di Pierangelo Colombo

venerdì 9 marzo 2018

La vera storia di Adamo ed Eva



  Siamo finalmente in dirittura d’arrivo per il fine settimana e, per alleggerire un po’ l’atmosfera, oggi voglio dedicarvi un mio racconto umoristico sulla genesi della nostra specie.
  Buona lettura.





La vera storia di Adamo ed Eva




  Dio camminava nell’Eden, compiacendosi.
 ‘Peccherò di superbia, però mi è particolarmente riuscito bene questo universo.’
Ed effettivamente, preciso come un orologio, il creato era lì, nuovo di pacca. Altro che il ponte sullo stretto, un grattacielo o un bioparco. In sei giorni, né più né meno, aveva tirato su un cantiere che, a confronto, la Sagrada Famiglia pareva un prefabbricato.
Per le questioni burocratiche aveva incaricato gli angeli più fidati. «Gabriele, tu che sei loquace mi fai da portavoce e addetto stampa; Raffaele, tu che hai le braccine corte ti occupi dell’amministrazione e dell’ufficio acquisti; Michele, precisino come un teutonico, ti occuperai della certificazione di qualità, lo sai che ci tengo all’ISO. E, infine, tu, Lucifero, baderai a tutte quelle bestie che hai tanto insistito perché creassi: ragni, scorpioni e via discorrendo, che a dir il vero mi fanno un tantino senso.»
Terminata la genesi, il Signore accompagnò Michele, così che potesse raccogliere i dati per la certificazione di qualità. Tronfio di sé, guidò il perito esibendogli le meraviglie dell’universo. L’angelo, sempre un passo dietro al principale, annotava tutto, ma proprio tutto, facendo le pulci ad ogni creazione. Il Signore, pazientemente, sanò ciò che non era conforme alle nuove normative 626 o alle disposizioni antincendio. Una volta visionato l’intero universo, condusse Michele a visitare la punta di diamante dell’intero creato: l’Eden.
Michele appuntava incantato, mentre il Signore, compiaciuto, camminava tre spanne sopra il terreno. Tutto filava liscio, finché, ai piedi di un orto, l’angelo scorse qualcosa disteso all’ombra di un ulivo.
«E quello cos’é?» chiese.
«Ah, quello? Nulla» rispose imbarazzato il Signore. «È un prototipo cui sto lavorando, solo un abbozzo.»
«Ah!» Ribatté Michele con la spocchia di un professore. Cosa che fece montare il Signore su tutte le furie, ma non potendosi sfogare sull’assistente, indirizzò la propria delusione sulla creatura imputata. «Adamo!» sbraitò. «Non ti avevo detto di farti un giro oggi?»
Adamo, con la flemma di un bradipo appesantito da una lauta colazione, si alzò e, ciondolando, si allontanò.
«A pensare male del prossimo si fa peccato, ma ci s’indovina» confessò avvilito il Signore, dando vita ai proverbi.
«Vuole parlarne?» domandò Michele, estraendo un nuovo bloc-notes.
«Non capisco dove ho sbagliato. Avevo grandi progetti per lui. E invece…» Sospirò. «Poltrisce tutto il dì. Una nuotata allo stagno, un lauto pasto e una ronfata all’ombra del sicomoro.»
«Ne avete mai discusso?»
«Parlare? Con lui? È più soddisfacente un simposio con un pollo. Ma è tutta colpa mia! Sono stato troppo tirato con il sale: in sale sapientiae aeternae. Dopo l’errore con il leone, ho preferito esser cauto con le doti: un poco di forza in più e lui subito a ruggire che era il re della savana, così con Adamo sono andato fin troppo misurato con il sale in zucca.»
«Forse ha bisogno di stimoli.»
«So io di cosa ha bisogno! L’altro giorno l’ho incaricato di dare un nome agli animali. Prometteva bene: rinoceronte, porcospino, upupa, giraffa, ippopotamo, ghiandaia. Si è stancato subito, però, buttando lì: yak, ape, bue, boa, emù, gnu, gru. Quando poi se n’è uscito con kiwi, non ci ho visto più! Questo è plagio, gli ho fatto notare, avendo dato personalmente quel nome a un frutto. E sai cosa ha risposto? Che in fondo si somigliano.»
«Forse è portato per i lavori manuali.»
«Lascia stare. Non mi ha mica chiuso nello stesso recinto uno stallone allupato con un’asina in calore!»
«Capisco. È un elemento che va seguito.»
«Sì, ha bisogno dell’accompagnamento.»
Il viso del Signore s’illuminò, avendo trovato la soluzione al problema: come aveva creato Adamo, creò Eva; molto più bella, aggraziata, vitale e armoniosa. Fatti l’uno per l’altra, si completavano: dove la grazia di lei non arrivava, ci pensava la forza di lui; fantasia per Adamo, riflessività per Eva; eloquente lei, pratico lui. Diede loro carta bianca: potevano fare ciò che volevano, bastava tenere in ordine e non insozzare.
«Mangiate di ogni frutto della Terra» disse loro. «Tranne di quell’albero che sta sulla collinetta. Quello è mio!» aveva intimato. «Fa un solo frutto ogni mille anni, e io ne vado matto, quindi non si tocca. Compreso? Sono stato chiaro?»
«Trasparente!» risposero i due.
L’idillio proseguì per qualche tempo, poi l’unione cominciò a logorarsi. Dapprima con piccoli screzi, dissidi che ben presto sfociarono in feroci sfuriate.
«Hai la sfera emotiva di un bagarozzo!» l’accusava lei.
«Sei una smeriglia zebedei!» ribatteva lui.
«Sei uno scansafatiche, irresponsabile e superficiale.»
«Sei una sfracassa zabedei!»
Il Signore cercò di mediare, vestendo i panni del consulente di coppia. Seduta dopo seduta, però, somatizzò i problemi, ritrovandosi con una cefalea cronica e un’ulcera duodenale. La situazione si fece così tesa che un giorno, durante l’ennesima zuffa, esplose di collera repressa: «BASTA! Non ne posso più!»
Il volto paonazzo, la voce irosa e una colica imminente lo spinsero ad una decisione definitiva. «Fuori di qui! Andatevene a lavorare! Ne ho pieno l’infinito di voi!»
E così, i due lasciarono l’Eden, con vitto, alloggio e un salario garantito, ritrovandosi con due foglie di fico legate con dello spago.
Chiusi i cancelli del paradiso e gettatane la chiave, il Signore cercò di calmarsi. ‘Ma sì, mangiamoci sopra.’
 A passo spedito, si diresse verso il suo albero. L’acquolina aumentava con l’approssimarsi del frutto. Una sorpresa amara, però, l’attendeva: della delizia tanto anelata non restava che un misero picciolo e un brandello di buccia. Poco distante, le nitide e inconfondibili orme dei due lestofanti.
L’ira fu incontenibile, avrebbe voluto prenderli a mazzate; non rientrando, però, nel suo stile, pensò di maledirli con una colica renale o delle pustole suppurative. Lucifero, che passava di là, sentendone gli improperi chiese lumi e, dopo una riflessione, diede il proprio parere, consigliando un anatema cui il genere umano non avrebbe mai saputo sottrarsi.
«Lucifero! La tua è un’idea malvagia, perfida, direi addirittura maligna, a dir poco raccapricciante. Ma per una volta, l’unica, ho deciso di darti retta. Poi, però, facciamo anche un discorsetto, perché, sinceramente, mi fai anche un po’ paura. Da dove ti nascono certe idee?»
E così, ispirato da Lucifero, Dio creò la suocera.
Questa, però, è un’altra storia.


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