di Pierangelo Colombo

martedì 12 febbraio 2019

De profundis per l'editoria

  La notizia, anche se era prevedibile, è demoralizzante: il libro di Fabrizio Corona è fra i più venduti in Italia. Non giudico l’opera, non avendola letta, potrebbe trattarsi,  per quel che ne so, della massima espressione  del pensiero umano; concedendo il beneficio del dubbio, l’autore potrebbe essere un nuovo caso di dottor Jekyll e mister Hyde: ci potrebbe essere un abisso fra i concetti che esprime verbalmente e quelli vergati su carta. Così come non giudico l’editore, in fondo non fa altro che portarsi a casa la pagnotta a fine mese. Perché rischiare investendo in pubblicità, per un esordiente, nella speranza di vendere qualche migliaio di copie, quando hai chi di pubblicità vive e ti assicura centinaia di migliaia di copie?

  E, nonostante mi sfugga la comprensione, non voglio esprimere giudizi nemmeno sul target di pubblico di questi tipi di pubblicazione. Innanzitutto perché rispetto i gusti personali e, secondariamente, con la sparizione dei VHS servono dei surrogati per dare un senso alle mensole altrimenti desolate della sala. Un libro esposto potrebbe attirare l’attenzione e, magari, qualche domanda  costringendo, o mio dio, una lettura. Se invece si conosce già il contenuto attraverso il gossip, il gioco è fatto. 
Oggi sono troppo sfiduciato per giudicare, ma una riflessione nasce spontanea: penso soprattutto a quei giovani che, talentuosi e con una buona vena innovativa, si vedono costretti a elemosinare una prima pubblicazione, probabilmente  con contributo di spese o peggio. Ragazzi che dopo anni di studio e ore davanti una tastiera a scrivere, leggere, rileggere, fra correzioni, ripensamenti, tagli e litri di caffè, presentano il proprio manoscritto a decine di editori  che, limitandosi a leggerne il curriculum, decidono di cestinare. Penso a quella cultura relegata a cenerentola nel nostro panorama sociale, surclassata dal qualunquismo e dalla pochezza. 
  Questo non vuole essere un de profundis per l’editoria in genere, piuttosto su quella di qualità. Ben vengano i libri ‘leggeri’, di cucina, giardinaggio e persino di gossip, giustamente a ognuno il suo, questo, però,  non deve andare a discapito delle giovani promesse. 
  Bisognerebbe investire, prima di tutto, sul pubblico più giovane: i lettori forti di domani. Invogliare la lettura iniziando nelle scuole, se a casa non ci sono libri sarebbe interessante avvicinarli, senza paura di ‘scottarsi’ alla fruizione delle biblioteche, ci sono delle reti bibliotecarie veramente all’avanguardia. Quindi, a livello culturale, ci sarebbe la necessità principale d’investire nel futuro.
 E anche noi lettori, nel nostro piccolo, dovremmo iniziare a usare la rete in modo costruttivo, navigando si trovano molti piccoli editori che, mettendoci del loro, propongono delle ottime opere. Certo, bisogna stare attenti,  molti furbetti, tutt’altro che etici, vivono sui sogni delle persone, stampano qualunque cosa purché remunerata; non si scomodano nemmeno a leggere il manoscritto figuriamoci se ne fanno una correzione bozza. Per questo bisogna affidarsi alle recensioni, al buon ‘passaparola’. Un autore ci dona emozioni? Il minimo che possiamo fare per ricompensarlo è di farne una buona pubblicità. 
 Come autore, invece, credo sia più soddisfacente sapere di aver venduto cinque copie, ma con la certezza che verranno lette, piuttosto che cento di cui la maggior parte finiranno come sostegno della gamba traballante di un tavolo.

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