di Pierangelo Colombo

mercoledì 14 marzo 2018

La scuola nell'era dei furbi



Che la scuola italiana sia in piena crisi è sotto gli occhi di tutti; non sarò certo io a puntare il dito o stilare una graduatoria di responsabilità. Come è uso nel nostro paese si assisterebbe al solito scaricabarile di colpe. La nostra società sembra essere lanciata verso il falso mito del ’più furbo’, più volte mi è capitato di udire genitori consigliare la ‘furbata’ al proprio figlio. Scorciatoie che disimpegnano, svalorizzando la fatica nel conquistare i propri obiettivi; risultato: stiamo crescendo una classe dirigente del futuro disabituata ai sacrifici, allergica all’approfondimento e allo studio. Forse dovremmo riflettere sul fatto che lo studente soggetto all’abitudine del copiare o portarsi i ‘bigliettini’ nelle verifiche o peggio negli esami, potrebbe essere chi, un giorno, amministrerà il nostro conto in banca, gestirà la rotta del velivolo su cui viaggiamo o ci opererà una colecistectomia.
Se fino a ieri il campanello d’allarme sul cattivo andamento della scuola era l’abbandono scolastico, nella secondaria di II grado è al 4,3% (a.s. 2015/2016), oggi a far rabbrividire sono i dati desolanti emanati dopo la prima prova scritta nel concorso del 2016 della Buona Scuola. Dove su 4 aspiranti maestri ne sono stati bocciati 3 a causa di sconcertanti errori grammaticali.
Molti insegnano da anni nelle scuole dell’infanzia del Friuli, sono giovani diplomati, alcuni sono anche laureati. Errori imperdonabili, come l’immancabile uso errato del verbo avere, dove la lettera H latita (“L’alunno a bisogno di…”). Le lettere doppie scordate (“La strutura”). I congiuntivi massacrati e alcune abbreviazioni in stile SMS (xkè, cmq). Immancabile l’errore che riguarda gli articoli indeterminativi (“Un’evento”). Ma anche nel resto d’Italia la situazione non è migliore: solo il 30% degli aspiranti maestri ha superato la prova scritta.  Nel Lazio su 10 aspiranti 8 sono stati rimandati a casa; in Veneto sono stati promossi solo 1.604 concorrenti su 3.410; in Emilia Romagna invece sono passati solo il 16.5% dei partecipanti.
Una scuola che funzioni è essenziale per la crescita dei singoli individui, ma lo è anche per dell'intera nazione. Sia dal punto di vista sociale, sia da quello economico. La scuola italiana è oggetto di polemiche. Le critiche che più viene mossa è l’inadeguatezza nei confronti dei propri compiti. La comparazione internazionale dei test condotti sugli alunni mostra, specialmente nelle aree meridionali del Paese, gravi insufficienze nella preparazione.
Credo sia giunto il momento di chiedere a gran voce una riforma non più procrastinabile. Una riforma vera, che riveda i metodi, i programmi e i progetti, non l’ennesima riforma basata su tagli e depotenziamento.

Il consiglio di lettura di oggi è: Lettera a una professoressa, scritto da don Lorenzo Milani






Nel maggio del 1967 esce per la piccola casa editrice fiorentina LEF un libro dal titolo Lettera a una professoressa. L’hanno scritto don Lorenzo Milani e gli alunni della scuola di Barbiana, una canonica del Mugello a pochi chilometri da Firenze. Un luogo sperduto dell’Appennino, afflitto, ancora negli anni del miracolo economico, dalla miseria e dall’arretratezza. Un luogo di esilio dove don Milani è arrivato il 7 dicembre del 1954, a 31 anni. Niente acqua, né luce, né una strada per arrivarci. Ci vivevano quaranta anime.
Manifesto che ha reso celebre in tutto il mondo don Milani e la scuola di Barbiana, "Lettera a una professoressa" ha lasciato segni profondi nella cultura e nella società, nonostante travisamenti e strumentalizzazioni. Frutto di una scrittura collettiva sostenuta da un imponente lavoro preparatorio e di cesello linguistico, questo libro-icona rivendica il diritto allo studio di fronte a una realtà scolastica che riproduceva ferocemente le diseguaglianze sociali. E ancora oggi rivolge alla classe docente il suo appassionato appello morale e civile, il rivoluzionario messaggio di un sacerdote convinto che un maestro amante del vero e del giusto può cambiare il mondo. Postfazione di Alberto Melloni. Con uno scritto di Pietro Citati.


 

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