di Pierangelo Colombo

martedì 27 marzo 2018

Intervista all'autrice, Sara Rattaro



Sara Rattaro è nata a Genova. Laureata in Biologia e in Scienze della Comunicazione, ha lavorato come informatore farmaceutico prima di dedicarsi completamente alla scrittura. È autrice di diversi romanzi: Sulla sedia sbagliata, Un uso qualunque di te, Non volare via (Premio Città di Rieti 2014), Niente è come te (Premio Bancarella 2015), Splendi più che puoi (Premio Rapallo Carige 2016), L'amore addosso, Uomini che restano e Il cacciatore di sogni, il suo primo libro per ragazzi. È docente di Scrittura creativa presso l'Università degli studi di Genova.
Nel 2018 ha pubblicato il nuovo romanzo, Uomini che restano, edito da Sperling & Kupfer.


È un vero onore ospitare l’autrice Sara Rattaro in questo blog. Ringraziandola per la gentile disponibilità, con grande piacere le rivolgiamo alcune domande
-Iniziamo con il conoscerla meglio; qual è il suo rapporto con la scrittura?
-È un rapporto viscerale. La scrittura mi fa stare bene.

-C’è un’autrice o un libro che ha inciso in qualche modo nella sua formazione?
-Ce ne sono tanti. Ho avuto la fortuna di leggere tanti libri di narrativa anche durante gli anni della scuola. Una fra questi è stato “notte a Lisbona” di Remarque.

-Quanto influisce nel suo lavoro l’esperienza del vissuto?
-Io racconto storie che riguardano soprattutto la mia generazione. Per questo farne parte è molto utile.

-Uno dei protagonisti principali nei suoi libri è l’amore. Gli antichi Greci avevano individuato quattro forme primarie di amore: familiare, storge, l'amicizia philia, il desiderio erotico, ma anche romantico, eros e l'amore spirituale, agape; secondo la sua esperienza, possono convivere questi sentimenti senza entrare in conflitto? 
 -Se ci riuscissero saremmo tutte persone più serene. Credo che tutti possediamo l’illusione di poterli far convivere ma nella pratica siamo sempre meno performanti.

-Come docente di scrittura, quale consiglio vorrebbe dare ai tanti autori desiderosi di pubblicare un proprio libro?
-Di stare molto attenti all’autobiografia. Riuscire a prendere le distanze dalla propria storia e dai propri punti di vista è difficile e richiede molta esperienza e anche un pizzico di tecnica.

-L’autunno scorso ha pubblicato Il cacciatore di sogni, la vita di Albert Bruce Sabin, ricercatore che trovò il vaccino contro la poliomielite. Com’è nata l’idea di raccontarne la storia? È un libro pensato per giovani lettori, ha trovato difficoltà a scrivere per ragazzi?
 -L’idea è arrivata in modo naturale nel momento in cui ho pensato a cosa aveva emozionato me quando ero una ragazzina. La storia di Sabin ha accompagnato la mia infanzia e forse mi ha resa migliore. Raccontarla ai ragazzi è stato un grande privilegio.

-In L’amore addosso, parla di verità segreta e, soprattutto, di perdono. Quanto, in un rapporto è importante la sincerità?
-È importantissima ma non dobbiamo dimenticare che spesso è la cosa più dolorosa che incontriamo.




-Passiamo ora al suo ultimo romanzo: Uomini che restano; da quale idea è nato? Vuole descrivercelo?
-È nato dall’unione di due storie che a loro volta ne contengono molte altre. Ascoltare gli altri è la radice vera di questo mestiere. Fosca e Valeria sono due donne abbandonate per motivi diversi dai loro mariti. Ho immaginato di farle incontrare davanti a uno dei panorami più belli del mondo, quello della mia città, Genova. Nascerà una solidarietà tra loro, un sentimento veloce e intenso di cui spesso abbiamo profondamente bisogno e non per questo deve arrivare per forza da qualcuno che ci conosce come le sue tasche.

-Sembra che il mare le sia fonte d’ispirazione, come mai ha atteso tanto per ambientare un romanzo a Genova, la sua città?
-Ne ho sentito l’esigenza soprattutto in questo romanzo. Genova, oltre a essere una voce narrante,  è soprattutto un grande abbraccio per le sue figlie spettinate, un ritorno a casa. La mia città, in questo, è imbattibile.

-Il tradimento svelato richiama vendetta, desiderio di restituire il dolore ricevuto, sentimento tanto comune quanto eterogeneo nelle reazioni, come si comportano i personaggi nel suo romanzo?
Ognuno a modo suo. Non esiste un manuale di istruzioni valido per tutto. Subire un tradimento è una delle cose più dolorose che possa accadere e per questo ogni reazione umana è plausibile. Fosca fugge, Valeria assorbe in silenzio. C’è chi vuole spiegare e chi fa finta di non capire. Ci sono le persone, i loro limiti e i loro slanci.

-La moglie abbandonata dal marito che prende coscienza della propria omosessualità; oltre a sentirsi ingannata, quali altri sentimenti subentrano nella donna? Perché è ancor più difficile che sentirsi tradita per un’altra donna?
Non so se sia più difficile in assoluto. Quello che accade, almeno alle donne della mia generazione è il sentirsi completamente impreparate. Siamo pronte a tutto ma non a questo, perché non siamo cresciute pensando che sarebbe stato possibile. Molte di noi, la maggior parte, ha vissuto la giovinezza in un mondo dove di omosessualità non si parlava mai, se non per schernire. Era un tabù e per molti lo è ancora, purtroppo.

-I suoi personaggi sono sempre ben costruiti, rendendo un io ben distinto. Anche in Uomini che restano, ha reso bene i vari punti di vista e, nello specifico, ottenuto un ottimo risultato nei confronti dell’omosessualità; ha dovuto lavorare molto per non cadere in facili stereotipi? Chi, fra la moglie di Lorenzo e i suoi genitori, l’ha impegnata di più?
-Ho solo cercato di fare quello che faccio sempre quando creo un personaggio. Lo ascolto. Lascio che mi racconti tutto il suo mondo, anche quello di cui si vergogna di più. Il segreto è nel sollevare ogni forma di giudizio. Fare la scrittrice, non il giudice.

-Con quale delle due protagoniste, Valeria e Fosca, prova più empatia?
Entrambe. Potrei essere loro se mi trovassi in quella situazione. Le ho comprese benissimo, soprattutto nei loro lati oscuri.

-Tre aggettivi per descrivere Uomini che restano.
-Sincero, attuale e spero coinvolgente.


di Pierangelo Colombo

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