di Pierangelo Colombo

lunedì 31 ottobre 2022

La notte degli spiriti

 La notte degli spiriti


  La notte è una frontiera da esplorare come quella dei pionieri, illudendosi di poterla domare, conquistare. La notte è il regno di mezzo, dove possiamo sfiorare l’inconsistente come il buio, che non esiste, essendo mancanza di luce. La luce è un fatto, è misurabile. Il buio no, eppure è tangibile nella sua incorporeità. La notte è una zona franca dove si rimescolano le leggi della razionalità e i solidi si stemperano nell’oscurità che invade lo spazio, neutralizzando distanze e profondità. I sussurri acquistano la potenza degli strilli, una carezza può sciogliere il ghiaccio e l’immaginazione, attraverso i sogni, scansa la vita reale.
  Il mio Dio deve soffrire d’insonnia oppure ha l’animo felino: sonnecchia di giorno per agire indisturbato nella notte. Sta di fatto che i lanci principali dei dadi che muovono la mia vita, li ha tirati proprio di notte; dal mio primo vagito alla battaglia febbrile contro un’infezione bastarda, dal saggiare l’inebriante euforia nel farmi padre al devastante strazio nel rendermi orfano del mio.
  Il dare e il rendere, l’arrivo e la partenza. Quanta ipocrisia nell’abusato dire “dono della vita”. Chiamiamo le cose con il proprio nome! Tutt’al più la vita è in locazione, un comodato d’uso. I doni non si rendono, se non per mera rabbia al termine di un amore. Nascere non è stata certo una nostra scelta: ci ritroviamo scaraventati in un mondo meraviglioso e terribile al tempo stesso, con una cambiale di resa vita in mano, la cui scadenza ci è ignota. Il destino concede o reclama e, arbitrariamente, può troncare un percorso ancora da costruire, senza concedere il tempo necessario per lasciare traccia di noi.
  La prima infatuazione non si scorda mai; nel bene e nel male, la tempesta d’emozioni che attraversiamo saggiando da vergini la forza vitale, che è l’amore, solca un segno. Cicatrici e sogni si rimescolano imprimendosi nella memoria. Quando poi l’incontro è tanto breve quanto intenso, si fa amore bucolico, perfetto nell’assenza di grinze; la mancata quotidianità impedisce l’agire del tempo usurante sul sentimento, lasciandolo intatto, puro e completo. 
  Uno schianto inevitabile e bastardo ha spezzato i sogni di una ragazzina dagli occhi miele di castagno, rendendone immortale l’immagine, ma lasciando incompleta la sua opera. E così, in una notte di arida estate, un amore ancora agli albori è restato indefinito, un progetto faraonico che sarebbe stato degno d’essere annoverato fra le meraviglie dell’universo, ma ormai irrealizzabile. L’amore perfetto.
  Lo stesso destino canaglia non perde occasione, in momenti di sconforto, per riproporre quella domanda granitica e disarmante: come sarebbe stata la vita con lei? Come può, chiunque, reggere il confronto con l’icona dell’amore puro? 
  E la malinconia si fa fiele; l’assenza si manifesta in un vuoto destabilizzante, che dissemina la notte di sogni e desideri impossibili.
  In istanti come questi, in cui l’imbrunire d’autunno mi coglie solo in questa stanza, lascio che i pensieri materiali si stemperino nell’aria tiepida, mentre la testa, svuotandosi, capta il risveglio della vita che sonnecchia nel giorno. È l’ora in cui le creature della notte si stiracchiano, pronte a vivere nella protezione delle tenebre. La civetta plana silente in un primo volo rapido, mentre l’occidente si tinge di rosa e violetto. Le Pleiadi, figlie di Atlante, si mostrano timidamente guidando i pochi che, come me senza bussola, cercano una rotta. 
  Mi pare di captare il respiro delle travi della soffitta e in questa notte mistica la casa intera sembra prendere vita. È la notte degli spiriti, la vigilia di Ognissanti. Una notte che si perde nel tempo, nata ancor prima del nostro Credo, quando l’uomo e gli dèi si confrontavano quotidianamente e i molti quesiti rivolti alle stelle, a volte, ricevevano risposte. 
  È la notte di Samhain per i Celti, la notte che precede l’alba, confine tra i giorni della luce, quelli estivi, con quelli delle tenebre, l’imminente inverno. Lo stesso confine che divide il mondo dei vivi da quello dei morti che, proprio in questa notte, si fa così sottile da poter essere attraversato. Gli antichi dicevano che chiunque volesse rivedere i propri cari defunti, in quella che era la notte delle ombre, poteva scoperchiare il sepolcro ed entrarvi e l’unica condizione era rimanere nell’Aldilà per un anno intero, sino al successivo Samhain. Si correva un solo pericolo: che il caro defunto decidesse di tenersi vicina la persona amata, impedendole di tornare indietro.
  E qui, ora, mi chiedo a cuor scoperto, a cosa sarei disposto a rinunciare per rincontrare l’insoluta completezza di me stesso? Sarei disposto a lasciare ciò che ho costruito sulle macerie di un sogno perduto per poterla stringere, anche se per una notte sola?
  Nessuna esitazione ripensando ai suoi occhi limpidi, a quella piccola voglia, una goccia d’ambra, poco sopra la fossetta destra, alla zazzera di capelli corvini dove affondavo le mani in carezze. Riudirne la voce. 
  Nessun indugio pur di riabbracciarla, avvertirne il respiro sul collo, il profumo della pelle e i seni acerbi aderire al mio petto. Potersi finalmente sfamare in quel lauto banchetto promesso, ma sospeso in una chimera. Amarsi riappacificandomi finalmente con Dio e con il mondo, dopo l’odio generato dallo strazio di quei giorni laceranti.
  Di notte, però, dove tutto è possibile e i sogni sembrano farsi tanto concreti da poterli sfiorare, i sensi prendono il sopravvento e i sentimenti si amplificano. E come l’amore può farsi forza invincibile, anche il dubbio può intrufolarsi nell’animo, rendendo ogni cuore pavido dinanzi al nulla. Le domande si sovvertono facendosi tarli che indeboliscono la volontà. Sarei mai stato alla sua altezza? Avrei saputo renderla felice e scalare il piedistallo su cui l’avevo deposta? 
  Forse sarebbe stato in ogni caso un sogno irrealizzabile, un’utopica meraviglia il cui peso mi avrebbe travolto come una valanga. Il tempo, come una gramigna, avrebbe infestato quella terra promessa?
  Le domande istigate dal dubbio si susseguono. Allora le certezze odierne si palesano confortanti; forse è stato meglio così. Ma non posso controllare il fremito che nasce ripensando alle sue carezze, a quel vuoto allo stomaco che m’assale al solo pensarla. Il tempo lontano da lei è tempo dolente e, sovvertendo ogni legge fisica, s’è fatta il fulcro del mio universo. La sua mancanza è un buco nero da cui non posso sfuggire. Forse, questa notte è giunto il momento di lasciarsi cadere nel vortice, di raggiungerne il ricordo vivido e, giocandosi tutto, confessare a me stesso, prima di tutti, che ancora la amo. Ci si può lasciare alle spalle il dolore, forse, elaborando il senso d’impotenza dinanzi al furto della felicità e lasciandosi trasportare dalla corrente senza opporsi, aggrappati ai ricordi come a un relitto. Tuttavia, inevitabilmente, non si può estirpare quel seme che, gettato in noi da uno sguardo e germogliato con un sorriso, ha messo radice nel profondo della nostra anima.
  Questa è la notte degli spiriti, la notte in cui, allungando la mano, prego Iddio che mi perdoni e, mosso a misericordia, mi conceda un suo sguardo attraverso gli occhi di lei.     



Racconto inedito scritto da Pierangelo Colombo.
Condividete pure, ma non dimenticate di citarne l'autore 😉

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