, Cristiana e Abba, tre generazioni di donne, hanno cercato di raccontare attraverso la propria esperienza. “In Vinculis”, in realtà, è un cammino di chi cerca di andare “oltre le sbarre”, non solo quelle di ferro ma anche del proprio cuore, alla ricerca della parte migliore di chi viene recluso. È un cammino verso la bellezza, anche laddove pensi di non incontrarla. Il carcere ci appartiene: non è solo un luogo che rappresenta il fallimento della società ma anche un mondo in cui poter ritrovare sé stessi. “Rieducare”, infatti, è un cammino simbiotico tra chi opera e chi viene stimolato alla ricerca di ricominciare, imboccando la strada giusta.

In Vinculis non è soltanto una cronaca di un’attività di volontariato, non è soltanto un percorso interiore, In Vinculis è uno scritto che vuole aprire un dialogo con chi lo leggerà partendo dalla dedica ‘coloro che vanno oltre le sbarre del proprio cuore’. In Vinculis mette in mano al lettore un filo invisibile di Arianna che lo fa entrare nel labirinto del suo animo per fargli trovare una via d’uscita oltre le sbarre che non sono solo quelle fisiche ma quelle costruite dentro di noi con una scritta ‘leggera’, per dirla con Calvino che esplora il mondo ruvido del carcere per poi restituirlo in una chiave di lettura che riguarda il nostro modo di essere nella vita di tutti i giorni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

lunedì 27 febbraio 2023

Feminist, la fiera dell'editoria delle donne

 Torna Feminism, Fiera dell’editoria delle donne alla sua sesta
edizione: la manifestazione sarà inaugurata venerdì 3 marzo 2023
alle 15 alla presenza di esponenti istituzionali. Proseguirà sabato 4
e domenica 5 e si concluderà lunedì 6 marzo.
Le madrine di quest’anno sono, idealmente, tutte le donne iraniane.


La manifestazione avrà luogo come da tradizione alla Casa Internazionale delle Donne e si avvarrà della collaborazione del Centro Giovani del I Municipio e della libreria Zalib, sempre con sede nel complesso monumentale dell’ex Buon Pastore in Trastevere. L'ingresso al pubblico è gratuito. I dialoghi, dal 3 al 5 marzo: 
● Iran ● Corpi, soggettività e diritti 
● Migrazioni, frontiere, habitat 
● Pace e convivenza: l’arte del rammendo 

Il 6 marzo l’appuntamento è con il rapporto tra scuola e femminismi con Insegnare comunità a scuola. Desiderio, differenze, relazioni: uno sguardo femminista che attraversa i saperi (titolo ispirato al celebre libro di bell hooks), organizzato da Leggendaria/Cara Prof, Società Italiana delle Letterate, Manifestolibri, Indici Paritari, Associazione Orlando, con la collaborazione di Archivia e dell’Associazione le Altre e il patrocinio di Proteo. L'incontro è anche valido per la formazione docenti, che possono iscriversi attraverso la piattaforma S.O.F.I.A. Feminism6 è anche l'evento che apre le celebrazioni del Ventennale di Archivia, Archivi, Biblioteche, Centri di Documentazione delle Donne, con “un messaggio di crescita, ricucitura dei conflitti e consapevolezza nella certezza che il nostro patrimonio, le nostre iniziative e la nostra resistenza rappresentano baluardi e alternative alla restaurazione retrograda a cui il dibattito politico ci vorrebbe abituare". 


sabato 25 febbraio 2023

Incontro con l'autrice: Barbara De Filippis

 Una raccolta di racconti che hanno come filo conduttore l’emancipazione e il riscatto femminile. Radici di terra e di mare, Masciulli edizioni, è il libro di Barbara De Filippis che, gentilmente, si è resa disponibile per questa intervista.

 Ricercatrice nel lavoro (docente in Chimica Farmaceutica e Tossicologica presso il Dipartimento di Farmacia di Chieti) e nella vita, Barbara abbraccia la scrittura come spazio vitale dove riuscire a esprimere appieno il proprio potenziale. Tutte le svolte di crescita personale sono state segnate da tappe letterarie importanti. Dopo l’esordio con la sua prima raccolta di poesie, La chioma del vento (Le Mezzelane CE, 2019), si sperimenta nella prosa, mai abbandonando i versi come sguardo sublime sugli accadimenti reali. Diversi racconti sono stati premiati in concorsi nazionali. 

Barbara De Filippis


 Grazie per aver accettato l'invito. Possiamo darci del tu?

 Certamente.


 Perfetto, iniziamo con qualche domanda per conoscerti meglio.  

 Il tuo esordio editoriale è una raccolta di poesie. Qual è il tuo rapporto con la poesia?

  Sì, la mia prima esperienza di pubblicazione risale al 2019 con la raccolta di poesie “La chioma del vento” (Ed Le Mezzelane). Questa raccolta ha rappresentato un vero e proprio atto di coraggio perché è stata la prima volta che ho condiviso i miei scritti. Dico questo, e mi ricollego alla domanda, perché per me la poesia non è solo una forma di verbalizzazione delle emozioni ma soprattutto una lettura introspettiva degli accadimenti quotidiani, dalle relazioni che cambiano, alle esperienze dure e inattese, alla bellezza della natura. È il mio mondo più intimo. La poesia rappresenta per me, da sempre, un punto di vista personale delle cose, uno sguardo attento che mi permette di interiorizzare il momento che vivo e trascriverlo in una forma lenta e meditativa. 


-      C’è un luogo in particolare dove il tuo animo trova spunti di ispirazione?

Più che un luogo, è lo stato d’animo che mi guida. Di fondo è quando riesco a “stare” nell’attimo che vivo senza la frenesia del fare. Quindi ogni volta che faccio silenzio in me, riesco a cogliere questi significati alternativi e personali dell’esperienza.


-     Il tuo ultimo libro è una raccolta di racconti. Cosa ti ha spinto a sperimentare la Prosa?

Non si è trattato di una scelta razionale. Ho sentito il bisogno di raccontare a me stessa la mia infanzia attraverso la scrittura del primo racconto, come se fosse un diario. Questo ha rappresentato il cuore della raccolta perché tutte le altre parole sono arrivate fluide e si sono aggiunte come petali intorno a un nucleo, includendo via via storie di altre donne, conosciute o immaginarie.


-   Scrivere un romanzo, se mi permetti la similitudine, è come correre una maratona, mentre scrivere un racconto breve è paragonabile a una corsa velocistica come una cento metri. Entrambe implicano volontà, preparazione e concentrazione, ma differentemente alla maratona in cui è importante il ritmo, nel racconto breve è una condensazione della storia. In breve si deve svolgere il tutto, non sono concesse divagazioni. Dinamiche che padroneggi, visti i riconoscimenti ricevuti per i racconti che hai scritto. Il tuo essere poeta ti ha aiutata?

Mi piace aprire finestre su vite diverse, come in un fermo-immagine, entrare in storie di personaggi anche differenti tra loro. E poi chiudere la finestra per lasciare al lettore la fantasia di immaginare finali alternativi, ambientazioni o fatti non descritti. Il racconto mi piace perché nella sua brevità – un po’ come la poesia – lancia un messaggio che rimane aperto e il lettore ha la libertà di sentire ciò che gli suscita. 



-      Veniamo ora al tuo libro Radici di terra e di mare, una raccolta di ventidue racconti. Ce ne vuoi parlare?

Come accennato in una risposta precedente, la raccolta si realizza intorno a un racconto autobiografico che ha dato il titolo alla raccolta. Intorno si sono unite storie di donne conosciute e immaginate, storie di difficoltà legate a retaggi educativi e a relazioni difficili. Ho incluso anche storie di violenza sessuale, storie, purtroppo, vere. Mi piaceva marcare l’importanza della condivisione per sanare le ferite e trovare la forza per riscattarsi e ho incluso, tra le storie, anche alcuni protagonisti maschili. Il filo conduttore di questi racconti resta comunque il riscatto femminile.


-     Le protagoniste sono per la maggior parte donne che vivono una rinascita o una crescita personale. Un messaggio positivo a chi sta lottando per una via migliore?

Assolutamente sì! Dopo la lettura dei primi racconti, alcune persone a me vicine mi hanno esortata ad andare avanti e inserire storie nuove e di altre donne proprio per abbracciare più realtà. Mi auguro che, leggendo queste storie, ci si possa riconoscere in parte e trovare spunto per mettere in atto un cambiamento. Certo, non è un “manuale” ma solo la narrazione di vite comuni di donne che, alla fine, ce la fanno.


-   Fra i tanti personaggi che popolano il libro, ve n’è qualcuno che ti ha coinvolta maggiormente nel dargli voce?  

Il mio personaggio preferito è Lia (ne “La storia di Lia”), una ragazzina che lascia una vita agiata piena di sicurezze per una vita libera e la strada, alla ricerca di relazioni pulite che non aveva nel suo contesto familiare. Lia per me rappresenta il coraggio del cambiamento, la realizzazione di un bisogno profondo che va oltre le certezze. 


-       I racconti spaziano fra diverse età della vita e differenti prospettive da cui osservare l’esistenza e le emozioni. Un caleidoscopio di esperienze. C’è un sentimento che, come un filo rosso, unisce i vari racconti?

La ricerca di verità, a tutte le età, in tutti gli ambiti. Questo credo sia ciò che accomuna tutti i protagonisti. 


-    Uno dei fili conduttori dei racconti è l’emancipazione femminile. Come vedi la situazione attuale riguardo la disparità di genere?

La storia e l’attualità ci insegnano che le donne hanno dovuto e devono affrontare molte difficoltà e reticenze per riconquistarsi un loro ruolo nella società e per non essere considerate solo mogli e madri. Oggi c’è sicuramente una maggiore apertura verso le donne e noi donne siamo più determinate a conquistare spazi di indipendenza e di riconoscimento. Purtroppo, ancora la cronaca ci travolge con notizie drammatiche che sono la prova che ancora molta strada dev’essere percorsa. Sono sicuramente indignata per questo ma ho tanta fiducia.


-     La cultura dovrebbe essere uno strumento con cui livellare la disuguaglianza di genere che ancora mina la meritocrazia, eppure, nonostante i passi avanti fatti, ci sono ancora delle ombre; nel mondo dell’arte, ad esempio, quando si elencano i più significativi maestri, raramente viene citata Artemisia Gentileschi, o anche nel mondo della letteratura, nel citare i premi Nobel italiani, la Deledda non sempre viene citata. Qual è la tua opinione?

Lavorando in ambito scientifico, posso anche elencare donne importanti che hanno fatto la storia, dalla meno nota Maria Sibylla Merian alla più recente Rita Levi Montalcini. Anche in questo ambito le donne fanno fatica a farsi largo e a vedersi riconosciuti i meriti; eppure, sono dotate di grande intuizione e grande senso di fatica e dedizione. La differenza sta nel fatto che questa disparità è sottile e meno evidente ma mina costantemente l’opinione e il giudizio. Aldo Cazzullo scrive nel suo libro "Le Donne Erediteranno la Terra": "Le donne erediteranno la Terra perché sono più attrezzate a cogliere le opportunità che abbiamo di fronte. Perché sanno amare e non perdono quasi mai la speranza."

Progetti futuri?

Leggere molto e scrivere molto. Non posso chiedere di meglio per il futuro. 


Bene, ti ringrazio per la disponibilità dandoti appuntamento per il tuo prossimo lavoro.

Link per acquistare il libro


Descrizione

Una raccolta di racconti che scandaglia tappa per tappa i momenti più significativi della vita di molti di noi, dai sogni di bambino alle consapevolezze dell’adulto, facendo sosta su quelle esperienze che accelerano i passaggi chiave di crescita personale. Ogni racconto è intriso di realtà e fantasia e fa perno sulla reattività emozionale del protagonista, spesso declinato al femminile, con tutte le sue difficoltà di riconoscimento ed emancipazione.

Un viaggio nella profondità dell’animo umano.

 

venerdì 24 febbraio 2023

Strega Ragazze e ragazzi migliore narrazione per immagini 2023

Per il premio Strega giovani, si sono chiuse le candidature dei libri per la categoria Migliore narrazione per immagini (33 titoli candidati) nata lo scorso anno per sottolineare il rapporto tra la Bologna Children’s Book Fair e il Premio Strega. Il prossimo 8 marzo conosceremo il libro vincitore nell’appuntamento dedicato al Premio Strega Ragazze e Ragazzi, alle ore 14.15 al Caffè degli Illustratori.



Il Premio Strega Ragazze e Ragazzi è promosso da Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e Strega Alberti Benevento – organizzatori del Premio Strega – con il Centro per il libro e la lettura e BolognaFiere-Bologna Children’s Book Fair, in collaborazione con BPER Banca, sponsor tecnico LaFeltrinelli.it

  1. Fabiola AnchorenaAspettando l’alba (Kalandraka), tradotto da Marta Rota.
  2. Micol Arianna BeltraminiAnna dai capelli verdi (Piemme), illustrato da Agnese Innocente.
  3. Rosa Tiziana BrunoForte come il sole (Enea), illustrato da Marina Cremonini.
  4. Cristina BellemoIl ragno (Feltrinelli Kids), illustrato da Daniela Costa.
  5. Salvatore Calleri, Renato Scalia, Giulio Gualtieri, Marco NucciResistere. Quattro storie di lotta alla mafia (Giunti Editore), illustrato da Luca Albanese.
  6. Claire CantaisSandra KollenderDiversi a chi? (Settenove), illustrato da Claire Cantais, tradotto da Gaia Risari.
  7. Chiara CarminatiRosso di cielo (Lapis), illustrato da Alessandro Sanna.
  8. Charline ColetteNel bosco (Sinnos), tradotto da Federico Appel.
  9. Nora DåsnesNel mio cuore tempesta (Mondadori), tradotto da Eva Valvo.
  10. Rebecca DautremerUn attimo soltanto (Rizzoli), tradotto da Francesca Mazzurana.
  11. Tanja EschOtto e il mistero della nuova compagna (EL), tradotto da Lucia Feoli.
  12. Katerina IllnerovaAvventura nel regno di porcellana (Carthusia).
  13. Toshio IwaiLa casa a 100 piani (L’ippocampo), tradotto da Asuka Ozumi.
  14. Victoria Jamieson, Omar MohamedCome stelle nel cielo (Il Castoro), illustrato da Victoria Jamieson, tradotto da Laura Tenorini.
  15. Marion KadiIl riflesso di Harriet (Terre di Mezzo), tradotto da Eleonora Armaroli.
  16. Malin Kivelä, Martin Glaz Serup, Se incontri un orso (Iperborea), illustrato da Linda Bondestam, tradotto da Maria Valeria D’Avino.
  17. Tülin KozikoğluLa ruota panoramica (Gallucci), illustrato da Hüseyin Sönmezay, tradotto da Nicola Verderame.
  18. Trung Le NguyenMagic Fish. Le storie del pesce magico (Tunué), tradotto da Omar Martini.
  19. Max LippolisC’era una volta un punto (Edicart).
  20. Azam MahdaviIo e il mio amico Vuoto (Emme Edizioni), illustrato da Maryam Tahmasebi, tradotto da Giuditta Campello.
  21. Pietro NicolaucichA casa tutto solo (Salani).
  22. Stella NosellaIn Corso d’Opera – Giotto (L’Orto della Cultura), illustrato da Andrea Alemanno.
  23. Adam O.Il Grande Toni 2 Tonnellate (Gribaudo), tradotto da Eva Valvo.
  24. Federica OrtolanIl filiambulante (Sabir), illustrato da Marco Leoni.
  25. Alberto PellaiLe mie mani sono le tue ali (De Agostini), illustrato da Ilaria Zanellato.
  26. Théa RojzmanGrande Silenzio (Einaudi Ragazzi), illustrato da Sandrine Revel, tradotto da Silvia Mercurio.
  27. Felicita Rubino, Classe VB scuola primaria Carlo PisacaneTerra-cielo. Riflessioni elementari sul covid e sulla guerra (Hopi), illustrato da Classe VB, Scuola Primaria Carlo Pisacane IC Simonetta Salacone di Roma.
  28. Mélanie RuttenLa foresta tra le due (Camelozampa), tradotto da Sara Saorin.
  29. Marco ScalcioneDue cozze in riva al mare (Minibombo).
  30. Maria SogaroAlbert! Albert! (La Casa sull’albero Edizioni), illustrato da Silvia Mori.
  31. Chiara SpinelliIl pacco da giù (Quinto Quarto Edizioni).
  32. Britta TeckentrupIl mondo è rosso (Uovonero), tradotto da Sante Bandirali.
  33. Sarah ZambelloCometario. Catalogo delle grandi comete (Nomos Edizioni), illustrato da Susy Zanella.

giovedì 23 febbraio 2023

Aspettando lo Strega: il terzo gruppo proposto.

  Ecco il terzo gruppo di venti titoli proposti dagli Amici della domenica per la LXXXVII edizione del Premio Strega:



Silvia Ballestra La Sibilla. Vita di Joyce Lussu Laterza Presentato da Giuseppe Antonelli A un certo punto della storia, si capisce che la libertà è un bene che può valere la vita. Così è stato durante gli anni del regime fascista e della guerra voluta dal dittatore Mussolini. Quel punto può ripresentarsi in qualunque momento. L’unico modo per capirlo è averlo vissuto o poterlo rivivere attraverso un racconto. Grazie a Silvia Ballestra, la straordinaria vita di Joyce Lussu rivive nelle pagine di un libro affascinante e imprevedibile com’era lei. Una sorta di valigia a doppio fondo, come quelle con cui superava i posti di blocco nazifascisti. C’è il romanzo di una vita e dentro una vita romanzesca; c’è la grande storia e dentro una grande storia d’amore: quella tra la sibilla Joyce ed Emilio Lussu; c’è la lingua agile del racconto e dentro le tante lingue parlate da una cittadina del mondo. Romanzo «di fame e di vita» e di fame di vita, vicenda di viaggi e di fughe (in questo senso, romanzo d’evasione), emozionante inno alla resistenza, all’indipendenza, alla libertà. Tutto questo è La Sibilla di Silvia Ballestra. E per questo, come amico della domenica, ho deciso di candidare il libro al Premio Strega 2023.


Iacopo Barison Autofiction Fandango libri Presentato da Giuseppe Catozzella Ci sono romanzi-mondo che sono grandi quanto una famiglia, ovvero infiniti, e questo è il caso di Autofiction di Iacopo Barison. Ecco quello che cerchiamo di definire quando diciamo «romanzo contemporaneo»: in Autofiction tutto è gioco di specchi, la realtà è ritratta e rifratta fedelissimamente nell’unico caleidoscopio possibile, quello dei sentimenti (delle paure, delle speranze) di Orlando e Sofia, i gemelli trentenni rimasti orfani «troppo presto», e in tutti i personaggi che ruotano loro attorno. C’è un mirabile sguardo esterno. Ma è sempre un reciproco specchiarsi dei sentimenti dell’uno dentro quelli dell’altro, lo scavo in profondità non può che ripescare la superficie, il passato ingombrantissimo dei genitori registi-cult della Musa divoratrice schiaccia il presente degli eredi (tra l’altro, di una decadente e misteriosa casa di campagna) lasciandoli con l’unica eredità poi davvero, questo sì, onesta: un futuro in cui le promesse di vita di ieri (la possibilità di una strada, addirittura artistica, di un’ambizione anche, possiamo dire di un sogno) sono evaporate nel momento stesso in cui vengono espresse. Il passato ritorna e naturalmente stravolge tutto, futuro incluso: loro due hanno da sempre avuto un altro fratello di cui niente sapevano? La vita dunque è tutta menzogna? A Orlando e Sofia la generazione del boom lascia questa menzognera eredità, tra le mani solo bolle di sapone: alcune rimbalzano felici al soffio, altre scoppiano via, altre ancora mai sono davvero esistite, le ultime è verso il cielo che incredibilmente – vediamo stanno volando. Non è un caso che l’unico vero lascito di quella generazione sia un film (mai realizzato) chiamato proprio Autofiction: nelle pagine di Iacopo Barison la realtà è sempre un gioioso rimbalzo della rappresentazione, e altro non può più essere, la letteratura fedelmente entra ed esce dall’unica realtà possibile: quella del mondo interiore, magistralmente ritratto. Tra le mani a noi che leggiamo resta la loro verità, l’unica: questo romanzo. Che è di incandescente ambizione, controllo e maturità. Sono pochi, pochissimi, i romanzi italiani che se la battono con quelli che ammiriamo d’Oltreoceano. Autofiction è uno di questi.


Silvia Bottani Un altro finale per la nostra storia SEM Presentato da Riccardo Cavallero Un altro finale per la nostra storia si svolge su tre differenti piani temporali e avvolge il lettore nelle spire di un dialogo ininterrotto tra il protagonista Mauro Massari, atleta mentale quarantacinquenne dalla vita claustrale, e Bianca Cerutti, geologa impegnata nel settore petrolifero, donna che torna dal passato per tentare di trovare una risposta alla magnitudo della fuga del fratello Fabio, migliore amico di gioventù di Mauro, svanito nel nulla il giorno fatidico del suicidio di Kurt Cobain. Il presente della gara, il passato recente della storia d’amore tra Mauro e Bianca e il tempo remoto di Fabio si fondono in un flusso ammaliante nel quale il tessuto narrativo viene ordito attorno a un’assenza. L’inconsueta scelta della forma indiretta e i dialoghi – che rinunciano all’aiuto delle caporali reggendosi solo sull’efficacia di una forma cesellata con accuratezza incisoria – restituiscono la maturità di una scrittura che si rivela pienamente in questa seconda, elegante e al contempo calda prova narrativa, nella quale viene omaggiata la malinconia crepuscolare della Grande sera di Pontiggia e dove riecheggiano certe atmosfere oniriche di Soriano, delineando una voce autoriale del tutto originale all’interno del panorama letterario contemporaneo. Dopo un felice esordio che ha rivelato un’autrice capace di orchestrare una vicenda corale in cui tutto funziona con precisione chirurgica, dall’arco narrativo teso alla capacità di condensare gli umori più oscuri delle realtà urbane, cogliendo a un tempo il carattere precipuo di una città e gli elementi che accomunano le metropoli globali, Bottani evoca questa volta una Milano come città invisibile calviniana, sospesa tra luoghi simbolici e intimi. Nelle pagine, l’autrice edifica un grande Palazzo della Memoria, una mappa della geografia sentimentale della città in cui Mauro si muove alla ricerca di Fabio, di Bianca e di sé stesso, psiconauta nello spazio e nel tempo, maestro nell’antica e (quasi) dimenticata ars memorativa e, proprio in virtù della sua pratica, consapevole della friabilità di ogni ricordo, di ogni frammento labile di una storia che non è ancora cristallizzata. La mnemotecnica, disciplina a cui si è votato il protagonista, epitome di una generazione che fa i conti con la lista delle promesse mancate e degli obiettivi falliti, non è qui solo un espediente narrativo o una curiosità da wunderkammer, ma un vero e proprio elemento costitutivo dell’architettura del romanzo, nel quale ogni accadimento e luogo si configurano come mattoni della sua costruzione mentale, ricordi veri e finzionali al contempo dell’immaginifico viaggio tra un passato e presente instabili e, in parte, indecifrabili. Eppure, è un senso di luminosa apertura che ci consegna infine il racconto, una schiusa che origina dalla malinconica consapevolezza della fine di un mondo, anzi di più mondi, quelli che hanno segnato le categorie storiche di lavoro, famiglia, relazione, ambiente, radici. Se ogni nostra storia d’amore è alimentata dall’elemento immaginativo, se anche la memoria è un processo narrativo inesauribile attraverso il quale scriviamo la nostra storia privata e collettiva, Bottani ci dice che nell’impossibilità ultima di stabilire la verità dei fatti e degli accadimenti, in quel nucleo misterioso è contenuta paradossalmente l’occasione di determinare un altro finale per la nostra storia. Un dono prezioso per immaginare futuri ancora possibili.



Davide Buzzi L’estate di Achille Morellini Presentato da Marcello Ciccaglioni Davide Buzzi, che di musica se ne intende poiché è cantautore oltre che autore ticinese, scrive un romanzo che proprio dalle note musicali prende ispirazione: L’estate di Achille. Dell’intero testo, colpisce subito un fatto: il colpo di genio, l’indice di grande originalità, che risiede nel mettere in dubbio la veridicità stessa della storia. Si tratta infatti di un’autobiografia inventata, un romanzo musicale che è anche un finto storico. Al centro di tutto, un clochard contro cui la vita sembra essersi accanita: Seth, il coprotagonista del romanzo, è un abile chitarrista ridotto alla miseria e costretto a vivere in strada. Il lettore accompagna questo cantante maledetto, sigaretta dopo sigaretta, attraverso il suo dolore, e deve fare i conti con i fallimenti ma anche con il rimpianto di non aver saputo raggiungere un successo che almeno in un paio di occasioni sarebbe stato a portata di chitarra. Tra le tante confessioni, Seth racconta persino di essere arrivato a incontrare, nell’arco della sua carriera, l’incomparabile Prince. Fantasia o realtà? Forse entrambe. Un romanzo in cui la musica si mescola alla menzogna e alla verità, sullo sfondo di un’epoca – gli anni Settanta – su cui molto si è detto ma su cui, forse, ancora tanto c’è da dire.


Andrea Canobbio La traversata notturna La Nave di Teseo Presentato da Elisabetta Rasy Parte come un memoir La traversata notturna di Andrea Canobbio, ma diventa subito un potente romanzo famigliare dei nostri giorni, toccando con originalità e intensità il sentimento delle radici che ognuno di noi a suo modo coltiva. Tanto più convincente la storia che Canobbio ci racconta perché lo scrittore evita i modi della saga o delle reminiscenze sentimentali per inoltrarsi in una sorta di ricerca del tempo perduto che, come in un’antica epopea, si dilata in spazi ed epoche distanti, in un sapiente andirivieni tra passato e presente. Il presente sono le peregrinazioni nella sua città, Torino, che è allo stesso tempo santuario dei ricordi, palcoscenico di una danza di spettri, e geografia esotica da decifrare come una terra straniera. Il narratore, chiedendo aiuto agli antropologi del passato, si fa etnologo della propria tribù famigliare mentre si muove sulle per lui misteriose tracce della vita del padre, come una sorta di nuovo Telemaco che in cerca di Ulisse si aggira per contrade lontane, qui rappresentate da fragili reliquie: lettere del perduto amore dei genitori, agende di una fitta e difficile quotidianità, reperti medici della depressione paterna che renderà agli occhi del figlio il capofamiglia una figura irraggiungibile e dolorosa. Forse quasi tutte le famiglie felici si somigliano, certo ogni famiglia infelice lo è a suo modo, un modo che per essere narrativamente convincente deve saperne restituire l’originalità. È la sfida che Canobbio vince, anche in virtù di una prosa perfetta e di una lingua fresca, limpida e insieme colta, il cui tono famigliare non diventa mai banalmente confidenziale mentre mette in scena questa toccante storia italiana e racconta, come in un’intima epopea, ciò che ci lega e ciò che ci allontana dalla nostra origine.



Carlo Cavicchi
Vendeva anacardi
Minerva Edizioni

Presentato da
Valerio Berruti
Il linguaggio, il ritmo, la storia. Vendeva anacardi di Carlo Cavicchi conquista il lettore proprio con questi tre elementi che solitamente distinguono un romanzo eccellente da uno dei tanti.
Il linguaggio è semplice, di quelli che vanno dritti alla pancia. Nessun aggettivo di troppo ma solo quelli che servono per far immaginare al lettore personaggi e ambiente.
Il ritmo è sempre serrato dalla prima all’ultima scena. Mai un vuoto, una perdita di contatto con la narrazione. Con un crescendo che porta a correre fino all’ultima pagina.
La storia è originale. Ricca di colpi di scena con il protagonista che cresce lentamente all’interno dei capitoli fino a emergere e conquistare chi legge. L’uomo che vendeva anacardi ha un passato inimmaginabile e un futuro tutto da scrivere. È un uomo che sembra quello che non è. Quasi un disadattato ma con abiti eleganti, curati fin nei dettagli. Grande portamento e linguaggio colto. Un uomo che sembra aver già detto e fatto tutto e che, invece, la scoperta di un cadavere di una donna all’interno dell’autodromo di San Marino, cambia di nuovo la sua esistenza fino a dargli una seconda chance.
Carlo Cavicchi proviene dal mondo dell’automobile dove ha diretto «Autosprint» prima e «Quattroruote» ma si è già cimentato in altri libri e romanzi. Vendeva anacardi, però, è il primo totalmente slegato dal suo mondo di appartenenza. Il primo in cui lascia scorrere la fantasia e soprattutto la penna raccontandoci una storia di passioni, ricordi, amori falliti ma anche di grandi speranze per un futuro che fortunatamente ci riserva sempre più sorprese di quanto si riesca ad immaginare. Ed è per questo che voglio presentarlo al Premio Strega 2023.


Massimo Cecchini
Il Bambino
Neri Pozza

Presentato da
Cesare Milanese
A volte i casi umani, che di solito sono considerati i più umani in ragione della loro condizione di relegazione nell’estremizzazione del male, si rivelano come i casi più inumani. In genere sono quelli che accadono fatalisticamente come tali, da sé, per sé stessi si direbbe, senza che ci sia nessuno che debba o possa assumersene la causa o la colpa. Sarebbe questa, peraltro, la ben nota condizione assurda della vita umana di cui Albert Camus ha trattato in tutta la sua opera. Condizione contro la quale lo stesso Camus contrappone la rivolta (se non altro morale ed esistenziale, anche se inutilmente eroica) dell’uomo verso una tale irrazionalità dovuta all’assurdità della sorte. Ebbene, niente di tutto questo nel romanzo di Massimo Cecchini, Il Bambino, che pur tratta materialmente di un caso umano relegato in una situazione da male estremo entro un vivere che è un non-vivere, se non di sofferenza e di dolore senza rimedio e senza scampo.

Il libro di Cecchini espone il caso (umano e disumano al tempo stesso) di una sottomissione e di un’accettazione completa a tale sorte; anzi da dedizione ad essa, senza rivolta, senza lamento, senza recriminazione, senza maledizione e perfino senza sofferenza. Ed è questo il dato di fatto che più si impone in questa narrazione da resoconto «indifferente», tutto impostato sull’atarassia dello «sguardo dal di fuori». Uno sguardo che si mostra impassibile, pur essendo partecipe di ciò che con analitica precisione descrive, al punto tale da far sì che il lettore si senta pienamente coinvolto dal sentimento di comprensione e di pietà che il caso, descritto da questo libro, naturalmente suscita.

Una pietà da naturalità senza patemi e senza autocommiserazioni da parte dei personaggi in questione del romanzo intitolato Il Bambino: un evidente nome-metafora di Angelo, il bambino già concepito oligofrenico ancor prima di nascere e che resterà irreversibilmente tale per tutta la sua vita (che sarà perfino una lunga vita); da cerebroleso inconsapevole di sé e del mondo e il cui linguaggio si arresterà del tutto entro i limiti del biascicare e del gorgogliare possibili espressioni senza senso. E inoltre, autolesionista: a tal punto da accecarsi da solo a forza di colpi che si infligge da sé alle tempie e alla testa.

Nonostante ciò, il Bambino (Angelo di nome) più che nel vivere continuerà nel suo sopravvivere, in grazia o in virtù che dir si voglia dei suoi due genitori (Pietro e Anna) che si dedicheranno a lui con una dedizione che non si sa come definire, se da volontà di autosacrificio superumano, oppure da abulia fatalistica per sottomissione a un imperativo superiore che li condiziona ad agire perinde ac. Succubi come essi sono a una coattività che li sovrasta e che essi trasmettono tale e quale a un ridottissimo gruppo di altri due o tre personaggi servili (o quasi angelici per ammirevole e generosissima ottusità) che li assecondano in tale mansione abnorme.

Sia come sia, quello che conta, alla fine, è il poter constatare che il miglior merito di questo libro (oltre all’effetto di stupore che esso suscita per l’aver saputo affrontare un simile caso da aberrazione del possibile dell’umano: il contenuto in sé del libro) consiste soprattutto per il suo risultato ottenuto in termini di qualità della scrittura: perciò principalmente nel suo esito precipuamente letterario. Trattandosi di una qualità di scrittura che pur occupandosi di un caso considerato e analizzato con estrema precisione e con esatta puntualizzazione, anche nei suoi aspetti che potrebbero apparire psicologicamente e umanamente scostanti, risulta essere, nella sua essenza di scrittura, nitida e pura, come un pregevole esempio da letteratura egregiamente riuscita.

Una forma di scrittura che (pur dovendo rappresentare un tipo di vicenda e una qualità di materiale, che inducono di per sé al dover suscitare effetti di orrore e di pietà) considerata sul piano della elaborazione essenzialmente stilistica, risulta essere, invece, del tutto immune e del tutto libera, tanto dagli effetti d’orrore quanto dagli effetti di pietà. E tutto ciò pur sapendo dare, e rendere, presenza attiva e partecipativa sia alla componente dell’ orrore e sia a quella della pietà; e per di più sapendosi avvalere di una forma di scrittura, appunto, che si potrebbe definire, non tanto della neutralità (da intendersi come indifferenza sia nei confronti dell’orrore e sia della pietà), bensì come assunzione di una «scrittura dell’impersonalità» che questi due effetti contrapposti li tiene compresenti entrambi, mettendoli tra parentesi per neutralizzarli come tali, pertanto trascendendoli.


Ada D’Adamo Come d’aria Elliot Presentato da Elena Stancanelli Come d’aria è un libro che fruga dentro il cuore del lettore. Serviva la lingua esatta e implacabile di questa scrittrice per riuscire a sostenere un sentimento tanto feroce. C’è tutta la rabbia e tutto l’amore del mondo nel racconto di questa danza che lega due donne. Avvinghiate l’una all’altra, in una assoluta e reciproca dipendenza. Daria, la figlia, che comunica soltanto attraverso il suo irresistibile sorriso, Ada, la madre, catapultata suo malgrado in questa storia d’amore. Era una ballerina, Ada. E il corpo, di entrambe, è il centro di questo memoir sfolgorante per intelligenza, coraggio e misericordia. In questo libro si entra con enorme facilità, ma da questo libro si esce cambiati. C’è una tale quantità di vita, nelle sue pagine, da lasciarci senza fiato. Ci siamo noi, la fatica, la nostra inutile bellezza. Dalla prima lettura ho pensato che fosse una pepita d’oro, un dono, un abbraccio. Come avrebbe detto Bobi Bazlen, una perfetta e lacerante «primavoltità».



Silvia Dai Pra’ I giudizi sospesi Mondadori Presentato da Sergio De Santis

 Nell’affollato campo delle storie di famiglia è ormai difficile non cadere nel già detto o nel già letto. Ci riesce Silvia Dai Pra’ nel suo I giudizi sospesi anche grazie a una narrazione generosa, guidata da una sapiente ironia e da una scrittura tanto intrigante e originale da spingermi a proporlo al Premio Strega. Si tratta della storia di una famiglia dei nostri tempi, che copre l’arco di venticinque anni. A raccontarcela è il più giovane, ma anche il più disincantato dei suoi componenti, Felix. Il padre è un carismatico professore di storia e filosofia; la madre, insegnante anche lei, ha scelto di ruotare nell’orbita del marito e dei figli; la sorella, Perla, è tale di nome e di fatto, e in lei risiedono le aspettative dei genitori, trincerati in un intellettualismo un po’ velleitario, ma a loro parere tanto salvifico da dover essere assolutamente trasmesso ai figli. La famiglia potrebbe essere felice, perfetta, ma la vita non lo è, e aspetta tutti al varco nella persona di un giovane attraente quanto bugiardo e manipolatore, che ruberà loro «Perla-la-perla», avvelenandola con uno di quegli amori tossici destinati a distruggere l’illusoria armonia di quella famiglia colta, illuminata, ma che forse non aveva capito, come recita l’ultimo rigo del libro, che «con la ferocia non puoi ragionarci». Quale ferocia? Quella che può annidarsi, come una malattia latente e minacciosa, in ogni individuo, in ogni famiglia, per manifestarsi a volte improvvisa e devastante, costringendo ognuno a fare i conti con una realtà il cui senso pare non concedere o pretendere altro se non innumerevoli giudizi sospesi.

Raffaele Donnarumma La vita nascosta Il ramo e la foglia Presentato da Paolo Ruffilli Il romanzo di esordio di Raffaele Donnarumma, La vita nascosta (Il ramo e la foglia), si apre con la fine del ménage tra il protagonista, quarantenne professore di università, e il suo convivente. La relazione è ormai stanca, si trascina, i due si sono traditi senza dirselo e, quando uno dei due lo scopre, l’altro è messo con le spalle al muro e si lasciano. Di qui comincia il doloroso percorso del protagonista, che ripercorre a ritroso il cammino che dalla scoperta della propria omosessualità nell’adolescenza lo riconsegna all’insoddisfazione dell’oggi e alla nuova inquietudine che lo spinge a rilanciarsi in un’ossessiva ricerca di incontri. È così che conosce un giovane bello, intelligente, apatico e (lo scoprirà andando avanti) depresso, che lo affascina e di cui si innamora. La forza e la novità della storia si materializzano nella sofferta esperienza del protagonista che si sente legato a una persona inaffidabile e che pure lo attrae proprio per il vuoto che lo caratterizza e che lo porta a buttarsi via e a dilapidare ogni occasione di vita. Inseguimento, il suo, destinato inevitabilmente al fallimento. La vita nascosta è un romanzo di grande sottigliezza psicologica, narrato con raro senso della pietas nell’indagine dentro il groviglio delle contraddizioni di carnalità e di testa, di delicatezza e di forza, di saggezza e di follia, di dolcezza e di crudeltà dei personaggi. La scrittura ha una misura personale originale che si appoggia stilisticamente a passaggi focalizzanti per creare effetti soprattutto visivi e percettivi e per suggerire alla lettura, in modo appunto suggestivo, immagini e atmosfere coinvolgenti, costruendo una dimensione intrigante di radiografia del profondo e di vicende comunque della quotidianità.


Marcello Fois La mia Babele Solferino Presentato da Elisabetta Mondello Un memoir intenso e autoironico che, fin dalle prime pagine, coinvolge il lettore in una riflessione profonda sulle parole e sulla scrittura. Sulla difficoltà a trovare una voce, un lessico, un modo per raccontare ciò che si sente e si vuole comunicare. Per tutti concretizzare un’emozione o un pensiero in una frase, cioè tradurre sé stessi in parole, è un percorso da costruire nel tempo. Ma per il protagonista dei primi capitoli del libro, il Fois bambino e poi adolescente cui la sorte, fin dalla nascita, sembra riservare non scorciatoie ma complicazioni, l’operazione di traduzione diviene più complessa: è «sardoparlante», cresciuto in una lingua madre forte. Per lui, la conquista delle parole per raccontarsi vuol dire anche apprendere una seconda lingua, l’italiano, acquisire un vocabolario, una struttura di pensiero, una sintassi. Popolato dai personaggi centrali nella vita di Fois e nel mondo della cultura e dell’editoria del secondo Novecento – Ezio Raimondi, Piero Gelli, Giulio Einaudi -, La mia Babele è un memoir brillante ma intenso che si fa romanzo di formazione e romanzo picaresco, attraversando i vari territori emozionali del lavoro letterario, dalla felicità per la conquista delle parole all’ansia per un loro possibile stravolgimento nelle traduzioni straniere, oggetto della seconda parte del libro, dedicata al mondo della post-scrittura.


Ermal Meta Domani e per sempre La Nave di Teseo Presentato da Furio Colombo È una storia (molte storie) di abbandono e di guerra, dove tutte le vie di fuga sono bloccate da macerie di distruzione e da macerie di ignoto e di paura. È un libro che fa conoscere personaggi che vuoi conoscere perché portano un carico di futuro e di speranza. «Mi ha molto colpito Domani e per sempre (La Nave di Teseo), esordio narrativo del cantautore Ermal Meta che oggi ha 41 anni e arrivò in Italia dall’Albania quando ne aveva 13. Il protagonista si chiama Kajan ed è un ragazzo che vive in una fattoria con il nonno, mentre i genitori partigiani sono sulle montagne a combattere i nazisti. La sua vita cambia il giorno in cui arriva un disertore tedesco, che si rivela un bravo pianista e introduce il ragazzo all’arte della musica. Mi ha anche colpito che un giovane uomo come Ermal Meta, ormai affermato e di successo, abbia deciso di confrontarsi seriamente con la storia.» Uso queste righe scritte da Liliana Segre su «Oggi», la sua rubrica per una volta è diventata recensione, perché questa recensione in poche righe contiene le ragioni per cui questo primo libro del giovane cantautore merita l’attenzione di un Premio come lo Strega. Infatti è il documento di un ragazzo che, dal fondo della povertà e del pericolo, afferra la musica (imparare la musica) per cominciare a esistere, una persona giovane che trapassa quasi magicamente il muro della origine e della estraneità per diventare italiano senza andare in esilio, una persona forte da piccolo e da adulto, con una e con l’altra appartenenza, con la musica e poi con il libro che vale la pena di conoscere. I protagonisti del nuovo autore meritano l’attenzione di un premio letterario perché affrontano con coraggio le condizioni che tormentano la vita di un popolo durante una guerra: la solitudine, la paura, l’ignoto, il peso del potere arbitrario che rende impotenti e hanno nella lotta di liberazione il solo strumento. Nel percorso, certamente riuscito, adottato da Meta, è il bambino che narra, ma con la visione del giovane adulto che ha scavalcato due grandi ostacoli: essere libero e poter raccontare che cosa vuol dire non esserlo. Il risultato che l’autore raggiunge è che varie storie straordinarie si sovrappongono, quella del bambino insieme terrorizzato e coraggioso, quella del nonno protettore che segna con chiarezza il passaggio della storia, quella del soldato ribelle e musicista, che ha cioè molta esperienza di una vita per molti mai intravista, conosce lo stato d’animo di terrore, attesa e speranza, ma anche un carico di esperienza ignota, e apre al più piccolo dei protagonisti la porta splendida dell’arte. Il rapporto con la musica dell’autore conta, nel libro, perché dà alla narrazione un respiro calmo e una espressività allo stesso tempo semplice e piena di notizie che inducono il lettore a vivere l’esperienza dei suoi personaggi come se fossero contemporanei; dunque, sotto la cappa di un presente pauroso ma con il carico di una attesa che in certi momenti diventa festosa. Perciò è bene che questo libro rimanga con noi, identificato da un riconoscimento che merita.


Giorgio Nisini Aurora HarperCollins Presentato da Massimo Onofri La fiaba della Bella addormentata nel bosco possiede un’attualità che va oltre la storia che tutti conoscono, quella della fanciulla che cade in un oscuro sonno di morte: è una attualità che riguarda la paura del sonno (eterno) e la speranza del risveglio (altrettanto eterno), archetipi psicologici che fuggono da ogni determinazione temporale. Nisini, con questo suo romanzo inaspettato e sorprendente, che candido senza esitazione al Premio Strega 2023, compie un’operazione di raffinato recupero narrativo: smonta l’antica fiaba, riprende le sue versioni più nere e crudeli – da quella di Giambattista Basile fino ai più antichi modelli nordici – rimonta poi il tutto in un romanzo contemporaneo, ambientato ai giorni nostri. Si tratta di una soluzione narrativa che lavora quasi filologicamente sul passato per interpretare il presente, epperò lo fa attraverso un’operazione che va oltre la filologia stessa: il lavoro di recupero è puramente funzionale a quello della narrazione. La dimensione drammaturgica nel suo insieme, l’incomprensibile narcolessia di Aurora, l’ambientazione da archeologia industriale, spingono l’antica fiaba ormai “defiabizzata” a confrontarsi con temi oggi attualissimi: la superstizione, i limiti della scienza, la tensione morale prodotta dal confronto con l’ignoto.



Igiaba Scego
Cassandra a Mogadiscio
Bompiani

Presentato da
Jhumpa Lahiri
La lingua italiana è sempre un personaggio cruciale nella narrativa di Igiaba Scego. Come Primo Levi, Italo Svevo, a altri scrittori di confine che che hanno indagato e arricchito l’italiano per via della loro condizione ibrida, Scego, di libro in libro, ha sempre scandagliato l’idioma della sua creatività con massima attenzione. Scrivendo dalla prospettiva di chi conosce l’italiano da dentro e da fuori, ne ha forgiato un linguaggio folgorante, urgente, tutto suo. In Cassandra a Mogadiscio, il cui titolo già segnala un ponte fra mondi, tempi e tradizioni, la politica e il personale si intrecciano, così come si sovrappongono le diverse lingue e realtà dei personaggi. Colpiscono i temi complessi e sempre più attuali dell’appartenenza, della famiglia diasporica, della ricerca delle origini e dello sradicamento. Ma questo romanzo, con intensità e autorevolezza, mette al centro la preminenza della parola: quella che squarcia, che resiste, che restituisce. Questo libro ben equilibrato, anche dirompente, sicuramente il libro più importante che esista, nella letteratura italiana, sulla storia postcoloniale italo-somala, va letto per uscire dal silenzio, dall’oblio e dalla rimozione che distorce la verità di quell’epoca, e per far i conti con il razzismo non solo di una volta ma di oggi. Va letto per rendere contemporanea e sempre rilevante la lotta secolare di donne che hanno da dire ma sono condannate a non essere ascoltate. Sono le parole, dunque, di questa Cassandra testarda ma tenera, vincente e accogliente, vispa e ironica, che conquistano il lettore, e la sua potenza sta nel continuare a esprimersi senza rabbia, solo con convinzione e con lucidità. In questa Cassandra, crediamo.


Andreea Simionel Male a est Italo Svevo Presentato da Gioacchino De Chirico Il libro d’esordio di Andreea Simionel merita tutta l’attenzione che gli dedicano le pagine culturali di quotidiani e periodici, radio e televisioni. Male a est racconta la lacerazione dell’emigrazione. Ne rende visibili e tangibili le opportunità e le perdite, ma soprattutto, evidenzia i traumi di una lingua nuova che si misura e combatte con la lingua madre, anche se il rumeno ha la stessa radice latina dell’italiano. Ogni parola, ogni neologismo, ogni ricordo risulta così profondamente legato alla realtà che se in un primo momento può disorientare il lettore, ben presto si rivela un prezioso strumento di narrazione. È la letteratura.



Simonetta Tassinari Donna Fortuna e i suoi amori Corbaccio Presentato da Marcello Rotili La narrazione, serrata e coinvolgente, intreccia con eleganza, in un gioco ripetuto di giustapposizioni, la tormentata biografia dell’avvenente figlia e sorella di poverissimi contadini anarchici della bassa padana con la costruzione delle grandiose navi di Nemi disposta dal megalomane Caligola, con il loro affondamento ordinato da Claudio quale forma di damnatio memoriae del suo predecessore e ancora con le vicende del loro impegnativo recupero archeologico dalle acque del lago sui Colli Albani. Fortuna Cavina è la diciottenne che la prematura scomparsa del giovane marito risucchia ancora di più nel gorgo di un’emarginazione a cui ancor prima l’avevano condannata l’umile origine e le scelte politiche dei familiari. La mediocre società di Ponterotto, ove la protagonista abita dopo il matrimonio con l’anarchico Ateo Assirelli, perito nei disordini del 1914, le riserva sospetto e odio mentre Fortuna ne invidia il benessere considerato come una meta da raggiungere, prescindendo da una scelta politica che ritiene da evitare per garantire il futuro del figlio. Così quando Libero (Bibo) ha 4 anni, nel settembre 1918 conosce Giuseppe Guidi, un boscaiolo desideroso di recuperare una dimensione di vita normale dopo la tragedia della grande guerra, accetta di sposarlo e di trasferirsi a Nemi, ove Giuseppe impianta una piccola ditta di falegnameria. La storia che svolta in senso favorevole alla protagonista anche grazie all’impegno di don Luigi, il caritatevole parroco di Ponterotto, si svolge negli anni in cui il regime di Mussolini è impegnato nel recupero e nell’esaltazione della romanità e nel tentativo di costruire una nuova identità dell’Italia e degli italiani: oltre alla propaganda ne furono strumenti la politica imperialistica, alcune imprese urbanistiche dai molteplici risvolti e iniziative di carattere archeologico che hanno suscitato di volta in volta ammirazione, perplessità e giudizi negativi per le scelte compiute e i metodi applicati. In questo clima politico e culturale si colloca il complesso e per tanti versi eccezionale recupero delle navi fatte costruire da Caligola e affondare da Claudio. Ecco, dunque, che la narrazione della Tassinari riallaccia al passato di età imperiale, attualizzato dal recupero delle navi, la vicenda di Fortuna, del figlio e del marito, laborioso e intraprendente a dispetto delle menomazioni polmonari derivanti dal suo passato di combattente. Sicché nell’agile racconto entrano in scena gli artefici del recupero attuato prosciugando in parte il lago di Nemi: in particolare il conte Filiberto Orsatti, ingegnere e reduce di guerra, ritiratosi a vivere a Villa Giulia, la magnifica residenza di famiglia sulle sponde del lago, dopo la menomazione subita in combattimento, una menomazione alla quale si somma il rimorso per avere coinvolto nell’impresa bellica il giovanissimo figlio che, dopo un lungo ricovero, non sopravviverà alle lesioni prodotte dalla guerra. Un giorno, casualmente, Filiberto conosce il figlio di Fortuna, appassionato di storia romana, e, colpito dalla sua spiccata propensione per l’attività intellettuale, ne sostiene gli studi intensificando altresì il rapporto, che presto diventerà intimo, con la madre dopo averla coinvolta nell’assistenza della figlia Cristina, gravemente ammalata. Da questo momento le vicende delle due famiglie si incroceranno in modo ancora più stretto: il fidanzamento di Libero e di Cristina segue l’interruzione del rapporto tra Fortuna e Filiberto a sua volta funzionale alla realizzazione del matrimonio dei due giovani: un matrimonio alla cui laboriosa preparazione partecipa soprattutto Fortuna, mentre la madre di Cristina, l’altera nobildonna Isotta, vi assiste con freddezza e distacco. Ma Cristina non arriverà all’agognata meta per il riacutizzarsi della tubercolosi ossea che la tormenta da anni, mentre Filiberto Orsatti, Giuseppe Guidi, Fortuna e Libero, da qualche tempo divenuto direttore del Museo delle navi di Nemi per i suoi meriti scientifici, saranno coinvolti nelle tragiche vicende che la guerra voluta da Mussolini comporta per l’Italia, stretta tra i due fuochi degli ex alleati tedeschi e degli ex nemici anglo-americani impegnati in scontri ed azioni belliche devastanti. Il riemergere dal gorgo di violenze di Fortuna e di Bibo, nonostante le ferite da questo riportate nell’incendio del Museo delle navi, indica la propensione dei personaggi e dell’autrice per la prosecuzione della vita nel ricordo di esperienze maturate nel tempo anche dai propri ascendenti. Donna Fortuna e i suoi amori può essere definito un romanzo di formazione: intenso ed avvincente, nel serrato svolgimento della storia personale della coraggiosa protagonista evidenzia i connotati dell’epoca in cui ne è ambientata la vita avventurosa.


Domenico Tomassetti Una vita come la tua Bertoni Editori Presentato da Giulio Marcon Propongo per la prima volta un romanzo al Premio, perché la lettura di Una vita come la tua di Domenico Tomassetti è stata una rivelazione. «Che altri si vantino delle pagine che hanno scritto; io sono orgoglioso di quelle che ho letto». Raramente, ma può capitare, si è orgogliosi anche di quello che scopriamo, leggendo il primo romanzo di un autore che però ha una solida esperienza nell’intrecciare le storie, maturata nella scrittura per il cinema. In una Roma complice e perduta, un avvocato, che ha perso la memoria di una porzione della sua vita, si affida al figlio per ricercare il tempo dimenticato. Quello che scopre lo mette di fronte all’ineluttabile corruzione che contamina la vita degli adulti. Perché, come si legge nel libro, «le nostre scelte, quelle importanti, non sono lineari, né razionali come vogliamo credere. Seguono percorsi obliqui e, spesso, sono frutto di cedimenti progressivi». Così, tornato al mondo con una riacquisita e immeritata verginità, il protagonista è costretto a chiedersi se la nostra vita non sia in fondo nient’altro che la storia che «ne abbiamo raccontato non tanto agli altri, ma soprattutto a noi stessi» per trovare un senso alle cose, cercando un’ultima menzogna che coincide con la sua verità più profonda (e la riflessione finale, sulla memoria e sull’identità, è davvero sorprendente). Allo stesso tempo il figlio, che lo accompagna, ha lo sventurato privilegio di conoscere suo padre nella crudele visione delle sue debolezze. Liberamente ispirato a recenti fatti di cronaca, in equilibrio tra il «mondo di mezzo» di Mafia capitale e l’apparente tranquillità di uno studio legale di Prati, il romanzo mi ha raccontato uno spaccato (senza sconti) di Roma, vista da chi, ogni faticoso giorno, cerca di sopravvivere al mondo della (in)giustizia. E lo ha fatto con uno stile solo apparentemente semplice – direi divertito e perciò divertente, che si fa leggere – ma sempre alla ricerca «della parola esatta e migliore», come è giustamente scritto nella motivazione di un premio vinto, riportata nella prefazione. A differenza di altri esordienti, troppo spesso attenti solo al loro microcosmo, Domenico Tomassetti ha provato a guardare il mondo che lo circonda, intessendo storie che raccontano vite come le nostre, ma con gli occhi di uno scrittore. Non dovrebbe servire a questo la scrittura? «Una rappresentazione fallace della vita che, tuttavia, ci aiuta a capirla meglio».



Piero Trellini L’Affaire. Tutti gli uomini del caso Dreyfus Bompiani Presentato da Massimo Raffaeli Fu il test d’ingresso del XX secolo e insieme la profezia dei suoi cataclismi ma innanzitutto fu ciò che divise rovinosamente a metà la Francia e, di riflesso, l’Europa: leggibile alla stregua di un documentatissimo libro di storia, L’Affaire di Piero Trellini è una vera e propria Opera Mondo, capace di tenere insieme in maniera appassionante vicende materiali e evenemenziali, fatti del costume e della cultura, modernariato e belle arti, documentaristica e narrativa tout court. La struttura plurale e la scrittura polifonica riadattano il modello della tavola di Warburg dove il dettaglio e la notizia minuta si connettono volta a volta al campo totale assecondando una procedura e uno stile che Piero Trillini ha avviati con La partita (Mondadori 2019), Danteide (Bompiani 2021) e che con L’Affaire porta a pieno compimento.



Valeria Tron L’equilibrio delle lucciole Salani Presentato da Vivian Lamarque Proveniente dalla Val Germanasca, Tron ha dato voce alla sua gente e alla sua terra, alla comunità valdese e a un’intera cultura poco conosciuta. In un antico borgo, ora in stato di semi-abbandono, durante una tormenta di neve il ritorno di Adelaide, poche e lontane le luci delle case. Il sottovoce del patois è forte richiamo. Quando risuona, il lettore inizialmente si giova della traduzione come di sottotitoli, col procedere può ignorarli, a fine libro ha imparato una lingua. E ripassato quella remota dei passi nel ghiaccio, tra le case di pietra, e quella della legna che brucia nelle stufe. Scrittura con forza, ricerca personale di una memoria collettiva (per me, leggendo, quella della mia originaria valdesità, ma questo non c’entra). Avrei però titolato diversamente, senza lucciole. E, in patois: Meizoun, casa.


Francesca Veltri Malapace Miraggi Edizioni Presentato da Laura Massacra Chi è davvero François, protagonista del romanzo di formazione Malapace? Un eroe guidato da una fiducia cieca in un ideale, quello del pacifismo a oltranza, che nel tempo gli si ritorcerà contro come una tortura? Oppure un antieroe, un ignavo, un uomo senza qualità, un trasformista della prima ora che nasconde le sue debolezze in un credo morale astratto, per non affrontare di petto la vita? Il romanzo di Francesca Veltri è un’opera sorprendente che ci conduce per mano nell’inferno delle scelte e delle decisioni, all’interno del campo di prigionia nell’autunno del ’44, dove il protagonista è detenuto con l’accusa di avere collaborato coi tedeschi, con il regime fascista di Vichy, benché sia stato precedentemente iscritto al partito comunista. Nel campo di prigionia, François, tormentato dai ricordi e dai sensi di colpa, ripercorrerà a ritroso le tappe della propria esistenza, puntellata dalla volontà di perseguire, con le proprie azioni, i suoi ideali pacifisti, all’altare dei quali sacrificherà tuttavia amici e amori, finendo poi con lo sgretolare la sua stessa identità. Sulla scorta di una robusta conoscenza del periodo storico nel quale è ambientato, e che approfondisce alcuni aspetti dell’evoluzione della sinistra francese a cavallo della Seconda Guerra mondiale, il romanzo esplode nelle mani e nel cuore del lettore il quale, anziché trovare risposte alla sua angoscia, che cresce e incalza lungo una trama fitta di bivi e interrogativi, finisce col mettere in discussione il suo stesso mondo interiore fatto di credenze, valori, idee. Malapace è inoltre un romanzo che affronta un tema universale, sebbene di grande attualità, riassumibile nella domanda: «è legittimo invocare la pace a tutti i costi?», un interrogativo da affrontare solo se si è pronti a mettersi in discussione e ad accettare che anche un’ottima idea, se difesa in termini assoluti, può portarci alla morte.