di Pierangelo Colombo

venerdì 18 settembre 2020

PATURNIE DI UN VECCHIO BRONTOLONE

 

Negli ultimi tempi sento proclamare spesso l’accusa di ‘dittatura sanitaria’, come sa il diritto alla salute debba essere imposto. Non vedo come l’uso della mascherina, seppur fastidiosa, possa limitare la propria libertà, almeno che non si tratti della libertà di potersi ammalare. In tal caso posso essere d’accordo: ognuno ha il sacrosanto diritto di scegliere i propri virus, ma si tratta di una libertà individuale, che calpesta quello che dovrebbe essere un naturale senso civico, almeno in una società umanizzata, quello di tutelare i più deboli. Usare la mascherina è anche una precauzione verso chi, per vari motivi, rischia maggiormente un’eventuale infezione: anziani, immunodepressi, asmatici…

Indossare correttamente la mascherina non è da pecore o debosciati, ma da persone civili e altruiste.

Ieri era la giornata mondiale della sicurezza del paziente; pensando proprio agli ‘ospiti’ delle R.S.A. ho scritto un racconto che vorrei condividere con voi.

Buona lettura.

 




 PATURNIE DI UN VECCHIO BRONTOLONE

 

  -Dev'esserci una bella coda per entrare qua dentro.- Considerazione che il vecchio, senza distogliere lo sguardo dal giornale, rivolge al giovane inserviente.
  -In che senso? Scusi- domanda il giovane.
  -Il letto del povero Giovanni è ancora tiepido ed è già stato assegnato a un altro.- Indica con il capo un anziano che, accompagnato, cammina titubante.- Un nuovo detenuto, direi- conclude lapidario.
  -Da quel poco che so, il signore soffre di depressione- sussurra l'inserviente, -quindi eviti l'istigazione al suicidio con i suoi discorsi su galera, ergastolo, ora d'aria e via discorrendo. Questa è una casa di cura, non un carcere.-
  -Non preoccuparti- ribatte il vecchio, alzando lo sguardo, -sarò più falso di Giuda Iscariota; persino più falso delle vostre brochure: che descrivono questo posto come una spa, un hotel da dove avviarsi serenamente verso il tramonto.-
  -Oggi è più acido del solito- lo rimbrotta il giovane.
  -Sono solo stufo- sbotta il vecchio, riponendo il quotidiano. -Stufo di questo posto dove tutto è sintetico e il tempo non scivola; si grippa su questa similpelle, finta seta, finto legno, finta ceramica; persino l'intonaco è sintetico e il tempo non scorre, non scivola e un minuto s'allunga come una quaresima- sbruffa.
  -Non è il sintetico- ribatte l'infermiere, -dovrebbe brontolare meno e crearsi un passatempo.-
  -Non è questa la vecchiaia che immaginavo- risponde il vecchio, dirigendo lo sguardo verso la finestra. -Sognavo di godermi la pensione curando nipotini e viaggiando con la mia Simo; spensierati, senza orari o vincoli. Risarcire una vita di sacrifici e rinunce regalandoci qualche soddisfazione. Niente di esagerato, il primo viaggio lo avremmo fatto a Napoli. Simo desiderava tanto vedere il Cristo velato; amava l'arte, ma il destino...- sospira.
  L'infermiere posa delicatamente la mano sulla spalla dell'uomo, in un fiacco tentativo consolatorio.
  -E invece sono rinchiuso in questo posto- riprende il vecchio. -Hai ragione sai? Questo non è un carcere, direi che assomiglia più a un aeroporto: stazioniamo nel terminal tenendo la carta d'imbarco nel cassetto del comodino, nell'attesa che venga annunciato il nostro volo. Solo andata. Nessuno a salutarci: piangeranno dopo il decollo, come da prassi.-
  -Pessimistico come confronto.-
  -Fidati! Ne ho viste di lacrima da coccodrillo qua dentro. Giorni, mesi, anni di solitudine interrotta da visite elemosinate nelle feste comandate o se c'è un atto notarile da far firmare. Poi, dopo la dipartita, un dolore incolmabile: lacrime profuse a volontà, fino al camposanto, dopodiché ognuno torna a casa propria con la coscienza tersa, sbiancata e ammorbidita.-
  -I suoi figli le vogliono bene- protesta il giovane.
  -Certo! Ma la verità è che mi vedono come un ex uomo; un demente dal carattere bizzarro come il mare: che cambia con il vento. Un rimbambito che gioca con i piselli nel piatto e fa storie quando deve fare il bagno. Una pianta da annaffiare nell'attesa che si rinsecchisca definitivamente. Un anziano che non ha accumulato ricchezze né, tantomeno, saggezza. Mio nonno era un saggio, un libro di esperienze cui tutti guardavano. Io, alla sua età, sono soltanto un rincoglionito da internare in un ospizio.-
  -Ha una scarsa considerazione di sé stesso- lo interrompe l'inserviente.
  -Ai miei tempi gli anziani erano rispettati. Mio nonno sapeva a malapena leggere, eppure, novantenne, tutti in paese si rivolgevano a lui per un consiglio; perché l'esperienza vale di più della teoria. Pur sapendo che non avrei mai fatto il contadino, mi ha insegnato come si coltiva il grano perché, diceva, il pane è un dono di Dio e la terra lo elargisce senza chiedere danaro, fatica si, ma non danaro.-
  -Anch'io ho dei bei ricordi di mio nonno- confessa il giovane.
  - Chiedi a un ragazzino d'oggi cos'è un nonno. Ti risponderà che è una balia, un portafogli spalancato e un congruo finanziatore di Babbo natale: finché è in salute però, altrimenti è un vecchio chiuso in un ospizio. Uno che perde la bava quando dorme e sputacchia parlando. Un lagnoso scassapalle pieno di noiosi aneddoti.-
  -Una visione ultra pessimistica, a mio parere.-
  -Dici? Eppure, ho dei nipoti di cui non ricordo quasi più la voce- confessa il vecchio, sfilandosi gli occhiali. -E non si tratta di alzheimer: ricordo ogni singola data di nascita.- Con un gesto lesto della mano si asciuga gli occhi umidi.
  -Non è la quantità che conta, ma la qualità delle visite.-
  -Qualcuno ha detto che: non si muore veramente finché qualcuno si rammenta di noi. Forse è vero, ma preferirei essere ricordato da vivo; invece, agonizzo in questo limbo sospeso nell'attesa... vedendo appassire anche i ricordi.-
  -I ricordi non appassiscono, se ne abbiamo cura- ammonisce l'infermiere.
  -Hanno venduto la mia casa- ribatte il vecchio, con stizza.
  -Venduta?- domanda il giovane, non afferrando il nesso del discorso.
  -I miei figli, appena rinchiuso qua dentro, hanno venduto quelle quattro mura che io e la mia dolce Simonetta, abbiamo comprato con sudore e sacrifici: una fatica dolce però, di quelle che ti colmano di orgoglio. Una casa modesta, uno scrigno che, nel tempo, abbiamo colmato di ricordi, della nostra vita. Ogni mattonella, stipite, ogni singolo graffio sui mobili era un ricordo. Persino il tappeto, preso in un mercatino e steso nella sala ancora spoglia e su cui ci siamo amati come se non ci fosse un domani; le serate stretti sul sofà o giocando a briscola fra un ammiccamento e uno sberleffo. Poi l'arrivo di Andrea, le notti in bianco, la fatica, i primi passi, la scuola e l'arrivo di Loredana con un altro giro di valzer. Un'intera vita costruita fra quelle mura. Una vita di cui restano solo i miei rimpianti.-
  -E il frutto del vostro amore- lo interrompe il giovane, -La famiglia non scompare con la casa, ma prosegue il cammino, forte dei ricordi. Invece di rammaricarsi, dovrebbe essere orgoglioso di ciò che è riuscito a fare.-
  -Sarò egoista- ribatte il vecchio, -ma a volte mi chiedo se non avessimo meritato di goderci la vita, invece di bruciarla in sacrifici. Ma dimmi, hai moglie o una fidanzata?-
  -Una compagna- risponde l'inserviente.
  -Allora, questa sera stessa, falle un regalo! Organizza un bel viaggio, tu e lei; portala a visitare ciò che più sogna, inebriala di vita sino a quando non cadete esausti sul letto. Falla sentire unica, desiderata. Meravigliala lasciandola senza fiato. Fallo per me, ma, soprattutto, fallo per te, perché non ti capiti, un giorno, di ritrovarti vecchio a bramare come se fosse ossigeno ciò che non hai fatto. Non c'è bestia più feroce della mancanza.-
  -Vedrò di fare il possibile- promette il giovane, sorridendo. -Nelle possibilità delle mie finanze, naturalmente. E, a proposito, ora debbo tornare alle mie mansioni, se voglio continuare a sperare in uno stipendio.-
  -Fatti dare un aumento, come indennizzo per doversi sorbire i piagnistei di questi quattro vecchi rimbambiti.- 
  Rincalzando gli occhiali il vecchio riprende la lettura del giornale, mentre le lancette dell'orologio proseguono il loro lento movimento, noncuranti delle paturnie di un vecchio brontolone.
 
 
 di Pierangelo Colombo
 
 
Racconto terzo classificato nella VII ed. del premio internazionale letterario e d'arti "Nuovi Occhi sul Mugello" con questa motivazione:
Con linguaggio asciutto, una efficace struttura e dialogo, il narratore ci propone l'amaro, realistico punto di vista di un "vecchio brontolone", che con lucidità impietosa analizza ed esprime il proprio stato d'animo in un ambiente che, per quanto confortevole, di fatto separa i pazienti "dentro", dall'esistenza vera, quella "fuori", limitando e riducendo ogni possibilità di vivere appieno quelle esperienze sociali, affettive, culturali, che anche in quest'ultima fase della vita potrebbero essere godute.
Tanto più se nella mente è ancora vivida la memoria della pienezza dell'esistenza passata.
Ma anziché incupire le sue riflessioni con uno sterile rimpianto, il vecchio riesce a trasferire al suo giovane assistente la sua ricchezza interiore e la sua residua voglia di vivere, trasformando il suo brontolio in uno squillante inno alla vita.
 
La giuria. 
 
 
Leggete e divulgate liberamente, non dimenticate, però, di menzionare l'autore. 😉