di Pierangelo Colombo

martedì 30 maggio 2023

QUARANTOTTO MINUTI AL SUONO DELLA SVEGLIA

Quarantotto minuti al suono della sveglia



  Vi sono necessità che non ammettono indugi. Si può rinviare un pasto nonostante i morsi della fame, persino procrastinare il sonno, ma quando la vescica è sul punto di traboccare, beh, non c’è volontà che tenga. E Max non fa eccezione; vorrebbe starsene tranquillo, accucciato sul proprio materassino in corridoio senza interrompere il sonno del proprio umano, ma il fastidio è ormai insostenibile. Un espediente potrebbe essere quello di sollevarsi e, raggiunto un angolo strategico, alleggerire la pressione di quel poco sufficiente ad attendere, per il saldo, il risveglio del tutore. Idea balzana che il quadrupede scaccia con un colpo di coda: l’umano non approverebbe. Max non vuole contrariare il maschio alfa che, certo, impartisce regole ferree, ma che amministra l’ordine con saggezza, premiando le cose ben fatte e limitando i castighi a dei richiami verbali. Così, pungolato dall’impellenza, varca la soglia della camera da cui proviene un nitido ronfare. Raggiunge con passo felpato il dormiente. Gli è precluso di balzare sul letto e quindi, poggiando il petto al materasso, allunga il collo protraendo il proprio tartufo umido fino a sfiorare il volto dell’uomo. Nell’intervallo fra una russata e l’altra, Max sbuffa due volte attraverso le narici, stratagemma che, tuttavia, non produce l’esito auspicato, così, leccandogli velocemente la punta del naso, lo desta.
  «A nanna Max, a nanna!» mugugna l’uomo, scacciando la seccatura come fosse una mosca. Ordine che, solitamente, riporta nei ranghi il fido compagno respingendolo alla propria cuccia. Questa volta, però, anziché retrocedere, Max palesa insubordinazione e, posate le zampe anteriori sul letto, inizia a mugolare; azione che costringe l’uomo al totale risveglio. Dev’essere questo il trauma della nascita pensa: lasciare una bolla calda, rassicurante, colma di vibrazioni famigliari per ritrovarsi sommersi da luce, freddo e suoni acuti, dove non si può fare a meno di piangere. 
  «Cos’è che vuoi?» domanda allungando una carezza. Lo sguardo cerca la radiosveglia: i led indicano le cinque e tre minuti. Ora antelucana confermata dal profondo silenzio che amplifica il ritmico scodinzolio sopra lo scendiletto.
  «Non avrai già fame?». Anche se raramente, capitava che Max si svegliasse prima dell’alba in preda a una crisi famelica di portata biblica. 
  L’uomo, appellandosi alla disciplina, vorrebbe imporsi rammentando alla bestiola il ruolo subalterno nella scala gerarchica. Il pensiero di smuovere le coperte, rinunciando all’avvolgente tepore del letto, lo getta nello sconforto, come un bimbo costretto a interrompere una poppata. Max, tuttavia, sull’orlo del travaso, insiste aumentando la frequenza dei mugolii. 
  «Allora se’ proprio bischero», lo zittisce.
  Sospira l’uomo, conscio che l’insistenza dell’amico non sia parto di un capriccio: è un buon cane le cui richieste hanno di norma motivazioni serie. Accompagnato dal fruscio delle lenzuola si mette a sedere; nel calzare le pantofole il piede destro sfiora il pavimento gelido, come la pinzetta dell’allegro chirurgo che tocca il bordo del paziente, dall’arto parte un brivido che spazza ogni residuo di sonno. Il cane, vedendo finalmente l’eroe entrare in azione per salvarlo, si agita: scodinzola, gira su sé stesso, ne cerca le mani per leccarle, chiedendo indulgenza e mostrando riconoscenza al tempo stesso. 
  «Buono Max, buono», sussurra. Sollevandosi allunga la mano alla parete, per non perdere l’equilibrio. 
  Percorso il corridoio, l’uomo si dirige verso la ciotola, posta nell’angolo della cucina, ma quando la raggiunge si accorge di non essere seguito. Tornato sui propri passi scova Max seduto all’ingresso a fissare l’uscio.
  «Ti avevo detto di non bere come un cammello!» lo rimbrotta. «Così t’impari a rubare il cibo».    Riferendosi alle due acciughe sotto sale che il quadrupede, con mossa lesta, aveva razziato dal cartoccio lasciato incustodito sul tavolo divorandole.
  Compresa l’emergenza, l’uomo indossa frettolosamente l’impermeabile, le scarpe, sciarpa, cappello, mentre Max, come una bomba in procinto di esplodere, controlla a fatica la pressione urinaria mettendosi a gironzolare. Agganciato il guinzaglio al collare, l’uomo apre l’uscio. Uscito sul pianerottolo le luci si accendono automaticamente. L’aria fredda che risale la tromba delle scale lo investe, facendogli rimpiangere ancor di più il letto e il tepore dell’appartamento. Appena scesi i primi scalini deve aggrapparsi al corrimano, mentre con l’altra mano trattiene la foga del cane che tende il guinzaglio.  
  «Vai bello, annaffia pure», bisbiglia, indicando lo zerbino dell’inquilina del piano di sotto. Proposito che metterebbe volentieri in atto a risarcimento dei petulanti lamenti della bisbetica, elargiti copiosamente a ogni incontro.
  Il silenzio che aleggia su ogni pianerottolo è rotto dal ronzare dell’immortale lampada al neon che rischiara l’androne. Poggiata la mano sul maniglione del portone, l’uomo saggia l’intensità dell’inverno che lo attende oltre. Appena fuori, infatti, è investito dall’aria gelata che ne condensa il fiato in una nuvola di vapore. Poco distante c’è un’aiuola e Max, trascinandosi dietro l’uomo, vi si fionda e, alzata la posteriore destra, lascia sgorgare lo zampillo.
  L’uomo osserva divertito l’amico rilasciarsi; in pieno godimento gli occhi dell’animale si socchiudono su di uno sguardo appagato, mentre calano anche le orecchie come le guance e persino la gamba, prima tesa verso l’alto, si abbassa lentamente. Sembra un palloncino che, svuotandosi, stia per afflosciarsi sul terreno trasformandosi in una frittella.
  Prima di allontanarsi dall’aiuola, il cane raspa il terreno con le zampe posteriori, scagliando del terriccio in strada. Tanta è la foga profusa nell’operazione che, quando una zampa trova l’asfalto anziché la terra, l’improvvisa aderenza dei polpastrelli lo proiettano, a molla, verso il muretto antistante.
  «Sei imbarazzante per tutta la tua specie», lo canzona l’uomo. «Visto che ormai siamo fuori completiamo l’opera; abbiamo fatto trenta…» dice, proponendo il proseguo della passeggiata, almeno sino all’angolo dove Max, abitualmente, espleta le proprie deiezioni.
  «Cagare dove capita? No, vero? Devi trovare la giusta ispirazione».
  Si stringe nell’impermeabile, respirando l’aria gelida rimpiange la canicola estiva, una delle ultime rinviene nei ricordi: la vacanza in riviera con la compagna, da sposini, come non capitava da anni. Loro due immersi nell’Adriatico ridendo a crepapelle per delle scemenze, come una pernacchia farebbe scompisciare un bimbo. Ridevano sino alle lacrime, tanto da non trattenere nemmeno la vescica che si liberava in mare. Abbracciati come fidanzatini, lasciandosi cullare dal moto ondoso. Le labbra salate di lei così invitanti, la voce allegra. I pensieri cancellati dalla voglia di vivere, di godere. 
  Ripensando a quella vacanza percorre il marciapiede dribblando sacchi dell’indifferenziata e auto. Giunto vicino a una Golf color argento, parcheggiata lungo il viale, l’uomo vi indirizza uno sguardo malevolo: vorrebbe vederla avvolta dalle fiamme o, perlomeno, convincere Max a liberare gli intestini sul cofano motore, sarebbe disposto a tenerlo in equilibrio per prendere bene la mira. Astio, quello nei confronti del proprietario, che ha ragioni profonde: all’infame, infatti, imputa la decisione della propria figlia di emigrare a Londra. In quattro anni di fidanzamento, è acclarato, il bastardo aveva reso una ragazza innamorata in una donna tradita; l’adultero aveva adornato la testa della compagna di una quantità di corna tali da far impallidire il più maestoso dei cervi. Tante le bugie, gli inganni e le ferite da rendere il quartiere, la città stessa invivibile per una amazzone disarcionata. Disorientata è fuggita per ritrovare la bussola. 
  Un’assenza che prende peso ogni giorno di più, specie in inverno, quando la ‘piccola’ rientrava la sera imbardata da capo a piedi per il freddo, decidendo di restare a casa, o la domenica a pranzo, quando il suo posto a tavola è più desolato di un cimitero a Ferragosto. La sua camera è intatta, una macchina del tempo sospesa all’orario di partenza, pronta a riprendere il proprio ticchettio al rientro della proprietaria. Lontananza che ha esposto chiaramente la metafora della farfalla nella teoria del caos: la figlia invia un messaggio WhatsApp da Londra dicendo d’essere raffreddata e in casa Ricci esplode un ciclone d’angosce, immaginandola in preda a convulsioni. L’uomo benedice la tecnologia che permette loro di comunicare quasi giornalmente. Udirne la voce, vederne il viso attraverso lo schermo del cellulare è un palliativo ma, seppur benefico, non basta a colmare il vuoto lasciato in quella casa, desolata come una scuola in estate. Momenti in cui, assediato dalla malinconia, si domanda dove sarebbe la figlia se non avesse incontrato il bastardo; lui che, in trentasette anni di matrimonio non aveva mai tradito la sua compagna. Non che fossero mancate le occasioni o le tentazioni, anzi, ma il timore di rovinare il loro rapporto, seppur umanamente imperfetto, aveva sempre domato gli istinti. Una convivenza traballante, certo, come un vecchio tavolo, ma l’amore aveva sempre prodotto un tassello, un pezzo di cartone in grado di puntellarlo. Una vita intrecciata, a volte talmente ingarbugliata da formare dei nodi che la pazienza, tuttavia, aveva sempre risolto. Un ardore iniziale, il loro, che il tempo aveva raffreddato trasformandolo in un amore simbiotico, dove l’esistenza dell’uno si fonde in quella dell’altra. Era nato, più di una volta, il dubbio di entrare in porto, ormeggiare la barca per riprendere una via solitaria, ritrovare il proprio tempo, l’indipendenza giovanile, ma alla fine, calata la tramontana di rabbia, ritrovavano la voglia di proseguire il viaggio assieme, curiosi su dove il destino li avrebbe fatti approdare.   
  Sospirando, l’uomo riprende la passeggiata. L’umidità è densa, tanto da assorbire in una foschia lattiginosa il lume degli ultimi lampioni lungo la via. Una barriera che pare isolare il quartiere dal resto della città, proiettando ancor più lontana Londra, quasi fosse sul lato oscuro della Luna. Il freddo è pungente e sembra accanirsi sul naso e sulle orecchie rendendole insensibilmente doloranti; un clima rigido che risveglia il desiderio di tornarsene a letto, accanto alla sua compagna. Cosa vi è al mondo pensa, che possa eguagliare la dolce sensazione nell’infilarsi sotto le lenzuola? Ritrovare il tepore mantenuto dal corpo di lei, come fosse un focolare in una tempesta di neve. Pregusta il godimento di abbandonarsi al benessere ascoltandone il respiro lieve; lasciarsi stringere dal suo abbraccio avvolgente, caldo, morbido e sensuale; colmare le narici del profumo della pelle e lasciarsi solleticare il naso dai suoi capelli.
  Pensiero che ha sempre alleviato le gelide uscite mattutine, specie quelle domenicali, come la ricompensa divina che spetta ai santi che subiscono il martirio. L’estasi di ritrovare un letto dove godere di un altro po’ di felicità, un abbraccio da assaporare oppure, se l’ora è già tarda, trovare l’avvolgente aroma del caffè ancora borbottante nella moka, la tavola apparecchiata per la colazione e il sorriso di lei: il migliore dei croissant.
  Aspettativa che sollecita l’uomo a rincasare appena Max ha soddisfatto i propri bisogni. Avvicinandosi a casa i due allungano il passo. Un’auto, svoltato un angolo, illumina i due con il proprio fascio di luce. Max, distratto nel fiutare una pista sul selciato, scorge improvvisamente la propria ombra, ingigantita, proiettata sul muro di recinzione. Il balzo di terrore della bestiola fa scoppiare nell’uomo una risata. «Avrei dovuto chiamarti Cuor di Leone» lo canzona.
  Il tepore dell’androne rinfranca i due mattinieri. Infilate le scale, l’uomo fatica a trattenere nuovamente la foga dell’amico, ora affamato. Inserite le chiavi nella serratura si sospende tentennando per un istante, fissa l’uscio quasi volesse sincerarsi sia quello giusto. L’affanno, figlio della salita, ricolma il pianerottolo altrimenti muto. Aperta la porta scorge la luce accesa nella cucina. “Amore?” vorrebbe chiamare, ma nessun profumo di caffè lo avvolge. Attende un istante prima di varcare la soglia, il silenzio è profondo, quasi solido, tanto che può udire il ticchettio delle unghie di Max che zampetta lungo il corridoio; abitualmente, appena rincasato, corre scodinzolante dalla sua umana per una carezza, saluto ricambiato con una leccata alla mano. L’amico, invece, sedutosi dinanzi alla ciotola, attende l’uomo, ma non scodinzola, la sua è una felicità mesta, mutilata. La malinconia si legge nello sguardo del cane che fissa l’umano in una preghiera silente di cibo. Gli occhi dell’uomo si fanno liquidi, tanto che fatica a trovare il sacchetto delle crocchette. Chinandosi sulla ciotola per colmarla, dà una carezza a Max, senza dire una parola. Mestamente getta un’occhiata al calendario appeso in corridoio: mancano tre settimane a Natale, diciannove giorni al ritorno della figlia.
  Svestitosi si dirige nella camera da letto. Il silenzio che lo attende lo respinge in corridoio. Il letto è deserto, freddo e immenso. La camera è ricolma all’inverosimile di un’imponente mancanza. Quel talamo senza un’anima è l’incubo che risveglia l’uomo dal sogno, balzandolo in una straziante realtà. Un’assenza gelida come le lenzuola in cui si infila. Gli occhi di Max lo seguono dal corridoio, sguardo mesto, orfano di una persona amata, venerata, rimpianta. L’uomo ricambia la malinconia liquida dello sguardo. Max pare comprendere e, abbassando la testa, si dirige alla propria cuccia.
  «Max!», lo richiama l’uomo, «vieni!» lo invita a salire sul lettone. Il cane esita, teme di non aver compreso l’invito. «Dai, sali!» ripete l’uomo, battendo la mano sul materasso. Senza farselo ripetere, il quadrupede balza sul letto e, acciambellandosi, si appoggia al suo fianco. 
  Serra le palpebre l’uomo: per non vedere, nella speranza di rigettarsi nel sogno lasciato in sospeso. Mancano quarantotto minuti al suono della sveglia, quarantotto minuti di sospensione fra un passato caldo e un futuro gelido, secondi lunghissimi di una veglia mesta, tempo in cui, se intende continuare a vivere, deve trovare un solo motivo per cui valga ancora la pena alzarsi per recarsi al lavoro, per continuare a respirare e sopportare la solitudine. Come un fiore reciso deve imparare a suggere l’acqua consapevole che senza radici la sua non sarà più esistenza, ma sopravvivenza. Quarantotto minuti per racimolare le forze necessarie ad affrontare la luce del giorno che, scacciando i sogni, palesa in maniera lampante l’assenza di lei. Quarantotto minuti per scovare una valida ragione per continuare a vivere senza più udirne la voce. 


mercoledì 24 maggio 2023

HIRPU, IL CACCIATORE

 


Non era mai corso buon sangue fra lui e Brennu, fin da ragazzini, ogni pretesto era buono per scatenare la rivalità. Il carattere non era la sola differenza fra di loro: mole imponente quella di Brennu, i cui muscoli, forgiati da faticosi allenamenti, ostentavano una forza impressionante. Alto e dal portamento fiero, incarnava l’immagine di Toutatis, dio della guerra. Fierezza che traspariva dallo sguardo arcigno. Al contrario, Hirpu, segaligno e di statura decisamente inferiore al resto dei compagni, pareva un ragazzino cui era stata preclusa la crescita. Tuttavia, il fisico asciutto e leggero gli permetteva una straordinaria rapidità. “Destrezza utile a fuggire” lo punzecchiava Brennu. In realtà, Hirpu faceva sfoggio della sua agilità con arrampicate fulminee su alberi e pareti rocciose, mettendo a frutto gli insegnamenti di Vindonno, suo padre, abile scalatore oltre che irriducibile guerriero.

martedì 23 maggio 2023

Hirpu, il cacciatore; la battaglia

 HIRPU, IL CACCIATORE


 La Battaglia:

Dalle testimonianze tramandati dai Latini sappiamo che i Liguri affrontavano il nemico in battaglia seminudi o nudi per mostrarsi il più possibile vicino allo stato animale selvaggio per incutere timore ai Romani molto meno robusti.


Si mostravano dipinti su tutto il corpo, portavano lunghe chiome impastate con argilla. Spesso tutto ciò che indossavano era dei calzari di cuoio, un cinturone e un collare di metallo ritorto, detto Torque che serviva loro per catalizzare l’energia nella testa.

Erano armati con lunghe lance, dette Bug, uno scudo bisogno, una spada scadente perché forgiata con metalli dolci e molto raramente, con arco e frecce che venivano considerate disonorevoli perché non adatte allo scontro fisico.

venerdì 19 maggio 2023

Hirpu, il cacciatore

 


Il gruppo di cacciatori ostentava visi tesi e fieri, traditi soltanto dagli occhi lucidi; un'emozione esaltata dal rito d’investitura: da loro sarebbe dipeso l’andamento dell’inverno.

Fra essi, in prima fila, v’era Hirpu, il 'lupo' nel suo idioma. Indossava la veste di lana appositamente tessuta da sua madre. Orgoglioso, impugnava saldamente il bug, la cui punta di metallo riverberava le fiamme sacre. Il giovane sosteneva stoicamente l’ondata di calore, che ne bruciava le ciglia e la punta dei capelli color rame. Esaltato, Hirpu ne respirava l’aria rovente, cercando uno spiraglio fra le fiamme da cui scrutare la bella Abala.

giovedì 18 maggio 2023

Hirpu, il cacciatore; l'incipit

 Incipit


  Il mondo degli uomini era ancora giovane, la natura selvaggia temprava i loro corpi, mentre gli dèi ne governavano il destino, elargendo gloria o sventura, assecondando i propri capricci.
Nel primo plenilunio d’autunno la luna splendeva come una regina, argentando la foresta di faggi, le cui foglie ingiallite annunciavano il finire della stagione dei mesi luminosi. 
Nel villaggio abbarbicato sulle pendici del monte, fervevano i preparativi per la grande caccia. L’intero pagu, clan, appartenente al popolo dei Graioceli, era adunato nel bosco sacro, per assistere alla cerimonia officiata da Ariobrigo, lo sciamano che, dinanzi a un monolite, il Mezunemusu, invocava la benevolenza di Belanu, dio della luce. Avvolto nel lungo mantello grigio, il cerimoniere intonava canti e preghiere per chiedere una caccia doviziosa: da essa, infatti, sarebbe dipeso l’approvvigionamento per i mesi neri dell’inverno; carne e pelli pregiate, da barattare con cereali e legumi coltivati dai popoli della pianura che, a levante, si estendeva lungo il corso del grande fiume. 
Lingua sacra e arcana quella del druvid; parole sospinte verso il cielo dalla forza divoratrice del fuoco. L’odore di resina bruciata s’espandeva per la radura, assieme al profumo di erbe aromatiche e polveri magiche che il sacerdote gettava nelle fiamme, provocando bagliori accecanti. Schierati su due file, i cacciatori formavano un semicerchio dinanzi al falò. I più giovani e inesperti erano disposti in prima linea, così che, inondati dal riverbero del fuoco, assorbissero l’energia sacra dispensata dagli dèi. Alle loro spalle s’ergevano, fieri e marziali, i veterani del villaggio.

mercoledì 17 maggio 2023

Hirpu, il cacciatore; la prefazione

 Prefazione


  Preceduto dalle proprie insegne, un giovane generale guidò la propria armata in un’impresa leggendaria. 
Assoggettata gran parte della penisola iberica, il generale Annibale Barca, detto il “leone” di Cartagine, aveva progettato la più grande azione militare mai intrapresa prima, con l’intento di aggirare Roma, l’acerrima nemica, per poi affrontarla in battaglia nel proprio territorio. 
Partito con novantamila fanti, dodicimila cavalieri e trentasette elefanti da Carthago Nova, valicò i Pirenei, attraversò la Gallia e risalì il Rodano, guadandone le acque con enormi zatteroni. Da lì iniziò la risalita per valicare le Alpi. 
Celtiberi della Spagna, frombolieri delle Baleari, Cavalleria della Mauritania, fanteria da Cartagine, Libici, Galli della Francia ed elefanti da battaglia, pagarono un duro prezzo con la perdita di uomini e animali per il freddo e gli stenti.
Oltrepassato il culmine estremo della catena montuosa, calò a valle in assetto da battaglia, con l’intento d’impressionare le tribù locali scoraggiandone eventuali scontri.

HIRPU, IL CACCIATORE: IL RIX

 


Il sistema sociale celtico prevedeva l’elezione del proprio condottiero, Rix, non per diritto divino o di discendenza, ma solo per acclamazione unanime, e dopo che quest’ultimo avesse dato dimostrazione concreta del proprio valore in battaglia e della propria saggezza e lungimiranza nell’amministrazione della tribù.

martedì 16 maggio 2023

HIRPU, IL CACCIATORE: la battaglia

 La Battaglia:

Dalle testimonianze tramandati dai Latini sappiamo che i Liguri affrontavano il nemico in battaglia seminudi o nudi per mostrarsi il più possibile vicino allo stato animale selvaggio per incutere timore ai Romani molto meno robusti.

Si mostravano dipinti su tutto il corpo, portavano lunghe chiome impastate con argilla. Spesso tutto ciò che indossavano era dei calzari di cuoio, un cinturone e un collare di metallo ritorto, detto Torque che serviva loro per catalizzare l’energia nella testa.

Erano armati con lunghe lance, dette Bug, uno scudo bisogno, una spada scadente perché forgiata con metalli dolci e molto raramente, con arco e frecce che venivano considerate disonorevoli perché non adatte allo scontro fisico.

lunedì 15 maggio 2023

HIRPU, IL CACCIATORE: abbigliamento Taurini

Come vestivano i Taurini 

Abbigliamento:

Sappiamo che, almeno nella prima età del ferro, le tecniche e le decorazioni dovevano essere molto simili a quelle golasecchiane. Quindi, i materiali erano lino, canapa e lana. Le tinture vegetali erano gialla, molto diffusa in Piemonte, rossa (robbia), blu (guado).



I mantelli erano di spessa lana infeltrita e idrorepellente, a volte decorati a scacchi. In genere erano corti, avvolti sulle spalle come delle stole e fermati con figure in bronzo. I mantelli spesso erano usati come cappucci.

La veste femminile era formata da un lungo pezzo di stoffa a telaio manuale nel quale, durante la tessitura, veniva ricavato il buco per la testa. Non c’erano cuciture perché simbolo di povertà. Aperta sui lati veniva trattenuta in vita da una cintura di cuoio con fibbia in bronzo.  Più la veste era lunga e larga più era considerata elegante. La sottoveste era in lino o canapa. Spesso la veste elegante era ricamata con fili rossi o blu, con motivi a spirali, triskel o simboli solari.

I calzari erano perlopiù dei mocassini in cuoio.

I gioielli consistevano in una collana di grani d’ambra, bracciale in bronzo o pasta di vetro.

domenica 14 maggio 2023

HIRPU, IL CACCIATORE; LA RELIGIONE

LE POPOLAZIONI LIGURI, GRAZIE AL LUNGO CONTATTO CON LE POPOLAZIONI CELTICHE, HANNO ACQUISITO CREDENZE E MITI PROVENIENTI DA QUEL MONDO. A PARTIRE DAL VII SECOLO A.C. I CORREDI FUNEBRI SONO SIMILI A QUELLI RISCONTRABILI PRESSO LE POPOLAZIONI DI CULTURA CELTICA.



Gli dèi di Hirpu:

Belanu, è una divinità protoceltica della luce, uno dei maggiori e più influenti tra gli antichi dèi europei per il quale si eseguivano sacrifici e riti collegati ai solstizi e perciò ai cicli solari dell'anno. Il teonimo Belanu è stato ritrovato su alcune iscrizioni scoperte nei pressi di Oulx e a Bardonecchia. Alcuni lo hanno accostato al dio Apollo della cultura mediterranea. La sua compagna era Belisma, dea del fuoco. Adorato dai LiguriIberiCelti continentali e insulari era noto per la sua influenza sulla luce solare e di conseguenza sull'agricoltura, sulla stagionalità, sulla temperatura, sull'allevamento e in pratica su ogni attività umana dell'epoca protostorica europea, sovrintendeva persino sull'illuminazione della psiche nell'accezione spirituale e mentale come guida alle innovazioni e invenzioni.

 

Tuotatis, era nella mitologia celtica il dio della guerra, della fertilità e della ricchezza, identificato secondo alcuni come l'equivalente del dio Marte romano. Il suo nome significa "padre della tribù", dal touta celtico che significa "tribù" o "gente". A Toutatis, che è anche conosciuto con i nomi di Albiorix (re del mondo) e Caturix (re della battaglia), erano offerti sacrifici umani per placare la sua ira.

 

Alator, protettore dei cacciatori, sembra che il suo nome significhi “colui che nutre il popolo”.

 

Bergusia era una dea celtica, consorte del dio Ucuetis, lei venerata come la dea della prosperità, mentre Ucuetis era un dio patrono degli artigiani.

 

Dispater, Antica divinità latina corrispondente al greco Πλούτων quale attributo di Ade in quanto «ricco» (Dis da Dives); come Dispater si configura quale il rovescio infero di Iuppiter. Nell’ambito del collegamento con le genealogie della mitologia greca, D. fu detto figlio di Saturno e di Ops e fatto signore, insieme con Proserpina, del mondo sotterraneo e dei tesori che la Terra cela. In suo onore si celebravano in Roma i giochi secolari.

 

 

 

 

sabato 13 maggio 2023

HIRPU, IL CACCIATORE; MABON

LE FESTE SACRE: MABON

Equinozio d’Autunno – 21 settembre

 


Mabon è il sabba dell’equinozio d’autunno, antica festività celtica che indica il penultimo ciclo dell’anno agricolo, quello che indica la chiusura della stagione dei frutti e l’imminente avvicinarsi della stagione del riposo, l’inverno.

Al tempo dei Misteri Eleusini, l’equinozio d’autunno segnava l’inizio della discesa di Persefone nell’Ade, quando la natura comincia a morire ed i primi freddi scendono sui campi.
Nella tradizione celtica vediamo invece il Dio che si avvia per tornare nel grembo della Grande Madre, dove verrà rigenerato e dal quale rinascerà in primavera a Imbolc.

È un tempo di equilibrio, dove la notte e il giorno sono ugualmente suddivisi, ma da questo momento la luce inizierà a diminuire a favore dell’oscurità.

È dunque un momento di preparazione all’inverno, dopo aver soppesato ciò che si è raccolto a Lughnasad.
Non sempre le stagioni ci regalano ciò che abbiamo seminato:
l’accettazione dei “frutti” ci insegna ad accogliere quello che la Terra ci dona, imparando a godere di ciò che si ha, anzichè vivere lamentandosi per ciò che manca.

Il potere dell’Acqua dell’Ovest, la magia di Mabon, è proprio questa: l’abbandono, l’accettazione e la preparazione alla trasformazione.

 

venerdì 12 maggio 2023

HIRPU, IL CACCIATORE; LUGHNASADH

LE FESTE SACRE: LUGHNASADH

Festa del raccolto – 1° agosto



Lughnasadh, chiamata anche Lammas o Festa del Raccolto, è uno dei passaggi della ruota dell’anno celtica e segna l’inizio della stagione dei raccolti. Festeggiarla simboleggia un ringraziamento alla Terra per i suoi doni.

Questo Sabbat è il primo dei tre dedicati al raccolto: il lavoro della Primavera e dell’Estate è finalmente ripagato con il primo raccolto dell’anno. Questo è noto come il periodo in cui le piante maturano e cedono i loro frutti e semi per il nostro consumo.

Lughnasadh rappresentava un momento di grande intensità per i popoli che vivevano di agricoltura: il momento della mietitura del grano poteva infatti significare abbondanza o carestia per l’anno a venire.
Era la festa più popolare e più sociale, a cui partecipavano proprio tutti, perfino le tribù in guerra, che facevano una pausa di due giorni.

La tregua era propizia per banchetti, giochi, corse di cavalli, scambi commerciali, per ascoltare poeti e musicisti in gara tra loro. Inoltre, si celebravano matrimoni, spesso per legalizzare la situazione delle coppie che avevano partecipato ai fuochi di Beltane, alle quali gli dèi avevano concesso il dono di una nuova vita.

 

giovedì 11 maggio 2023

HIRPU, IL CACCIATORE; BELTANE

LE FESTE SACRE: BELTANE

Calendimaggio – 1° Maggio


 

Beltane è il Sabbat con il quale i celti celebravano la fertilità della terra: esso festeggia la nuova vita ed è caratterizzato dal fuoco, dalla passione e dalla rinascita.

Il periodo di Beltane è il momento in cui l’energia maschile del Dio è al suo massimo grado di potenza. Altri simboli dell’energia fecondante sono le corna (vedi il dio cornuto Cernunnos), i bastoni, le ghiande e i semi.

Il simbolo di maggio più conosciuto – e forse anche il più antico – è l’Albero di Maggio o Palo di Maggio. Esso consiste in un grande palo alla cui sommità sono legati dei nastri, simbolo dell’albero cosmico (Yggdrasil) che regge l’Universo unendo Cielo e Terra.
E’ anche il momento di massima fecondità del grembo della Dea Madre: è la Terra, calda ed accogliente, che attende i frutti dei semi piantati ad Imbolc.

Beltane segna l’inizio dell’estate ed è un tempo per festeggiare, celebrare e gioire. È un momento per guardare avanti al futuro e per prepararsi ai mesi caldi che verranno. È anche tempo per amare e per unirsi nel sacro matrimonio che onora la fertilità della terra.

 

mercoledì 10 maggio 2023

HIRPU, IL CACCIATORE; OSTARA

LE FESTE SACRE: OSTARA

Equinozio di primavera – 21 Marzo



Ostara cade all’Equinozio di primavera, il giorno in cui giorno e notte hanno la stessa durata. Questo significa equilibrio ma anche transizione da una fase ad un’altra. Gli equinozi sono infatti il momento giusto in cui celebrare nuovi legami, ma anche rituali per lasciarsi alle spalle qualcosa. Insomma, tutto ciò che concerne il chiudere una situazione ed iniziarne una nuova.

Ostara, chiamata Alban Eilir nell’antico druidismo celtico, apre la stagione della semina ed è quindi un Sabba molto importante.
L’Equinozio di Primavera è il primo dei due momenti dell’anno solare in cui Luce e Tenebra si trovano perfettamente alla pari.
Contrariamente a quanto accade nell’Equinozio d’autunno però, in questo caso la Luce tornerà a splendere sulla Terra che verrà scaldata e risvegliata dal torpore invernale.

In tutto il mondo l’Equinozio è salutato da feste e riti legati a leggende sulla morte e la rinascita.
Ogni religione ha la sua Festa di Primavera sebbene ognuna dia ad essa un nome differente.
Nel paganesimo, come nella 
tradizione celtica, la Primavera è rappresentata dalla festa di Ostara, festa della rinascita e del rinnovamento sia dal punto di vista fisico che spirituale.

martedì 9 maggio 2023

HIRPU, IL CACCIATORE; IMBOLC

LE FESTE SACRE: IMBOLC

Candelora – 1° febbraio



Nella ruota dell’anno, Imbolc è la porta tra l’Inverno, ormai al suo declino, e l’imminente Primavera.
Questo passaggio rappresenta simbolicamente il transito dal “periodo oscuro”, caratterizzato dal freddo, dal buio e dalla morte portata dall’inverno, verso il rinnovamento del cosmo che si esprime con la rinascita della Natura.
La luce che è nata al Solstizio d’Inverno comincia a manifestarsi all’inizio del mese di Febbraio: le giornate si allungano poco alla volta e anche se la stagione invernale continua a mantenere la sua gelida morsa, ci accorgiamo che qualcosa sta cambiando.

Le genti antiche erano molto più attente di noi ai mutamenti stagionali, anche per motivi di sopravvivenza. Questo era il periodo dell’anno più difficile poichè le riserve alimentari accumulate per l’inverno cominciavano a scarseggiare. Pertanto, i segni che annunciavano il ritorno della Primavera erano accolti con uno stato d’animo che oggi, al riparo delle nostre case riscaldate e ben fornite, facciamo fatica ad immaginare.

lunedì 8 maggio 2023

HIRPU, IL CACCIATORE; YULE

LE FESTE SACRE: YULE

Solstizio d’Inverno – 21 dicembre



Che significa “Ruota“, quindi una data che segna il punto definitivo nella Ruota dell’Anno.

I Sassoni celebravano Modranect il 24-25 Dicembre. Significa “la notte della Madre” ed era la celebrazione della nascita del Sole.
Questa festa è stata adattata dalla tradizione pagana nella celebrazione più famosa del Natale.

Dunque, la Luce nasce dall’Ombra.
La Dea dà vita al Dio, rappresentando la rinascita della luce. Gli spiriti della Terra riposano, preparandosi al lavoro che, con la Primavera, li aspetta per ridare alla Terra i nuovi boccioli di vita.

A livello personale, il concetto di Rinascita della Luce ci chiede di compiere un salto di qualità, un passo di avanzamento nel percorso spirituale che abbiamo intrapreso. Si tratta della chiusura di un ciclo e della riapertura dello stesso ma su un piano più avanzato dopo il lungo periodo di introspezione che fa capo a Samhain.

È il tempo in cui bisogna lasciare andar via le nostre paure, i nostri dubbi, le vecchie idee e i progetti finiti. Qualsiasi cosa della nostra vita che ci tiene lontani dai nuovi inizi che ci porteranno ad una nuova crescita.
E’ il momento di lasciare alle spalle il passato e di camminare verso una nuova Luce.

Yule è la promessa del ritorno delle energie di Primavera ed Estate che ci garantiranno la fecondità della terra e quindi il nostro sostentamento. È una Festa di Luce e di allegria, scintillante e pervasa dallo spirito della rinnovata certezza di calore e prosperità futura.

 

sabato 6 maggio 2023

HIRPU, IL CACCIATORE; SAMHAIN

 LE FESTE SACRE: SAMHAIN

Capodanno celtico – 1° novembre



Nella Ruota dell’anno celtico, Samhain corrisponde al Capodanno.
L’importanza che la popolazione celtica attribuiva a Samhain risiede nella loro concezione del tempo, visto come un cerchio suddiviso in cicli. Il termine di ogni ciclo era considerato molto importante e carico di magia.

Il passaggio dall’Estate all’Inverno e dal vecchio al nuovo anno veniva celebrato con lunghi festeggiamenti.
La parola Samhain deriva probabilmente dal gaelico “Samhuinn” e significa fine dell’Estate.

I Celti credevano che alla vigilia di ogni nuovo anno, nella notte tra il 31 Ottobre e il 1° novembre, gli spiriti dei morti, che vivevano in una landa di eterna giovinezza e felicità chiamata “Tir nan Oge”, potessero unirsi al mondo dei viventi, provocando in questo modo il dissolvimento temporaneo delle leggi del tempo e dello spazio e facendo sì che l’aldilà si fondesse con il mondo dei vivi, permettendo agli spiriti erranti di vagare indisturbati sulla Terra.

Samhain era, dunque, una celebrazione che univa la paura della morte e degli spiriti all’allegria dei festeggiamenti per la fine del vecchio anno. Durante la notte del 31 ottobre si tenevano dei raduni nei boschi e sulle colline per la cerimonia dell’accensione del Fuoco Sacro.
Alla fine del rituale tornavano al villaggio, facendosi luce con lanterne costituite da rape intagliate al cui interno erano poste le braci del Fuoco Sacro. La festa durava tre giorni, al termine dei quali ci si mascherava con pelli di animali per spaventare gli spiriti e farli tornare nell’aldilà.

 

 

venerdì 5 maggio 2023

HIRPU, IL CACCIATORE; INSUBRI E BOI

I NEMICI DEI TAURINI: INSUBRI E BOI

 


INSUBRI

Popolazione celtica, originaria della Gallia transalpina e stanziatasi nell’Italia settentrionale, tra il Ticino e il Lago di Como, sullo scorcio del 5° sec. a.C. Loro centro principale fu Mediolanum (Milano). Nel 225 a.C., collegatisi con altre tribù celtiche, gli I. mossero contro i Romani ma furono sconfitti a Talamone, e quindi sottomessi da Marco Claudio Marcello dopo la battaglia di Clastidio (222). Alleati di Annibale durante la seconda guerra punica, furono definitivamente domati nel 194. Ottennero la cittadinanza romana nel 49 a.C.

 

BOI

Popolazioni galliche che parteciparono tra il 450 e il 400 a. C. all'invasione dell'Italia settentrionale. Si stabilirono a mezzogiorno del Po, nella regione di Mutina (oggi Modena) e di Felsina (oggi Bologna), tra gli Anamari che occuparono la parte occidentale della regione cispadana, nei pressi di Piacenza e di Casteggio, e i Lìngoni che ne occuparono l'estrema parte orientale. Come gli Insubri tra i Galli transpadani, così i Boi furono i più potenti tra i Galli trasmigrati a mezzogiorno del Po; sì che s'impadronirono della città principale dell'Etruria cispadana, Felsina, la quale, dal loro nome, venne poi chiamata Bononia.  

Stanziatisi in Italia ebbero coi Romani guerre molteplici. Non è noto se all'incursione dei Senoni nell'Italia centrale nel 284 a. C. i Boi abbiano partecipato. Ma, contrattaccati e vinti i Senoni subito dopo, i Boi discesero nel 283 a vendicarli, alleandosi con gli Etruschi. Nella battaglia al Lago Vadimone, di quell'anno stesso, essi furono pienamente disfatti, e l'anno dopo (282 a. C.), avendo ricevuta una nuova sconfitta dal console Q. Emilio Papo, chiesero e ottennero la pace.

La guerra riarse nel 238, senza peraltro notevoli successi per i Romani; e poi negli anni 237-236. In quest'anno fiere discordie scoppiarono nel campo dei Boi raccolti contro la colonia latina di Ariminum (Rimini); poi nel 225 la guerra si riaccese, con la partecipazione degl'Insubri, dei Lìngoni, dei Taurini, e dei Gesati transalpini. Dopo un primo successo riportato contro i Romani presso Chiusi, i Galli subirono una disfatta irreparabile al Capo Telamone (a. 225 a. C.); e uno dei vincitori, il console L. Emilio Papo, penetrò allora per la prima volta nel cuore del paese dei Boi, devastandone il territorio. I consoli del 224 invasero nuovamente il paese, e costrinsero i Boi alla pace con la cessione di parte del loro territorio. Dipoi una sollevazione di Boi fu provocata dalla deduzione delle colonie di Cremona e di Placentia; e i Romani furono lungamente molestati nella valle del Po durante la seconda guerra punica. Finalmente i Boi vennero definitivamente assoggettati nel 191 a. C. da P. Cornelio Scipione Nasica, cugino dell'Africano, e privati di metà del loro territorio. Qualche anno dopo, nel 189 a. C., fu dedotta a Felsina una colonia latina che si denominò Bononia.

 

giovedì 4 maggio 2023

HIRPU, IL CACCIATORE; GLI ALLOBROGI

I NEMICI DEL SUO POPOLO: GLI ALLOBROGI

 


Gli Allobrogi erano una bellicosa tribù celtica della Gallia ubicata tra il fiume Rodano e il lago di Ginevra nelle odierne Savoia, Delfinato e Vivarese. Le loro città sono oggi nell'area di Lione, Saint-Étienne e Grenoble, nel moderno dipartimento dell'Isère e nell'odierna Svizzera. La loro capitale era Vienne e il territorio da loro occupato era conosciuto come Allobrogia: ancora oggi una montagna appartenente al Massiccio del Monte Bianco viene chiamata Pointe Allobrogia, molto probabilmente un ricordo linguistico dell'antica occupazione da parte di questa tribù gallica.

Sono menzionati per la prima volta nelle fonti da Polibio, che dice che non riuscirono a resistere ad Annibale quando questi attraversò le Alpi nel 218 a.C.

 

mercoledì 3 maggio 2023

HIRPU IL CACCIATORE; IL CIBO

 Bere e mangiare tra i Celti: le fonti letterarie




Gli autori e le fonti antiche che descrivono lo stile di vita dei Celti sottolineano la loro passione per le grandi feste collettive, il cui momento culminante era proprio il banchetto: si trattava infatti di occasioni sociali in cui si esibiva e legittimava il prestigio, si celebrava il valore militare, si stringevano alleanze e si scambiavano doni. Posidonio di Apamea racconta: ‘Quando in molti mangiano insieme, si siedono in cerchio, ma sta nel mezzo, come il direttore di un coro, il più potente, colui che si distingue dagli altri per il valore in guerra, per il lignaggio o per la ricchezza. Vicino sta il suo ospite, e di seguito per ordine da ogni lato ciascuno secondo il proprio rango. E mentre gli uomini armati con scudo ovale stanno dietro, gli armati di lancia stanno di fronte in cerchio … lo schiavo serve percorrendo il cerchio da destra a sinistra; in questo modo è servito’ (Ateneo, I sofisti a banchetto IV, 152 b-d)

COSA MANGIAVANO:

I cereali coltivati nell’età del Bronzo sono il grano tenero o il farro, la spelta, il miglio e l’avena; nell’età del Ferro, invece, l'orzo, il panico e la segale.


Farro e Spelta, Avena e Segale: per la panificazione

Nelle zuppe invece ci finiva un po' di tutto soprattutto le leguminose (fave, piselli, lenticchie)

Orzo per minestre asciutte (il panicium, l’antenato dell’attuale Panissa vercellese), pane, birra e polente.

Miglio: minestre, polente

Segale: per la panificazione

Legumi come Lenticchie (molto presente nella cucina celtica) e Cicerchie.

Nocciole e Noci molto usato il loro olio per condire le pietanze.

Burro, lardo e cotiche

Formaggi, fra cui gli erborinati

Gocce di pino: ricetta taurina per eccellenza, antenate delle caramelle per la tosse. I taurini prendevano le gemme del pino cembro cuocendole nel miele facendole caramellare.

Virtis: germogli di luppolo selvatico

Maiali, ovini e caprini tabù era la carne dei volatili poiché considerati messaggeri degli dèi.

Castagne bollite o come farina per il pane

Cotognata, confettura di mele cotogne

cacciagione

Idromele: bevanda sacra per eccellenza 

martedì 2 maggio 2023

HIRPU, IL CACCIATORE; I DRUIDI

I DRUVID (DRUIDO)

 


La parola celtica era probabilmente dru-vis o druvid, da dru=molto e wis= sapiente. Il titolo di Druido si acquisiva dopo anni di durissimi studi, solo i migliori allievi del maestro potevano aspirare alla carica. Il Druido supremo era un importante alleato del rix. I druidi non potevano diventare rix in quanto depositari della vita spirituale e non politica e militare, ma il rix non aveva alcun potere sulla loro parola e mostrava rispetto verso la loro autorità.

L’albero sacro era la quercia, e il boschetto di querce era un luogo sacro. Altro albero importante era il tasso da cui ricavavano il vincastro sacro in uso durante le cerimonie e i riti magici.