di Pierangelo Colombo

giovedì 2 marzo 2023

Aspettando lo Strega: il quarto gruppo proposto

 Ecco il quarto gruppo di venti titoli proposti dagli Amici della domenica per la LXXXVII edizione del Premio Strega



Piero Balzoni

Vita degli anfibi

Alter Ego


Presentato da

Paolo Di Paolo

Come ogni autentico scrittore sa, un romanzo si gioca tutto sulla voce. Quella che prende possesso della pagina in Vita degli anfibi di Piero Balzoni non è solo persuasiva e avvolgente, ma è anche portatrice di una speciale intelligenza narrativa. È insieme la voce di una bambina, di una ragazza, di una donna; condensa tempi diversi di una stessa vita (come, d’altra parte, è per una voce umana reale) facendo avvertire lo scarto fra l’uno e l’altro, come un’intermittenza o un singhiozzo. Questa voce racconta un’assenza, la interroga, la analizza: un padre che all’improvviso scompare, si sottrae, e non lascia traccia. La figlia cresce in una orfanezza che suppone e pretende che sia transitoria: insistendo a cercare indizi, segni, nei giornali e dappertutto. Aspetta, e in quell’attesa il tempo passa, e produce memoria. La vera sostanza di queste pagine, e di ogni impresa letteraria. Il paesaggio lacustre interviene, parla, ma con una sua lingua indecifrabile. È affascinante come Balzoni – per via di stile – riesca a impedire al suo stesso romanzo di farsi risoluzione di un enigma. Perché la posta in gioco è più alta, e più emozionante; la sfida è raccontare in modo inusuale come si cresce, o si comincia a invecchiare, nell’epoca prolungata di una perdita, nell’essere e restare senza qualcuno. Monchi, spezzati. La verità non riguarda solo i personaggi: rimanda ai lettori la sensazione di essersi visti allo specchio – nell’attendere (futuro o già in corso) chi non può tornare. E misteriosamente, quasi inspiegabilmente, seguitando a vivere.


Maura Chiulli

Ho amato anche la terra

Hacca


Presentato da

Raffaele Nigro

Seguo da tempo l’esperienza narrativa di Maura Chiulli, una delle voci più interessanti dell’Abruzzo, una regione che ci ha mostrato con la Di Pietrantonio come sia fondamentale nella nostra letteratura ascoltare l’espressione creativa della provincia. E suggerisco con convinzione la lettura di questo romanzo – monologo venato di poesia, costruito sullo struggente conflitto tra la voce narrante e il proprio corpo. Due soggetti che non riescono a trovare un punto d’incontro tra loro e che danno luogo in questa dissonanza a un dramma espressionistico di grande attualità.

Allargarsi al punto vita è un disastro, in un tempo in cui tutti sognano di essere magri, e vedersi crescere la pancia, il petto e le cosce è insopportabile. Questo è il dramma dei drammi nel tempo in cui viviamo, abitato da creature efebiche e smagrite, da indossatrici filiformi e Maura Chiulli sa dare voce al corpo deformato della sua protagonista. Originaria di Pescara come l’autrice di questo romanzo, quarantacinque anni, l’io narrante di Ho amato anche la terra desidera sparire, perché vorrebbe essere amata ma si sente al contrario solo un corpo pesante e inguardabile che tutti rifiutano. Così quando il gruppo nel quale si ritrova a trascorrere momenti di allegria la bolla con sgraziato divertimento come “porco”, un gioco anche banale si trasforma in dramma. Il compagno, Marco si è allontanato proprio perché è disgustato dai chili di troppo che la compagna sparge nel letto e persino Martina, l’amica del cuore, non può fare a meno di ridere quando sono davanti allo specchio. Così lei si ritrova afflitta da profonda solitudine nella sua casa rifugio e prigione di Centocelle, a Roma, dove è venuta ad abitare dopo la laurea in Economia e nella piccola banca di periferia dove ha trovato lavoro. La lotta di questa donna si scatena dunque contro il proprio corpo, con il quale non riesce a trovare un punto di accordo. Eppure c’è stato un tempo, in età adolescenziale, quando quel corpo ha seguito docilmente il desiderio di chi lo possedeva, si è assoggettato a dimagrire e a darle conforto. Allora anche mamma e papà si sono mostrati più dolci con lei, hanno mostrato di sentirsi fieri e felici per la sua presenza. Poi quel momento di magia è tramontato, man mano che i chili crescevano e il grasso debordava.

Chiulli riesce con un monologo incalzante e in un linguaggio quotidiano a far parlare il corpo stesso, assegnandogli un vocabolario e una voce propri, costruendo attraverso i gesti una geografia emotiva che sorprende il lettore, pur mostrandogli ciò che gli è già noto. È dunque proprio la scrittura a esaltare la narrazione, in una continua alternanza di tensione e grazia, ferocia e delicatezza, gioia e malinconia.



Marianna Crasto

Il senso della fine

effequ


Presentato da

Laura Pugno

Può la fine del mondo, una fine del mondo a bassa intensità – not with a bang but with a whimper, non con uno schianto ma con un lamento, come per il T.S. Eliot di The Hollow Men –, renderci, finalmente, capaci di amare?

Al suo primo romanzo, Marianna Crasto – già giovane finalista del Premio Italo Calvino per l’inedito, che negli ultimi anni ci ha dedicato molte intense sorprese e non ultima questa – firma una climate fiction dei sentimenti, dove la degradazione terrestre, di cielo, suolo e acque, improvvisamente diventata e dichiarata irreversibile, trasforma ogni gesto, compiuto o non compiuto, in una incessante linea d’ombra, in una domanda sul destino: come vuoi vivere? come vuoi morire? chi vuoi essere quando manca poco, davvero poco, prima che tutto non esista più?

Proprio la domanda che la protagonista, che vive una vita minima – la vita di ognuno di noi? – e giovane, al Sud, in provincia, in un perimetro di gesti rassicuranti nella loro ripetitività, in non-luoghi commerciali dove tutto non-accade e proprio in questo non accadere trova senso, ha sempre cercato di evitare, fino a rendersi conto che a volte la migliore protezione contro un pericolo è andargli dritto incontro. Se l’attaccamento evitante, ansioso o sicuro come da teorie di John Bowlby – attaccamento non solo all’amore, ma alla vita nel senso più ampio o al nostro danneggiato pianeta – fosse un romanzo, sarebbe Il senso della fine di Marianna Crasto.




Elisa Fuksas

Non fiori ma opere di bene

Marsilio


Presentato da

Francesco Rutelli

Non fiori ma opere di bene è un viaggio reale e metafisico in una città, che è Roma, e in un suo quartiere che è anche il suo storico cimitero, e che diviene campo di una battaglia contro lo spazio, il passato, la morte.


Elisa Fuksas gioca abilmente con il tempo, nemico e amico, che trasforma tutto e sembra rendere impossibili anche le cose più semplici: cercare la tomba di un misterioso nonno lituano morto nel 1950 e sepolto appunto al Verano.

Trovare e capire le nostre origini è esercizio difficile e riappropriarsene richiede lavoro e immaginazione. Per farlo la protagonista si perde nella città dei morti, molto simile a quella dei vivi, cerca una tomba che è metafora di tutte le sparizioni e degli spariti di qualsiasi vita, per poi capire che in fondo non è così importante arrivare a una soluzione. Grazie a una lingua cristallina e lucida il romanzo apre a interpretazioni e riflessioni sulla paura della fine, certo, ma di contro e inevitabilmente sulla vita e i suoi continui cambi di stato: i ricordi, le verità, un amore che invecchia, le idee che scadono.

Non fiori ma opere di bene fonde con ritmo, intelligenza e ironia tempo e assenza, perché è un libro sull’assenza di tempo, sull’anti-nostalgia; così facendo ci obbliga al presente, pur non parlandone mai.


Camilla Ghiotto

Tempesta

Salani


Presentato da

Alberto Galla

Si tratta di un sorprendente esordio letterario.

Camilla Ghiotto unisce ad una scrittura di altissimo livello un plot narrativo estremamente innovativo.

Non si tratta di un semplice memoir o di un romanzo di formazione, come ce ne sono tanti, ma di un vero e proprio percorso alla ricerca della propria identità attraverso una scansione dei capitoli che alterna le vicende del padre ventenne partigiano, attingendo a documenti originali, a quelle della protagonista ventenne del XXI secolo.


Michele Greco

In buone mani

Scalpendi


Presentato da

Luca De Gennaro

L’autore, partendo da una traccia autobiografica, racconta della malattia del figlio e della morte del padre, esperienze improvvise e concomitanti che determinano uno stravolgimento della vita del protagonista e di chi gli sta vicino; a partire da questi eventi e dallo smarrimento che ne deriva viene offerta al lettore una riflessione su temi universali come il lutto, la paura, la compassione e l’amore in uno stile lucido e misurato, privo di retorica, che coinvolge senza cercare facili scorciatoie.




Sandro Gros-Pietro

Totocælo

Genesi


Presentato da

Corrado Calabrò

La vertiginosa ascesa sociale ed economica di una ragazza tailandese, costretta a prostituirsi giovanissima, dalla Tailandia a Torino, a Londra. Il racconto transfigura, in una progressione della fantasia, vicende della nostra realtà. Rimane impressa, in particolare, la palpitante descrizione della durissima vita a Bangkok nel periodo di transizione della seconda metà degli anni ′60.



Francesca Guercio

Distopia pop

Alessandro Polidoro Editore


Presentato da

Angelo Piero Cappello

La materia narrativa risulta distribuita su tre livelli diegetici: il primo livello, Cronografia, i cui capitoli sono ambientati sul pianeta Terra, in cui Clotilde, una geniale giovane storica dell’arte, impegnata a lottare con il precariato della sua esistenza, in una società in cui è sempre più difficile trovare una stabilità lavorativa ed emotiva, ma che trova un suo modo per salvarsi, un salvagente in questo mare di incertezze: la certezza della cultura, dell’arte, della poesia.

Parallelamente, su Un altro piano, veniamo catapultati nella BASE FATO della «commissione di osservazione artistica istituita dal consiglio superiore per la valutazione e la selezione delle razze cosmiche». Gli extraterrestri, per comprendere il genere umano, hanno il compito di analizzare le canzoni pop che hanno segnato la storia della musica umana, dai Beatles a De André.

Tra questi due mondi paralleli si insinuano, come una sorta di coro nelle tragedie greche, i commenti del Corsivo ortogonale, affilati e taglienti lacerti in cui la punteggiatura svanisce per lasciare spazio a un breve flusso di coscienza descrittivo e disordinato, spesso ermetico e nebuloso. Che è poi quello che, in genere, passa confusamente nella testa di una persona e che, se trascritto senza correzioni, faticheremmo a comprendere.

Un libro che riesce a unire con la genialità ideativa dell’autrice e la maestria compositiva di un linguaggio sempre in bilico tra ironia e tragedia la ragione e i sentimenti, la precarietà e la stabilità, il doloroso incedere della quotidianità con una speranza sempre presente, anche se a volte lontana. La rivelazione di un talento narrativo.


Laura Imai Messina

L’isola dei battiti del cuore

Piemme


Presentato da

Antonio Pascale

Propongo L’isola dei battiti del cuore di Laura Imai Messina, pubblicato da Piemme, per tre motivi. È un racconto originale e profondo, non ovvio, nemmeno scontato di un incontro, tra un illustratore di quaranta anni e un bambino di otto. Ognuno lavora con i suoi strumenti, l’adulto con l’immaginazione e la fantasia, e il bambino col gioco, l’illogicità e una certa malinconia. L’incontro è proficuo per i personaggi del libro e per i lettori. Il secondo motivo è il tema della memoria, tema ignorato da tanti, ma fondamentale perché se non riflettiamo su cos’è e come funziona la memoria non possiamo riflettere su chi siamo e dunque non possiamo raccontarci. Questo libro lo fa, è infatti anche un’indagine sulla memoria e dunque sulle possibilità della narrativa. Il terzo motivo è l’isola di Teshima nel sud-ovest del Giappone, dove si trova l’Archivio dei Battiti del Cuore, meta dell’emozionante viaggio finale dei due protagonisti. Un archivio che raccoglie le pulsazioni di persone di tutto il mondo, l’archivio dei nostri cuori e delle differenze tra le varie pulsazioni, ogni pulsazione è un racconto, l’insieme è una memoria, l’archivio altro non è la fantasia e la bravura di Laura Imai Messina che ha scritto questo bellissimo romanzo che merita un riconoscimento.




Vincenzo Latronico

Le perfezioni

Bompiani


Presentato da

Simonetta Sciandivasci

Anna e Tom sono due nomadi congiunti. Italiani emigrati a Berlino, abitano e lavorano in un appartamento fotogenico, integrati nella comunità urbana di berlinesi adottivi, fatta di adulti esordienti, operosi e progressisti. Tutti molto simili a loro. Non c’è neanche un parvenu (e che sollievo).

Si sono trasferiti perché volevano di meglio: volevano stare bene. E stanno bene. Un bene placido e stabile, che contiene e dà forma al loro amore, e che a un certo punto comincia a impensierirli. Si stanno accontentando? Perché tutto li lambisce e niente li segna? La libertà è la scomparsa della tensione? Dalla casa ai ruoli alle relazioni, tutto quello che hanno costruito li rispecchia: non hanno obbedito che a loro stessi. Eppure, anche quella loro realtà si rivela insoddisfacente, estranea, forse persino inautentica, come se, nel crearla, avessero usato le mani e i sogni di qualcun’altro. Qui risiede la ragione profonda per cui siamo migranti e nomadi: non aderiamo mai fino in fondo, mai per sempre, alla vita che facciamo, e non c’è modo di confezionarne una che prima o poi non ci si rivolti contro, che non ci risulti artefatta, e allora dobbiamo poterci spostare. Finiamo sempre con il prosciugare i territori, le case, gli affetti, le soddisfazioni.

Latronico è questo che indaga, e lo fa attraverso una storia d’amore perché indaga anche l’amore, e cosa in questo tempo lo alimenta e lo struttura.

Lo propongo perché non conosco altri romanzi che raccontino la migrazione come spinta, inquietudine, e natura dell’uomo, arcaica e futura. Non conosco altri romanzi interessati, in questo modo, al presente. Non conosco altri scrittori capaci di farmi dire che Sally Rooney si è sbagliata, sul conto della sua generazione, che poi è la stessa di Latronico, e anche la mia: la nostra ambizione non è essere persone normali. L’ambizione di Anna e Tom è potersi definire nel cambiamento, riconoscersi senza doversi identificare e avere «un cuore che batte più rapido e più lento, insieme». Lo propongo per la scrittura, così precisa da mettere in comunicazione e a nudo i protagonisti senza mai farli dialogare: non una parola tra virgolette. Lo propongo perché dà un contorno solido e luminoso alla dimensione morale della mia generazione. E perché è un romanzo senza intenzioni: a Latronico interessa lo sguardo, e basta.


Laura Marzi

La materia alternativa

Mondadori


Presentato da

Veronica Raimo

Ho partecipato a un incontro in un carcere femminile insieme a Laura Marzi ed ero ammirata dal rigore, dalla complessità e dalla dolcezza delle sue riflessioni e delle sue risposte alle detenute.

Sono tre cose che ho ritrovato nel suo romanzo d’esordio, La materia alternativa, ed è per questo che sono felice di presentarlo al Premio Strega di quest’anno. La materia alternativa è un libro che segue due piani paralleli e irrimediabilmente intrecciati, quello dell’insegnamento in un istituto superiore e quello della vita personale di una giovane insegnante precaria. È un romanzo che affronta due temi sempre a rischio di retorica: la scuola e il desiderio femminile, e lo fa nel modo più intelligente possibile, attraverso una dimensione privata che diventa politica. Al determinismo sociale di una scuola classista e di una vita sentimentale che si può risolvere solo nel coronamento di una vita di coppia, Marzi ci ricorda costantemente che esiste un’alternativa. Per me il senso della letteratura è questo: non la ricerca di una catarsi, ma della possibilità di un’altra via, anche se non abbiamo alcuna certezza che sia quella giusta.


Elena Mearini

Corpo a corpo

Arkadia


Presentato da

Ilaria Catastini

Corpo a corpo, di Elena Mearini, è un noir psicologico costruito come una sequenza di round, quasi fosse un incontro di boxe, sport che fa da sfondo e da elemento strutturale del romanzo e che lega l’allenatore di pugilato Mario, il protagonista Stefano e le due figure femminili, centrali nella trama ma di sfondo nel chiaroscuro della narrazione.

Il ring che rappresenta la vita, con l’attacco e la difesa, lo stare in guardia, lo studio dell’avversario. Catturare il momento giusto per assestare il colpo, non fermarsi mai. Nel ring della vita si sfidano anche l’amore e la volontà di controllare l’altro; si sfidano il fato e la capacità di governare il proprio destino.

È in questo ring simbolico della vita che Marta sfida in un corpo a corpo la sorella Ada, la ragazza perfetta e inarrivabile, andata incontro a un tragico destino.

E un ring diventa il rifugio di Stefano dopo aver ucciso Marta; su quel ring altrettanto simbolico Stefano lotta con se stesso svelando al lettore, attraverso le pagine di un diario, il colpo di scena inquietante che metterà in luce la mente psicologicamente disturbata di Marta e il gesto sconsiderato e irreversibile di Stefano.

Gli incidenti che cambiano il destino delle persone, individui che si crede di conoscere e che si rivelano diversi da come pensavamo: Corpo a corpo è un romanzo che riesce a cogliere una quantità di sfumature che non comprendono solo il noir, attraversando diversi generi letterari e che tiene il lettore sospeso in una condizione psicologica nella quale ognuno di noi potrebbe ritrovarsi.




Elvira Mujčić

La buona condotta

Crocetti


Presentato da

Gad Lerner

Il rinforzarsi dei nazionalismi etnici o di altre identità armate le une contro le altre. La velocità micidiale con cui i messaggi d’odio viaggiano sui social media. La frustrazione di chi, invece, spendendosi per la convivenza pacifica rischia di finire tra due fuochi. Questi problemi, ovunque terribilmente attuali, in certi angoli del mondo ci paiono endemici. Tra questi i Balcani, dove si svolge La buona condotta di Elvira Mujčić. Un romanzo che si divora con grande ammirazione per il piglio sicuro da vera narratrice con cui Mujčić è riuscita a trattare questi temi ingombranti. Un intreccio pieno di suspence e di sorprese. Personaggi dotati tutti quanti delle loro ragioni e di spessore caratteriale. Ironica intelligenza delle cose umane, troppo umane.

Dopo aver letto questo libro, anche il piccolo paesino del Kosovo conteso da due sindaci farà parte dei microcosmi destinati a restare nel cuore e nella mente dei lettori. E così pure la consapevolezza che per i nazionalismi beceri l’entrata in scena di una scrittrice come Mujčić rappresenta una sconfitta sul campo della letteratura italiana.


Francesco Musolino

Mare mosso

Edizioni E/O


Presentato da

Luca Ricci

A volte ci dimentichiamo che l’Italia è una penisola: del mare non scrive quasi più nessuno. Forse perché, a differenza delle montagne con il loro carico di retorica ascensionale e filosofale, il mare è un elemento dei primordi che ci atterrisce e ci spaventa. Più che insegnarci qualcosa sembra un agente indomabile, selvaggio. Questo tratto poco rassicurante e direi noir del mare è colto perfettamente da Francesco Musolino che in Mare mosso ci consegna un romanzo d’avventura come non ne leggevo da tempo, in grado di tenere insieme un intreccio serrato e abissali immersioni. La prosa sciaborda, pronta a incresparsi in onde altissime o a vorticare in mulinelli vertiginosi. Vengono in mente le efferatezze narrative di Jack London (ma qui siamo di fronte a foreste liquide), senza dimenticare Izzo e Corto Maltese. Nelle pagine di Musolino, per fortuna, raramente si tocca.


Ilaria Palomba

Vuoto

Les Flàneurs Edizioni


Presentato da

Maria Cristina Donnarumma

Emblematico è sicuramente il titolo del tormentato e durissimo romanzo di Ilaria Palomba “Vuoto” perché è il vuoto il filo conduttore di tutte le vicende vissute dalla protagonista, Iris Palmieri, raffigurata sulla bellissima ed esplicativa copertina del libro: una giovane donna bionda in un elegantissimo abito da sera nero, immersa in pensieri dolorosi, anzi in un atteggiamento decisamente disperato, è seduta sul davanzale di una finestra che si affaccia su una notte nera, senza luci, senza stelle…sul pavimento fogli appallottolati e libri aperti vogliono alludere al suo tormentato lavoro di scrittrice.

Impegnativo seguire le vicende narrate, che si svolgono in un solo anno tra la Puglia, la Lucania e Roma da un’estate all’altra, perché si susseguono in modo caotico, con frequenti flussi di coscienza, monologhi interiori, incubi premonitori che slittano costantemente tra presente, passato e futuro. Le paure della protagonista sono da ricollegare sicuramente ad uno stupro subito nella sua prima adolescenza, ad abusi vari subiti anche da familiari sin dalla fanciullezza e ai rapporti conflittuali e, a tratti, fallimentari con i suoi genitori, con suo marito, con i suoi amici, con i suoi studi e con il suo lavoro. Iris, autolesionista, vive sempre in bilico e si va convincendo che i suoi fallimenti sono frutto delle sue fragilità, della sua inadeguatezza e della sua esistenza instabile; pertanto, è ossessionata dall’abbandono e da un profondo senso di vuoto che cerca di riempire con le droghe, con il sesso sfrenato e promiscuo, con l’amicizia con Giulio, più giovane di lei, ma come lei sensibile, disilluso e problematico e che come lei e con lei accarezza l’idea del suicidio. Giulio improvvisamente si toglierà la vita lasciando Iris nella più grande prostrazione e con il rimorso di non aver fatto nulla per salvarlo… allora non le resterà che la Letteratura, ma i suoi autori preferiti sono poetesse e scrittori che si sono tolti la vita: S. Plath, Amelia Rosselli, Antonia Pozzi, Guido Morselli, Carlo Michelstaedter, … che sono anche i modelli della sua scrittura che si basa su una continua ricerca spirituale e filosofica che, però, non riesce ad appagarla.

Nel libro non mancano, dunque, significativi riferimenti filosofici e alcune interessanti e appropriate citazioni cinematografiche che sono funzionali alla narrazione stessa. Il linguaggio usato è ricco e articolato, a tratti scarno, elegante e raffinato, descrittivo e pacato, ma sempre tagliente come un bisturi che incide, scava perché vuole impressionare, devastare, gridare un malessere, sconvolgere, scandalizzare ma non vuole che si giudichi.

Alla fine, inaspettatamente, Iris/Ilaria lancerà un messaggio di speranza a se stessa e ai lettori “Prendete questo delirio, questo macello, e fatelo fiorire”.




 Monica Perosino

La neve di Mariupol

Paesi Edizioni


Presentato da

Vito Bruschini

Monica Perosino è una inviata di guerra della «Stampa» di Torino e nel momento in cui sto scrivendo queste note, è tornata nuovamente sul fronte ucraino. Questo suo romanzo d’esordio non è un romanzo sulla guerra, bensì un romanzo sugli esseri umani. I suoi incontri con una popolazione sfinita e martoriata non soltanto dalle bombe, ma anche dal freddo, dalla fame, dalla disperazione, dalla paura, commuovono fino alle lacrime. È un romanzo dove le donne ci spiegano fino a che punto possa arrivare il dolore.

Leggiamo sui giornali le cronache della guerra, ma Monica Perosino con questo romanzo si spinge più in là e riesce a farci entrare nelle piaghe sanguinanti della popolazione. Gli orrori che ci descrive non sono i morti carbonizzati, i cadaveri senza braccia, i piedi nelle scarpe abbandonati in mezzo alla strada, ma quelli che ti fanno stringere davvero il cuore e comprendere fino in fondo gli effetti raccapriccianti di questo conflitto, come quello della bambina con i capelli precocemente ingrigiti, per la paura, o il pianto dissennato della donna che disperata abbraccia il troncone senza testa, braccia e gambe del marito. Ma la guerra è anche solidarietà da parte di questa gente fatta di anonimi eroi la cui generosità ti sbalordisce, come quando un perfetto sconosciuto le dona, senza pretendere nulla, due preziosissime taniche di benzina. La neve di Mariupol è un affresco sulla follia degli uomini come non se ne leggeva dai tempi della nostra prima inviata di guerra, l’indimenticabile Oriana Fallaci. Monica Perosino ci prende per mano e ci accompagna fin dentro l’inferno in cui lei stessa è stata, facendoci sentire persino la puzza della paura. Alla fine della lettura sei così lacerato nell’anima che hai una sola una speranza: che la guerra finisca al più presto.



Anna Luisa Pignatelli

Il campo di Gosto

Fazi Editore


Presentato da

Alessandro Masi

Autrice già nota al pubblico per i precedenti lavori, conferma anche in questo romanzo una straordinaria capacità narrativa costruita secondo un piano di sequenze di forte spessore introspettivo ma al tempo stesso in grado di dare al racconto un carattere contestuale agli ambienti descritti. Con Il campo di Gosto si trova a pieno il gusto di una lettura asciutta, lirica e tagliente, come già ebbe a scrivere Antonio Tabucchi.


Sofia Pirandello

Bestie

Round Robin Editrice


Presentato da

Umberto Croppi

Bestie è un romanzo che non lascia scampo: ti percuote e ti attraversa come la vita di Lucia, la protagonista bambina che in questa storia familiare diventa donna. Il male è essere una «fimmina», un danno, un problema insuperabile su cui la madre poggerà la sua educazione di donna sola con due figli da crescere, e un marito che diventa assente, colpevole di esser morto troppo presto. Bestie, della giovane Sofia Pirandello, è un racconto di un Sud indolente e lento. Il racconto poetico di un viaggio che attraversa il tempo, tra la Sicilia in cui la bambina è cresciuta e un Nord in cui si troverà intrappolata. L’incontro con un macellaio, la seduzione e l’abbandono, la forza del tornare a casa e il talento nell’uso dei coltelli. Già dalle prime pagine si entra in quel mondo fatto di mancanze che diventano ricchezza e capacità del sopravvivere alla povertà con leggerezza e voglia di evasione. Un fratello come compagno di giochi e una fiera di paese per incontrare un’idea di futuro che forse non sarà mai. Una scrittura che coinvolge nella sua opportuna e minuziosa descrizione del contesto è la forza di questo romanzo. L’autrice non banalizza l’immagine della protagonista relegandola nel ruolo di vittima, ma ne enfatizza forza, riscatto e rinascita regalandole un momento di violenza e liberazione inaspettato che trasforma il finale in una rivincita da tutto e tutti. Una rivincita dall’educazione ineducante di una madre e della sua costante negatività. Diceva Hölderlin che dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva e, Bestie, che in siciliano lo si dice degli stupidi, si riferisce anche a chi nutre un’indole malvagia. E Lucia sa che bestie sono coloro che la crescono e la trattano con violenza nel corso della sua vita. Bestia è lei, inadeguata in ogni contesto, spaventosa perché alle volte feroce, incomprensibile perché incapace di ridursi al ruolo di moglie e madre. E bestie sono quelle su cui usa sapientemente i coltelli nel retrobottega di quella macelleria che probabilmente la renderanno la donna che voleva essere: dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva.




Rosella Pretto

La vita incauta

Editoriale Scientifica


Presentato da

Wanda Marasco

La vita incauta è un libro che non assomiglia a nessun altro, che sfugge a qualsiasi definizione di genere, e questo è già un primo motivo di notevole interesse, che lo distingue dalla maggioranza della produzione narrativa corrente. È prima di tutto, certo, il reportage di un viaggio compiuto sulle tracce della tomba di Macbeth, in Scozia. Pretto – poetessa traduttrice e scrittrice – ci descrive infatti il suo pellegrinaggio da Glasgow all’isola di lona, nelle Ebridi, a Inverness, porta delle Highlands, tra paesaggi brumosi, verdi distese e rovine archeologiche. A guidarla è una sorta di ossessione che la tragedia di Shakespeare da sempre esercita sulla sua vita, e che ha motivazioni personali e radici familiari. Il nonno è Elio Chinol, il grande anglista, critico e traduttore shakespeariano, ma anche lo studioso di T.S. Eliot. E proprio il nonno Elio e il poeta Eliot sono tra le figure tutelari che prendono più corpo accompagnando la viaggiatrice. Questa commistione tra reportage storico-letterario e romanzo familiare dà vita a una scrittura ibrida di notevole forza espressiva, un personal essay dove le pagine in corsivo che si alternano al diario di bordo sembrano provenire da un misterioso Altrove, quasi una voce da suggeritore per un monologo intessuto di squarci lirici. Sono questi momenti a materializzare un passato segnato da una ferita non rimarginata, ovvero una forma di maternità «alternativa», che, come ogni genitorialità, porta con sé una colpa capace di uccidere il sonno. Pretto dimostra una sorprendente maturità di scrittura nell’affrontare questa originale esplorazione «del male e dell’oscurità in cui si viene gettati dalla scelta sbagliata», con la consapevolezza che, a conti fatti, solo se «incauta» la vita val la pena di essere vissuta.


Alessandro Riello

Delitto in contropiede

Pellegrini


Presentato da

Clemente Mastella

Intendo presentare al Premio Strega Delitto in contropiede, romanzo di esordio di un giovane magistrato, pubblico ministero dell’Antimafia in Calabria.

Si tratta di un noir decisamente originale per stile narrativo e ambientazione: come scrive Maurizio De Giovanni nella prefazione, la storia ha luogo in «una Sila appartata e centripeta, un mondo chiuso e quasi impenetrabile all’interno di una natura mozzafiato. Dinamiche peculiari, rapporti e relazioni che sanno di provincia italiana, di meridione e di mafia, ma anche di sentimenti e di passioni pronti a esplodere, perennemente sul confine dell’abisso».

Sin dall’inizio il romanzo si presenta come un qualcosa di più di un classico poliziesco. L’introspezione dei personaggi principali, l’evoluzione del loro modo di essere, anche in conseguenza delle vicende che si trovano a vivere, appaiono da subito agli occhi del lettore importanti almeno quanto la storia narrata, per comprendere il messaggio che, a mio avviso, l’autore ha inteso lanciare.

Lo scrittore, un addetto ai lavori, ha trasfuso nell’intreccio narrativo le proprie competenze tecniche, descrivendo una storia al tempo stesso avvincente e giuridicamente lineare. Tuttavia, ciò che appassiona, prima ancora di scoprire il colpevole, è il limpido e consapevole uso della lingua, che rapisce sin dalle prime pagine.

Uno stile narrativo mai banale, con un’ironia sottile e spietata che emerge dalle azioni dei due protagonisti, il pm Sergio Scarani e il maresciallo Luigi Pandolfi. I due riescono in modo naturale a trovare una perfetta sintonia con il mondo esterno grazie al proprio travagliato vissuto interiore: come sottolinea sempre De Giovanni, le loro inquietudini personali, morali e sentimentali sono le stesse di chi legge, e consentono quella immediata immedesimazione, che è il passaporto per una lettura coinvolta e partecipata.



Sandra Rizza

Nessuno escluso

Ianieri


Presentato da

Alfonso Celotto

Il romanzo di Sandra Rizza è un’opera particolare e a mio avviso nuova nel panorama letterario. L’autrice è una cronista giudiziaria che dopo oltre 30 anni di inchieste si cimenta con un romanzo che affronta il tema della mafia da un punto di vista diverso: la borghesia apatica, acquiescente, accondiscendente, collusa al punto da potersi definire mafiosa, che è al centro della degenerazione morale del Paese.

Il racconto analizza gli effetti della collusione dell’intelligenza borghese con la cultura mafiosa nella quotidianità di una normale famiglia italiana, apparentemente colta, benestante e illuminata, e misura la tolleranza di ciascuno dei suoi componenti nei confronti dell’idea di collusione e di compromesso morale.

Magistrati, medici, avvocati, bella gente, gente “perbene” che vive accanto ai fenomeni malavitosi, ma li osserva stancamente, li lascia scorrere.

Il percorso di consapevolezza che i personaggi del romanzo sono costretti a compiere, di fatto, riflette l’esperienza di interi pezzi della società posti davanti al bivio della scelta etica, nonché il dramma di insospettabili colletti bianchi che per paura, pigrizia o più semplicemente per conquistare vantaggi concreti, si trasformano in indolenti spettatori dello scontro tra mafia e antimafia, se non in fiancheggiatori silenti. In un racconto giallo che vi si avvolge attorno.

A mio avviso è un romanzo avvincente, di vita, di parole che colpiscono, che fa riflettere su un aspetto diverso del fenomeno mafioso e della questione meridionale. Un bel romanzo, che trasuda di sud, di vita, di problemi irrisolti.

Penso che segnalarlo al Premio sia anche il modo per sollecitare la coscienza critica dei lettori, per far riflettere e discutere, ed è utile per incoraggiare una cultura aperta in cui i dilemmi etici, le preoccupazioni per l’integrità pubblica e gli errori commessi possano essere discussi e analizzati liberamente.




Luisa Ruggio

Le confidenze

Besa muci


Presentato da

Diego Guida

La forza del romanzo-mondo creato da Luisa Ruggio sta nella ricerca travolgente della verità intesa come conquista di una innocenza indispensabile al riscatto della libertà. E questo imprescindibile diritto è l’urlo dei personaggi che abitano il romanzo Le confidenze con tutta la sontuosa bellezza delle vite sospese dentro infinite variazioni sul tema della punizione e della condanna.

Questo viaggio letterario guidato da tre adolescenti orfani, riuniti da un profondo e salvifico istinto di sopravvivenza, diventa fino all’ultima pagina lo specchio attraverso il quale si precipita in quelle omissioni che costituiscono il cantiere di ogni prigione.

C’è l’invenzione del padre e lo smascheramento dei falsi maestri, c’è il viaggio iniziatico di ogni bambino che scopre il lato oscuro della famiglia e il viaggio della speranza di chi ha attraversato gli anni degli sbarchi clandestini con tutto il silenzio delle infanzie interrotte dai gesti violenti degli adulti.

Colpisce la storia narrata con un respiro lungo, un ritmo spiralico, che abbraccia il mito greco, la letteratura, la Storia e un sentimento transadriatico innescato dall’esodo che spezzò le vite di intere famiglie partite dall’Albania in cerca di una vita migliore nell’Italia degli anni Novanta. Dentro la struttura di questo affresco attraversato da molte linee del tempo – che coesistono magicamente insieme ad un altrove onirico ricco di rimandi e suggestioni, giocatori d’azzardo e bari professionisti, ladri e personaggi belli come divinità greche e latenti come sirene – trova spazio l’atmosfera di Matrico, un luogo rimasto l’unico altrove possibile per chi si è portato via dalla traumatica manomissione della propria identità e perciò tenta la difficile arte di crescere senza lasciarsi pervertire il cuore da chi lo ha perduto.

A fare del romanzo un’avventura appassionante sono le tante storie inconfessabili innescate dalle conseguenze di ogni abbandono. In queste pagine chi è lasciato a sé stesso dai propri genitori, come avviene a molti eroi di fiaba chiamati a spezzare incantesimi affidati al linguaggio, costruisce la regola violandole tutte sino a forgiare una mistica della sensualità, l’erotismo estremo e sontuoso che permea sia il ritmo che lo stile di questo romanzo.

Violante è il nome della protagonista che intreccia tutta la sinfonia dei destini intrecciati al suo viaggio e che in molti passaggi ricorda la vocazione di Chiara d’Assisi nell’atto sovversivo di consegnarsi a Francesco disobbedendo per vocazione e ispirazione.

Con una scrittura tagliente che fa vivere e vibrare una terra madre rimasta volutamente fuori dal tempo, come il paradiso degli amanti che sanno evadere da ogni inconsolabile memoria per farvi ritorno non più da soli bensì insieme, come l’inferno di ogni falsa accoglienza che si rivela ostile e letale per chi è in cerca di una tregua e almeno una possibilità, questa storia alza il volume alle voci di tutti i figli chiamati a superare la pericolosa cecità dei padri, a spezzare la linea di sangue con la verità dell’amore che rende finalmente valicabili i confini di qualsiasi prigione.


Giacomo Sartori

Fisica della separazione in otto movimenti

Exòrma


Presentato da

Filippo La Porta

Quando finisce un amore non c’è mai un motivo, ci hanno mostrato – tra gli altri – Tolstoj e Cocciante. Nel romanzo/memoir Fisica delle separazioni in otto movimenti Giacomo Sartori descrive da un punto divista onestamente, drammaticamente maschile la fine di una relazione, che è sempre la fine di un tempo e di un mondo, di un paesaggio e di un pezzo di vita quotidiana, in otto affilati movimenti di una sonata da camera. Non è vero che viviamo nell’età della fine dei traumi: perfino nel digitale l’esistenza vive un continuo trauma quotidiano, una interminabile micro-tragedia ordinaria. Si comincia, come è giusto per un romanziere, dal dettaglio più insignificante, ossessivo, minuscolo, che però racchiude il macrocosmo: «Quando si è vissuti tanto tempo assieme ci sono moltissime cose da dimenticare. Bisogna dimenticare i piedi, con i loro vezzi da piedi timidi, ma anche fieri, e insomma struggenti». Si tratta di una “fisica” perché la letteratura è quella scienza singolare di tutto ciò di cui non si può avere scienza. Siamo fatti di una materia anzitutto verbale, anche i nostri sentimenti: «Siamo esseri dotati di parola, e nelle relazioni d’amore le parole hanno un ruolo primordiale, forse anche un po’ magico». Nel sesto movimento affiora la verità stessa della letteratura, che non è altro che mettere in un ordine le parole di cui siamo composti, siano esse magiche o banali: parole che odorano, che danzano, che nascondono, che desiderano, dalle quali siamo agiti. Non c’è altro: parole che si affollano e che sempre si sporgono quasi impotenti su tutto ciò che non è parola.




Alberto Schiavone

Non esisto

Edizioni Clichy


Presentato da

Annalena Benini

Propongo il romanzo di Alberto Schiavone, Non esisto (edizioni Clichy) perché con una lingua tesa e poetica, scarna e precisa, si prende cura del precipizio del vivere. Non è un romanzo sul carcere, perché inizia nel momento in cui Maria esce dal carcere e non c’è nessuno ad aspettarla: è un’elegia della libertà. E della fatica di ricominciare a esistere quando nessuno ti guarda e nessuno ti vuole. Alberto Schiavone si mette accanto a Maria, dentro Maria, e ci consegna la fatica della seconda possibilità. Questo è il romanzo di chi non sa dove andare, di chi trova solo porte chiuse e a un certo punto potrebbe dire: mi manca la prigione. È il romanzo di chi non si ricorda più come si fa a vivere, ma vuole tantissimo vivere ancora, esserci, esistere, lavorare e amare. È il libro di chi si è perso o potrebbe perdersi: è il libro di tutti. Di chi è la colpa? Non lo sappiamo, non lo sapremo mai, ma adesso finalmente c’è una donna, Maria, che racchiude tutti i nostri precipizi e tutte le nostre indifferenze, e ci chiede di non lasciarla sola.


Ada Sirente

Dura mater

Miraggi Edizioni


Presentato da

Maria Teresa Carbone

Il titolo del romanzo di Ada Sirente – Dura mater, o in italiano «dura madre» – è un termine scientifico: indica la più spessa delle membrane che rivestono il tessuto nervoso centrale, una sorta di guscio all’interno del quale, in certo senso a nostra insaputa, si formano i pensieri, le sensazioni, i desideri.

Stesa in un letto d’ospedale, in coma farmacologico in seguito a un intervento al cervello, Mariella ci parla da questo luogo interno e inaccessibile, dove il confine tra i viventi e i morti si assottiglia fino ad annullarsi, e le figure familiari della sua infanzia in un piccolo paese dell’Abruzzo si muovono in mezzo alle sagome anonime e misteriose dei medici. Il suo è, o potrebbe essere, una sorta di lungo sogno ultracosciente; sicuramente dei sogni possiede la vividezza dei particolari e la sonorità nitida di una lingua in cui non c’è soluzione di continuità fra l’eco del dialetto e il lessico della scienza. Nella capacità di governare senza sforzo questo contrasto, nel mettere in scena una contemporaneità stratificata sulla memoria, sta la forza del libro, che presento con piacere al Premio Strega.



Nessun commento:

Posta un commento