di Pierangelo Colombo

venerdì 15 giugno 2018

Lectio magistralis; angoscia

Ed eccoci al secondo appuntamento con le meditazioni, curate dal reverendo don Carlo Colombo, nella: Lectio magistralis; angoscia, infatti, nasce con il proposito di fornire motivi di riflessione, dibattito e spunto per approfondire. Una meditazione a tutto campo appunto, dove si tratterà il sintomo sotto il punto di vista psicologico, sociologico e anche di fede.



ANGOSCE FONDAMENTALI



ANGOSCIA DI MORTE, DI SOLITUDINE E DI CASTRAZIONE


Abbiamo ripetuto più volte che le angosce spesso si legano tra di loro immettendoci in un quadro della situazione molto complesso, così che risulti più difficile analizzarlo. Infatti le angosce sono il frutto delle regressioni; noi sappiamo che ogni regressione tende a generalizzarsi così che diventa il terreno proficuo dell’associarsi delle angosce. Inoltre le angosce assomigliano un po’ alle leghe dei metalli, ciò che ne emerge è una nuova angoscia, che non è solo la somma delle singole angosce, ma ha pure delle caratteristiche diverse che spesso rendono difficile non solo risalire alle angosce di base, ma anche a comprendere bene in che cosa possano consistere. Perciò mi sembra importante sottolineare anche questi legami per comprendere meglio l’argomento di cui stiamo trattando e così intervenire in modo adeguato per risolvere il problema.
Vediamo il primo legame che si forma tra l’angoscia di morte e l’angoscia di solitudine e di castrazione. Voi potreste obiettare: come facciamo a parlare di legami, quando si tratta di tre regressioni diverse? Potremmo rispondere, dicendo che pur essendo distinte in teoria,, in pratica le regressioni avvengono in seguito a difficoltà, e non tutte avvengono nel medesimo modo. Un’attenta analisi ci porta a comprendere come ci sia uno spazio in cui non è facile distinguere se siamo di fronte all’angoscia di morte o all’angoscia di solitudine e di castrazione, in quanto non è sempre semplice renderci consapevoli se stiamo vivendo un avvenimento o una situazione come perdita o come inadeguatezza a comunicare o come impotenza; spesso infatti queste sensazioni si fondono, in quanto il soggetto vive la perdita per il fatto che non è all’altezza di comunicare e di fare e così abbiamo una confusione delle angosce. Anche di fronte alle angosce tutto dipende da come la persona interpreta i fatti e le situazioni che sta vivendo; per cui è solo il soggetto che può aiutarci a capire di quale tipo di angoscia si tratti.
Per comprendere meglio il discorso che stiamo facendo, sarà utile analizzare un esempio. Prendiamo il caso di un bambino tra i due anni e mezzo e i tre anni a cui nasce un fratellino e i genitori non lo hanno preparato adeguatamente, in quanto erano convinti che tanto il bambino non capiva niente, oppure hanno sottolineato soltanto il volto bello, poetico e gratificante dell’avvenimento: ha visto il pancino della mamma ingrossarsi, gli hanno detto che avrebbe avuto un fratellino con cui giocare... Poi nasce il fratellino, l’attenzione di tutti è rivolta a quello e non solo per un giorno, ma per lunghi mesi, troppo lunghi per la sua pazienza; inoltre quello non gioca con lui, anzi deve stare attento come fa ad avvicinarsi, altrimenti sono sgridate. In questo caso il bambino ha perso i genitori, in modo particolare la mamma che prima era tutta per lui. Il bambino di cui parliamo ora sta vivendo questo dilemma: sono io che non li ho soddisfatti perché sono brutto e cattivo, per cui non sono all’altezza delle loro esigenze, oppure li ho persi senza colpa mia, solo perché loro hanno voluto un altro figlio, per cui io ora per loro non esisto più? Comprendiamo subito come questo complesso di sensazioni portino ad una mescolanza delle due angosce di castrazione, di solitudine e di morte. Essendo le angosce frutto di regressione, ne segue che abbiamo un intrecciarsi di diverse regressioni che portano il soggetto ai primi stadi della vita.
Non è necessario spiegare quanto sia drammatica questa situazione per il fatto che la persona immersa in queste angosce è portata a chiudersi in se stessa in un atteggiamento di apatia, oppure costruisce delle forti compensazioni su alcuni aspetti della sua vita che sfuggono a queste angosce e su quelle punta tutte le proprie capacità per convincersi che quelle angosce non esistono più, per cui può vivere una vita normale. Per comprendere meglio questo discorso possiamo vedere alcuni esempi. Un ragazzo, che ha queste angosce, si accorge di giocare abbastanza bene al calcio, immediatamente punta tutta la propria attenzione su questo gioco, rendendolo l’unico punto di riferimento. Voi potete dire: di ragazzi che vivono questa esperienza ve ne sono molti. Da qui deriva la preoccupazione di saper distinguere tra i ragazzi che lo fanno perché questa è la moda e i ragazzi che lo fanno per compulsione come risposta alle proprie angosce. Quando un ragazzo lo fa per compulsione, nulla potrà distoglierlo da questa scelta; si sentirebbe violentato a cadrebbe in angosce peggiori. In questo caso è sempre necessario avere gli occhi aperti; infatti il ragazzo tende a primeggiare ad ogni costo, per cui ogni mezzo gli può andar bene, dall’inganno, al fallo, all’alcool, alla droga. Dato che siamo di fronte a scelte compulsive nel tentativo di fuggire le proprie angosce, ogni sforzo di far ragionare il soggetto, per evitare tale situazione, è perfettamente inutile. Ne segue che l’educatore deve andare alle cause che hanno scatenato queste angosce, se vuole ottenere dei risultati; inoltre deve armarsi di pazienza, in quanto, maggiormente è lungo il tempo in cui il ragazzo ha seguito queste compulsioni e più difficile è la strada di ritorno.
Un adolescente vive un misto di angoscia di morte, di solitudine e di castrazione, nel frattempo si accorge di avere alcune doti fisiche che lo portano ad emergere in alcuni tipi di attività; per superare le angosce e le sofferenze che comportano, si fa una sempre maggiore specializzazione al punto da fondere la propria identità con l’abilità. La cosiddetta specializzazione esasperata è sempre un rischio e deve mettere all’erta gli educatori, per poter intervenire il più presto possibile per aiutare il ragazzo a rendersi consapevole della propria situazione così che possa affrontarla. Finché dura questa abilità che lo porta ad emergere, lui ha risolto il suo problema al punto che nessuno si accorge che possa esserci, tanto è vero che si presenta con una condotta normale. Tuttavia, se viene messo in condizione di non esercitare la propria compensazione, immediatamente riemergono le angosce. Dovrebbe suonare come campanello di allarme ai genitori il fatto che un figlio si rifiuti di partecipare all’oratorio solo perché non fanno giocare quel determinato gioco, oppure non si fanno quelle determinate attività, o perché ha da studiare e fare i compiti. D’altra parte i genitori devono capire che, se l’oratorio non può essere un parcheggio, ma deve essere un momento educativo, vanno fatte anche delle scelte in seguito alle quali possano scatenarsi le angosce. Non che l’oratorio le crei, ma le mette solo in evidenza, in quanto sono già nella vita del bambino. Solo così si possono rilevare per intervenire a risolverle. Quei genitori che non comprendono questo dinamismo non permettono ai loro figli di risolvere questi problemi, per cui non li preparano certo alla vita. Infatti sappiamo che ogni tipo di compensazione è una soluzione illusoria al problema delle angosce per il fatto che, venendo meno questa abilità, tutta la costruzione crolla, trascinando la persona nel proprio dramma, e spesso coloro che le vivono vicini restano meravigliati dell’improvviso ed inaspettato cambiamento. Comprendiamo perciò come sia necessario da parte dell’educatore scoprire in tempo queste situazioni per aiutare il ragazzo o l’adolescente a risolvere il proprio problema e non a seppellirlo sotto sovrastrutture che non possono resistere al passar del tempo. Tutti comprendiamo come a questo riguardo sia essenziale una collaborazione genitori-educatori. Ancora una volta i genitori dovrebbero comprendere l’importanza che i figli abbiano a partecipare regolarmente all’oratorio, anche se questo comporta la rinuncia ad altre attività che potrebbero essere più gratificanti, ma certamente meno utili.
Per comprendere meglio l’opera dell’educatore, mi sembra utile sintetizzare questo complesso di angosce. L’atteggiamento inconscio è: perdo perché non so comunicare, in quanto non sono capace. Questa angoscia porta alla claustrofobia, in quanto gli spazi chiusi richiamano la cassa dove sta il morto, in cui non si può comunicare e non si è capaci di fare alcuna cosa; e porta anche all’agorafobia, in quanto negli spazi aperti ci si sente dispersi, quindi non si è nessuno (morti); non si può comunicare perché gli spazi sono vuoti e ci si sente impotenti contro una realtà troppo vasta. Abbiamo accennato a due atteggiamenti che si esprimono come comportamenti tra loro contrastanti. Questo contrasto deve attirare la nostra attenzione in quanto è il segno dell’angoscia che fa da molla a questi comportamenti, per cui si presentano come compulsivi. Per fare un altro esempio, basti pensare all’anoressia e alla bulimia, che è un altro tipo di risposta compulsiva all’intrecciarsi dell’angoscia di morte, di incomunicabilità e di castrazione. Tutti coloro che hanno avuto a che fare con questi comportamenti compulsivi, hanno avuto l’esperienza dello scoraggiamento, in quanto hanno toccato con mano di perdere il tempo, perché lottavano contro una causa inesistente. Da qui la necessità di andare oltre la compensazione per scoprire il vero motivo entro il ginepraio delle angosce.
Forte di queste conoscenze, l’educatore deve portare progressivamente il ragazzo ad acquistare fiducia in se stesso, in modo che prenda consapevolezza delle sue capacità e delle caratteristiche della sua identità, così che sia messo in condizione di superare questa angoscia. Per questo l’educatore-animatore deve studiare giochi e attività che possano rispondere alle esigenze del ragazzo; inoltre deve essere molto attento a che le difficoltà siano proporzionate alle sue capacità, perché, se sono troppo gravi, lo possono scoraggiare e, se sono troppo piccole, possono dargli l’idea che lui è un incapace; in ambo i casi abbiamo un aumento di angoscia, per cui la medicina sarebbe peggiore del male. In ogni caso, giochi e attività devono dargli la possibilità di comunicare con gli altri, così che esca dalla propria solitudine e si accorga di essere vivo.
A questo punto l’educatore potrebbe avere un dubbio: se ho un gruppo di ragazzi con diversi problemi di angoscia e diversi gradi di capacità, come posso proporre loro qualcosa di comune che abbia a rispettare le esigenze di ciascuno? Possiamo rispondere dicendo che, se l’educatore-animatore ha saputo creare in quei ragazzi una dinamica di gruppo, ognuno di loro viene sollecitato e aiutato dalla presenza degli altri, per cui esprime il meglio di se stesso ed anche di fronte a difficoltà, che potrebbero sembrare più grandi delle sue capacità, risponde in modo adeguato, creando in sé una sempre maggior fiducia che lo porta ad uscire da queste angosce. Infatti può sempre fare affidamento sull’aiuto degli altri compagni; ed anche possibili fallimenti vengono ridimensionati dalla presenza dei compagni che incoraggiano a tentare di nuovo. Qui è essenziale che l’animatore-educatore aiuti i ragazzi a non riversare le proprie angosce sugli altri, soprattutto con l’arma dell’ironia nei loro riguardi. Un gruppo di ragazzi capaci di accettarsi per quello che sono e di aiutarsi perché non sono in competizione, ma in empatia, è l’unica strada per risolvere questi problemi.
Se poi l’educatore mette in condizione i ragazzi di vivere anche la loro dimensione religiosa nella dinamica di gruppo, facendoli partecipare alle celebrazioni liturgiche non solo come singoli, ma anche come gruppo, troveranno che solo nella religione, vissuta come incontro col Dio della vita che ci rende capaci di realizzarci, possono risolvere questo problema. Comunicare con Dio attraverso i segni liturgici affina i linguaggi per comunicare anche con gli altri; fare l’esperienza che il Dio Padre di Gesù Cristo è il Dio della vita e che ce la partecipa attraverso i segni liturgici e ci mette in condizione di gustare la vita; tutto ciò ci porta a credere in noi stessi e nelle nostre capacità.
Perciò la religione è essenziale per un cammino educativo come quello che ci siamo proposti, perché altrimenti la meta educativa sarebbe il non senso, in quanto è contraddittorio parlare di educazione e portare la persona a scoprire e a vivere la propria angoscia, per il fatto che si sente vittima degli avvenimenti perché non li può controllare, prigioniera del tempo e dello spazio perché non vi si può muovere come vuole e schiava dei rapporti con le cose e le persone perché non li può gestire a suo piacimento. Comprendiamo subito come si crei una situazione drammatica, che nessun educatore vorrebbe innescare con il proprio intervento. Non ripeteremo mai abbastanza che, per il fatto che siamo battezzati, è inconcepibile un metodo educativo che ignori l’importanza della religione.

LEGAME TRA LE ANGOSCE

Abbiamo ripetuto più volte che le angosce spesso si legano tra di loro, creando un quadro molto complesso, così che risulti più difficile analizzarlo. Perciò mi sembra importante sottolineare anche questi legami per comprendere meglio l’argomento di cui stiamo trattando e così intervenire in modo adeguato per risolvere il problema.
Vediamo il primo legame che si forma tra l’angoscia di morte e l’angoscia di solitudine e di castrazione.
Un’attenta analisi ci porta a comprendere come ci sia uno spazio in cui non è facile distinguere se siamo di fronte all’angoscia di morte o all’angoscia di solitudine e di castrazione, in quanto non è sempre semplice renderci consapevoli se stiamo vivendo un avvenimento o una situazione come perdita o come inadeguatezza a comunicare o come impotenza; spesso infatti queste sensazioni si fondono, in quanto il soggetto vive le perdita per il fatto che non è all’altezza di comunicare e di fare e così abbiamo una confusione delle angosce.
Per comprendere meglio il discorso che stiamo facendo, sarà utile analizzare un esempio.
Prendiamo il caso di un bambino tra i due anni e mezzo e i tre anni a cui nasce un fratellino e i genitori non lo hanno preparato adeguatamente, in quanto erano convinti che tanto il bambino non capiva niente, oppure hanno sottolineato soltanto il volto bello, poetico e gratificante dell’avvenimento: ha visto il pancino della mamma ingrossarsi, gli hanno detto che avrebbe avuto un fratellino con cui giocare...
Poi nasce il fratellino, l’attenzione di tutti è rivolta a quello e non solo per un giorno, ma per lunghi mesi, troppo lunghi per la sua pazienza; inoltre quello non gioca con lui, anzi deve stare attento come fa ad avvicinarsi, altrimenti sono sgridate. In questo caso il bambino ha perso i genitori, in modo particolare la mamma che prima era tutta per lui. Il bambino di cui parliamo, ora sta vivendo questo dilemma: sono io che non li ho soddisfatti perché sono brutto e cattivo, per cui non sono all’altezza delle loro esigenze, oppure li ho persi senza colpa mia, solo perché loro hanno voluto un altro figlio, per cui io ora per loro non esisto più?
Comprendiamo subito come questo complesso di sensazioni portino ad una mescolanza delle angosce di castrazione, di solitudine e di morte.

TRA APATIA E COMPENSAZIONI


Non è necessario spiegare quanto sia drammatica questa situazione per il fatto che la persona immersa in queste angosce è portata a chiudersi in se stessa in un atteggiamento di apatia, oppure costruisce delle forti compensazioni su alcuni aspetti della sua vita che sfuggono a queste angosce e su quelle punta tutte le proprie capacità per convincersi che quelle angosce non esistono più, per cui può vivere una vita normale.
Per comprendere meglio questo discorso possiamo vedere alcuni esempi.
Un ragazzo che ha queste angosce si accorge di giocare abbastanza bene al calcio, immediatamente punta tutta la propria attenzione su questo gioco, rendendolo l’unico punto di riferimento.
Un adolescente vive un misto di angoscia di morte, di solitudine e di castrazione, nel frattempo si accorge di avere alcune doti fisiche che lo portano ad emergere in alcuni tipi di attività; per superare le angosce e le sofferenze che comportano, si fa una sempre maggiore specializzazione al punto da fondere la propria identità con l’abilità. Finché dura questa abilità che lo porta ad emergere, lui ha risolto il suo problema al punto che nessuno si accorge che possa esserci, tanto è vero che si presenta con una condotta normale.
Tuttavia, se viene messo in condizione di non esercitare la propria compensazione, immediatamente riemergono le angosce.


LA FUNZIONE DELL’ORATORIO


Dovrebbe suonare come campanello di allarme ai genitori il fatto che un figlio si rifiuti di partecipare all’oratorio solo perché non fanno giocare quel determinato gioco, oppure non si fanno quelle determinate attività, o perché ha da studiare e fare i compiti.
D’altra parte i genitori devono capire che, se l’oratorio non può essere un parcheggio, ma deve essere un momento educativo, vanno fatte anche delle scelte in seguito alle quali possano scatenarsi le angosce.
Non che l’oratorio le crei, ma le mette solo in evidenza, in quanto sono già nella vita del bambino. Solo così si possono rilevare per intervenire a risolverle.
Quei genitori che non comprendono questo dinamismo non permettono ai loro figli di risolvere questi problemi, per cui non li preparano certo alla vita.
Infatti sappiamo che ogni tipo di compensazione è una soluzione illusoria al problema delle angosce per il fatto che, venendo meno questa abilità, tutta la costruzione crolla, trascinando la persona nel proprio dramma, e spesso coloro che le vivono vicini restano meravigliati dell’improvviso ed inaspettato cambiamento.
Comprendiamo perciò come sia necessario da parte dell’educatore scoprire in tempo queste situazioni per aiutare il ragazzo o l’adolescente a risolvere il proprio problema e non a seppellirlo sotto sovrastrutture che non possono resistere al passar del tempo. Tutti comprendiamo come a questo riguardo sia essenziale una collaborazione genitori-educatori.
Ancora una volta i genitori dovrebbero comprendere l’importanza che i figli abbiano a partecipare regolarmente all’oratorio, anche se questo comporta la rinuncia ad altre attività che potrebbero essere più gratificanti, ma certamente meno utili.

ANGOSCE E FOBIE

Per comprendere meglio l’opera dell’educatore mi sembra utile sintetizzare questo complesso di angosce. L’atteggiamento inconscio è: perdo perché non so comunicare, in quanto non sono capace.
Questa angoscia porta alla claustrofobia, in quanto gli spazi chiusi richiamano la cassa dove sta il morto, in cui non si può comunicare e non si è capaci di fare alcuna cosa; e porta anche all’agorafobia, in quanto negli spazi aperti ci si sente dispersi, quindi non si è nessuno (morti); non si può comunicare perché gli spazi sono vuoti e ci si sente impotenti contro una realtà troppo vasta.
Forte di queste conoscenze, l’educatore deve portare progressivamente il ragazzo ad acquistare fiducia in se stesso, in modo che prenda consapevolezza delle sue capacità e delle caratteristiche della sua identità, così che sia messo in condizione di superare questa angoscia.
Per questo l’educatore-animatore deve studiare giochi e attività che possano rispondere alle esigenze del ragazzo; inoltre deve essere molto attento a che le difficoltà siano proporzionate alle sue capacità, perché, se sono troppo gravi, lo possono scoraggiare e, se sono troppo piccole, possono dargli l’idea che lui è un incapace; in ambo i casi abbiamo un aumento di angoscia, per cui la medicina sarebbe peggiore del male.
In ogni caso, giochi e attività devono dargli la possibilità di comunicare con gli altri.
A questo punto l’educatore potrebbe avere un dubbio: se ho un gruppo di ragazzi con diversi problemi di angoscia e diversi gradi di capacità, come posso proporre loro qualcosa di comune che abbia a rispettare le esigenze di ciascuno?
Possiamo rispondere dicendo che, se l’educatore-animatore ha saputo creare in quei ragazzi una dinamica di gruppo, ognuno di loro viene sollecitato e aiutato dalla presenza degli altri, per cui esprime il meglio di se stesso ed anche di fronte a difficoltà, che potrebbero sembrare più grandi delle sue capacità, risponde in modo adeguato, creando in sé una sempre maggior fiducia che lo porta ad uscire da queste angosce.


ANGOSCE E DIMENSIONE RELIGIOSA

 
  Se poi l’educatore mette in condizione i ragazzi di vivere anche la loro dimensione religiosa nella dinamica di gruppo, facendoli partecipare alle celebrazioni liturgiche non solo come singoli, ma anche come gruppo, troveranno che solo nella religione, vissuta come incontro col Dio della vita che comunica con noi, rendendoci capaci di realizzarci, possono risolvere questo problema.
Perciò la religione è essenziale per un cammino educativo come quello che ci siamo proposti, perché altrimenti la meta educativa sarebbe il non senso, in quanto è contraddittorio parlare di educazione e portare la persona a scoprire e a vivere la propria angoscia, per il fatto che si sente vittima degli avvenimenti perché non li può controllare, prigioniera del tempo e dello spazio perché non vi si può muovere come vuole e schiava dei rapporti con le cose e le persone perché non li può gestire a suo piacimento.
Comprendiamo subito come si crei una situazione drammatica, che nessun educatore vorrebbe innescare con il proprio intervento.
Non ripeteremo mai abbastanza che, per il fatto che siamo battezzati, è inconcepibile un metodo educativo che ignori l’importanza della religione.
 

ANGOSCIA DI CASTRAZIONE E SOLITUDINE



INTRODUZIONE ANGOSCE E SESSUALITÀ


Da parte di molti è emersa la lamentela che il metodo educativo proposto è troppo teorico. Hanno ragione, in quanto l’intento era quello di creare il dubbio che fosse necessario qualcosa di nuovo per dare una svolta ad un’abitudine che non produceva più i frutti sperati. Tutti sanno che le grandi e vere rivoluzioni affondano le proprie radici nelle esigenze di rispondere alle più profonde aspirazioni dell’uomo e perciò nei sentimenti e crescono con la forza delle idee, fino a cambiare la società per renderla conforme a quel concetto di uomo che lentamente ha invaso la cultura. Da questo dato di fatto è nato il metodo educativo che continuamente ha cercato di muovere i vostri sentimenti per farvelo sentire importante e contemporaneamente ha cercato di darvi le motivazioni dell’impegno educativo. Il fatto che siate convinti della verità di questo metodo fa sì che arricchisca la vostra cultura e progressivamente la cultura del vostro ambiente. Tutto ciò vi spiega il motivo dell’impostazione teorica del metodo educativo.
Ora vorrei rispondere alle esigenze di tutti coloro che si stanno interessando a questa proposta di cammino, presentando degli impegni pratici. Ci lasceremo guidare dalla luce dello Spirito santo nel nostro sforzo di organizzare questa parte pratica attorno a due elementi che incidono profondamente nella vita di ogni persona: le angosce e il ruolo sessuale. Non deve meravigliare il richiamo allo Spirito santo, nasce semplicemente dal fatto che, consapevoli di essere relativi, abbiamo bisogno di riferisti all’Assoluto, per non crearci un cumulo di illusioni, infatti quando crollano ci seppelliscono sotto le loro macerie. Questa scelta è stata fatta non perché sia la migliore, ma perché ci dà la possibilità di non disperderci su un campo troppo vasto. Non vogliamo cioè far defluire troppi rivoli dal fiume del metodo educativo per non correre il rischio di ridurne la portata o tanto peggio di essiccare il fiume stesso. Quando praticamente ci si disperde su troppi campi, si dimentica il nucleo centrale, trasformando l’impegno educativo in una formalità che tradirebbe il suo scopo.
Il lettore di queste pagine potrebbe pensare che non è il migliore dei modi partire da un fatto negativo quali possono essere le angosce, per organizzare praticamente un cammino educativo; tuttavia, dato che tutti noi facciamo l’esperienza delle angosce, in quanto sono la prima e più appariscente conseguenza del peccato, mi è sembrato opportuno iniziare il nostro cammino di ritorno all’uomo maturo da questo punto di partenza, in cui abbiamo l’esperienza delle nostre fratture e regressioni, per arrivare ad una visione positiva ed unitaria della persona, in quanto è lo scopo del nostro impegno educativo. Per capire meglio questo discorso proviamo a pensare al terremoto; se vogliamo ricostruire, dobbiamo innanzitutto liberare il terreno dalle macerie. Così il peccato è stato un terremoto nella nostra vita: le angosce sono le sue macerie; noi siamo chiamati a liberare la nostra vita dalle angosce, prima ancora di iniziare la ricostruzione.
Questo come risposta ad un’esigenza che abbiamo rilevato nella proposta del metodo educativo. Infatti, affermavamo che di fronte ai gravi problemi che agitano la nostra società e che creano difficoltà e disagio, soprattutto ai nostri ragazzi, si sente il bisogno di trovarne le cause, di analizzarle, per poter arrivare a risposte che siano il più possibile adeguate. Ignorare il peccato significa non avere il concetto dell’uomo storico, rendendo impossibile ogni metodo educativo. Non possiamo dimenticare che, soprattutto i più giovani, hanno davanti a sé tutta la vita e non possiamo assumerci la responsabilità di metterli in condizione di non raggiungere la pienezza della loro maturazione, in quanto non abbiamo avuto l’avvedutezza di rilevare le loro difficoltà e di aiutarli a risolverle. Mentre scrivo, ho davanti ai miei occhi numerosissime persone di ambo i sessi, soprattutto giovani, oppresse da grossi problemi, le cui radici si affondano in angosce che risalgono agli inizi della loro vita. Queste sofferenze sono caratterizzate da depressione, nevrosi, schizofrenia e paranoia; tutte situazioni che logorano la vita e la rendono insopportabile, in quanto le angosce distruggono ogni possibilità di speranza perché non permettono alla persona di guardare al futuro, ma la obbligano a rifugiarsi continuamente nel passato con regressioni che creano in lei forti rigidità che non fanno altro che aumentare l’angoscia che ne è alla base.
Tutto ciò ci porta a concludere che le angosce e la non recezione del proprio ruolo sessuale sono un gravissimo ostacolo alla possibilità di vivere una vita serena e soddisfacente e quindi di inserirsi pienamente nel progetto di Dio, conosciuto e fatto proprio per mezzo delle celebrazioni liturgiche.
Per questo cercheremo assieme di approfondire questi argomenti per trovare gli strumenti adeguati che portino progressivamente tutti coloro che vogliono seguire questo metodo a superare le proprie angosce e a prendere consapevolezza del proprio ruolo sessuale, così da avere una chiara coscienza della propria identità, che è l’unico solido punto di partenza per la realizzazione del capolavoro della nostra vita. Da ciò vediamo l’importanza dell’argomento che stiamo per affrontare e che richiede tutta la nostra attenzione.

CASTRAZIONE


Se ci chiedessimo quali possano essere le spinte che conducono ma persona a legarsi ad un'altra fino a formare una coppia, avremmo una vasta gamma di motivazioni, alcune positive, altre negative. Mi sembra opportuno soffermarci su due motivazioni che, in sé sono negative, ma che spesso danno la spinta iniziale all'esigenza di trovare un partner e, in seguito, potrebbero anche essere ridimensionate da altre motivazioni più positive.
La prima è data dalla sensazione di castrazione. Questo stato psichico è stato ben studiato dallo psicanalista Sigmund Freud; perciò farò solo quei brevi accenni che possono servire per questa nostra riflessione.
Con questo vocabolo si intende la perdita di qualcosa che per noi è importante per poter avere una chiara idea della nostra identità. Per comprendere meglio questo discorso dobbiamo tener presente ciò che abbiamo detto nell'argomento della sessualità-genitalità, che cioè la sessualità è un elemento essenziale della nostra identificazione. Ora, la non chiara recezione del proprio ruolo sessuale e la paura del non funzionamento della nostra genitalità portano alla sensazione di castrazione, che inevitabilmente spinge nel grande mare dell'angoscia, di cui parleremo più avanti.
Parlando di castrazione, dobbiamo distinguere tra castrazione fisica e castrazione psichica; quella fisica è data dalla mancanza o dal non funzionamento degli attributi genitali. Questo non interessa certamente voi, altrimenti non sareste qui. Vediamo invece la seconda che è la castrazione psichica, che nasce da un complesso di fattori, compresa la carenza affettiva, e porta la persona a non sentirsi come gli altri. Potremmo tradurre con queste parole l'atteggiamento inconscio: se fossi come gli altri mi amerebbero; se non mi amano, è perché sono diversa. Dato che questo essere diversa dagli altri prende la persona nella propria globalità, comprende anche il suo essere sessuata e la sua capacità di uso della genitalità, e ciò anche se la persona è fisicamente è normale.
Ai componenti il gruppo, che partecipavano a questi incontri, è stato chiesto se pensavano di essere sessualmente normali, la risposta è stata unanime: tutti pensano e sono sicuri di essere sessualmente normali.



DIFFICOLTÀ NELLO SVILUPPO


A questo riguardo dobbiamo tener presente che lo sviluppo genitale comporta anche delle difficoltà, per cui la persona incomincia a dubitare delle proprie capacità. Questo dubbio riemerge di fronte ad ogni difficoltà che non si riesce a risolvere immediatamente. Infatti di fronte al fallimento in qualunque campo, la psiche globalizza lo stato d'animo in uno stato negativo che potremmo esprimere con la frase: "Non sono capace" e questo stato d'animo coinvolge anche l'espressione della genitalità, anche se in modo non del tutto consapevole; si creano così elementi sempre più complessi per concludere la propria incapacità e quindi aumentare il senso di castrazione. Ne segue che il senso di castrazione è sempre accompagnato dal senso della propria inadeguatezza, che porta la persona a sentirsi incapace di fronte ad ogni situazione, senza neppure verificare se sono situazioni facili o difficili; da qui una globale sfiducia non solo nelle proprie capacità, ma anche in se stessa, minando così il sentimento della propria identità. Ci troviamo di fronte ad una persona dispersa alla disperata ricerca di un riferimento per sentirsi qualcuno. Se questa ricerca si rende più acuta nel momento della pubertà, diventa inevitabile che si riversi su una persona, che sia vicina per età e che spesso abbia i medesimi problemi; se poi questa persona è dell'altro sesso, per i due è normale che si crei una coppia, ignorando il cumulo di problemi che comporta e che, qualunque sia l'esito di quella esperienza, lasciano sempre tracce nella loro vita.

DALLA SENSAZIONE ALL’ANGOSCIA


Non dobbiamo dimenticare che la sensazione di castrazione comporta sempre un'angoscia. Noi sappiamo che l'angoscia è il segno della disperazione, che ha una grande varietà di cause e che si esprime in molteplici atteggiamenti. Non ci dilunghiamo su questo argomento per fermarci solo sull'angoscia di castrazione. Per poter capire il suo influsso sulla coppia, sarà utile fare alcune annotazioni.
In primo luogo l'angoscia è sempre fonte di sofferenze, in quanto la persona sente tutto il peso di se stessa e del proprio fallimento, ha la sensazione della impalpabilità della propria identità, per cui non si riconosce e spesso si chiede: "Ma chi sono io?". Anche quando accosta la realtà si sente angosciata, in quanto si trova di fronte più al mutare delle cose che non alla loro consistenza e ciò avviene anche nei riguardi delle persone. Tutto ciò deriva dalla struttura della sua stessa psiche carente di solidità. Possiamo così distinguere la sofferenza che nasce dal senso di vuoto dentro e fuori la persona, la sofferenza che si prova di fronte all'incapacità di comunicare per il prevalere di ciò che muta su ciò che rimane, la sofferenza della perdita che è sempre accomunata all'angoscia di morte.
Inoltre l'angoscia di castrazione porta alla paura nei riguardi della realtà, perché la si sente più forte delle proprie capacità, per cui ci si sente schiacciati; ma soprattutto alla paura nei riguardi degli altri, quasi che abbiamo scritto in fronte la nostra incapacità, così che possano individuarla e misurarla. Tutto ciò porta a chiudersi in se stessi, a non comunicare, anche se si sente un grandissimo bisogno di stare con gli altri. Queste persone si inseriscono nell'ambiente, stando sempre in difesa, quasi che tutto sia loro nemico. Questo atteggiamento le porta a interpretare male tutti i comportamenti degli altri, quasi che siano assunti volontariamente contro di loro. Ne segue che, quando trovano una persona, soprattutto dell'altro sesso, che si interessa di loro e assume un atteggiamento di protezione, immediatamente le si attaccano.
L'angoscia di castrazione, infine, fa emergere una forte ambivalenza che passa dal desiderio di recuperare la fiducia in se stessi e quindi la propria identità, all'ansia di avere una prova in più della propria incapacità, per cui si è fortemente instabili di fronte alle situazioni; si passa dall'entusiasmo alla depressione, dalla manifestazione di buona volontà alla totale abulia; si intraprendono le cose e non si conducono a termine. Ciò lascia sempre amarezza nelle persone che vivono vicino, aggiungendo nuovi elementi per un giudizio negativo nei propri riguardi. Questa ambivalenza viene portata anche nei rapporti col proprio partner, facendogli esercitare un'estrema pazienza.

LA MASTURBAZIONE

Questo quadro complesso che abbiamo delineato e che è legato all'angoscia di castrazione porta spesso anche alla masturbazione come compensazione alla sfiducia in se stessi e nelle proprie capacità. La persona che non si fida delle proprie capacità e quindi ha l'angoscia di castrazione, tutte le volte che si trova in difficoltà e non sa superarla, si rifugia nella masturbazione per provare a se stessa che ha la capacità di usare i propri organi genitali, perciò ha la quasi certezza di poter essere feconda. Infatti inconsciamente la fecondità è ritenuta l'indice della propria capacità di sopravvivere a se stessi attraverso il figlio, perciò diventa uno strumento per superare l'angoscia di morte. Tuttavia ci troviamo di fronte ad un atteggiamento perverso in quanto il gesto della masturbazione per sua natura non può essere fecondo.
Tenuto presente ciò che è stato detto, non meraviglia il forte legame che esiste tra lo scoraggiamento e la masturbazione. A questo riguardo sarà utile tener presente che possiamo trovarci di fronte ad una specie di scoraggiamento anche nei momenti migliori in cui la persona è fortemente gratificata; nel senso che la persona ha l'impressione che non meriti quel momento di soddisfazione e che poi seguiranno momenti di delusione; da qui la difesa nella masturbazione. Quando parlo di masturbazione, intendo sia quella individuale che quella di coppia.
Ad una domanda specifica sulla masturbazione tutti hanno risposto indistintamente di non rifugiarsi in questo atteggiamento. Tuttavia sorge un dubbio: dato che nell'incontro precedente avevano affermato la liceità e la bontà dei rapporti prematrimoniali, ci si chiede se non ricorrono alla masturbazione per il fatto che hanno tra loro rapporti genitali, oppure per loro la masturbazione fa parte del loro modo di essere al punto da non farne problema. Il dubbio si fa ancora più forte, se osserviamo gli atteggiamenti che assumono normalmente nei rapporti reciproci. Certo si coglie nei loro atteggiamenti una contraddizione che può essere frutto della cultura in cui vive la nostra società. Tenendo presente che si può verbalizzare la propria angoscia di castrazione con parole o gesti, si è chiesto loro se usassero parole o gesti come richiamo della loro genitalità. I ragazzi ammettono di usare parole e gesti che richiamano la loro genitalità, tuttavia affermano che fanno ciò per abitudine e non per angoscia di castrazione. La ragazze invece dicono di non usare mai né parole né gesti.
Tenendo presente che la coppia man mano si forma, crea una propria psicologia, che sfocia poi nella psicologia dell'unità, che fa parte integrante della famiglia, ed essendo la psicologia di coppia la sintesi delle psicologie dei due partners, che spesso esprime in modo forte i limiti e i difetti di tutt'e due, si comprende la necessità di un cammino serio e impegnato di maturazione.


LA CONQUISTA DELL’ALTRO

Questo quadro complesso rende comprensibile l'atteggiamento di conquista che la persona ha nei riguardi dell'altro. Infatti la sensazione di conquistare l'altro col proprio fascino o con la propria amabilità crea una specie di nuova fiducia in se stessi; non è certo la fiducia che nasce dalla coscienza della propria identità, è una compensazione, che tuttavia dà la forza di impegnarsi in tutti quei campi che direttamente o indirettamente riguardano il mantenimento dello stato di conquista dell'altro. Ci troviamo di fronte ad una spaccatura della personalità in quanto tutto ciò che riguarda il rapporto col partner impegna e crea fiducia, mentre tutto il resto lascia nell'abulia, in quanto richiama la sfiducia in se stesso e quindi l'ansia di castrazione.
Un altro limite di questo atteggiamento sta in questo fatto: tutte le volte che il partner non dà l'impressione di essere conquistato, si entra in una spirale di depressione che riporta alla sfiducia.
Se la conquista dell'altro è una compensazione all'angoscia di castrazione, quando la coppia si forma su questo atteggiamento e coinvolge ambo i partners, perché hanno gli identici problemi, la vita di coppia si trasforma in una tensione che si esprime come continuo tentativo di predominio sull'altro. In questa situazione sono all'ordine del giorno i litigi, in quanto ciascuno cerca di far prevalere le proprie idee, i propri desideri, i propri modi di vedere le cose, le proprie decisioni. Infatti ogni volta che si riesce in questo tentativo ci si sente capaci e quindi si compensa l'angoscia di castrazione. Questo quadro porta all'incapacità di comprensione reciproca, al rifiuto totale del perdono quando l'altro sbaglia, all'imposizione dei propri capricci come segno di supremazia. Ci troviamo di fronte all'atteggiamento tipico dei bambini che lottano per avere il predominio sul gruppo, solo che qui bambini non dovremmo essere. Se rimane questo atteggiamento anche nel matrimonio, in quanto capita spesso che due si sposano solo per non cadere nell'angoscia della perdita, che sarebbe più una perdita della compensazione alla propria angoscia di castrazione che non dell'altro, la vita familiare sarà sempre una lotta per la supremazia. Questa lotta è destinata col tempo a vedere un vincitore e uno sconfitto e, in questo caso, abbiamo un padrone e uno schiavo. Lo schiavo spesso, se gli va bene, si accontenta di vivere di pastiglie antidepressive, altrimenti il neuro è un luogo di passaggi sempre più facili e frequenti. Potrebbe anche avere due sconfitti nel caso in cui, ed è frequentissimo, i due dopo l'ennesimo litigio, vanno dall'avvocato per invocare la separazione per incompatibilità di carattere. E così ambedue ritornano brutalmente nell'angoscia di castrazione.
Dopo questo discorso, è stato chiesto alle coppie se il loro rapporto fosse di rispetto reciproco o di predominio; con unanimità hanno affermato che il loro rapporto è fondato sul rispetto reciproco. A distanza di non molto tempo da questi incontri, di fronte all'esperienza della rottura di qualche coppia e all'emergere di questi problemi, mi sono chiesto se questa loro risposta corrispondeva alla verità, oppure esprimeva semplicemente un loro desiderio che li aiutasse a superare il mare di insicurezze in cui stavano vivendo.


L’ESPERIENZA DELLA PERDITA


Per capire meglio questa situazione sarà utile che fermiamo brevemente la nostra attenzione sull'esperienza della perdita. Quando il bambino piccolo si sente abbandonato dai genitori, anche se loro hanno la piena giustificazione, in quanto l'abbandono avviene per motivi seri, quali il lavoro o altri impegni, il bambino non comprende questi motivi, per cui vive questi momenti di assenza dei genitori come una perdita che crea ansia e angoscia. Se i genitori, man mano il figlio cresce, non sono attenti a fargli comprendere come gli vogliono bene, anche se sono obbligati ad allontanarsi da lui per ragioni di impegni, il bambino cade nell'angoscia di perdita ed essendo egocentrico cerca in se stesso il motivo di questa perdita, per cui conclude che ciò avviene perché lui è brutto e non sa soddisfare i propri genitori, quindi è un incapace. In alcuni casi poi, quando la comunicazione coi genitori è già difficile, il bambino con la perdita dei genitori vive anche la perdita di se stesso, in quanto, non avendo ancora uno schema corporeo, si identifica completamente in loro, in questo caso subentra anche una forte difficoltà ad identificarsi; da qui nasce l'angoscia di morte. Entriamo così nell'ambito dell'argomento che stiamo trattando e non voglio ripetere ciò che già ho detto.
Continuiamo ora il nostro discorso riferendoci alla coppia.
Quando si protrae questa situazione psichica nel periodo dell'adolescenza, la persona si trova a mancare del senso della propria identità e, nello stesso tempo, sente il bisogno di sapere chi è, per cui va alla ricerca di un partner su cui riferirsi per recuperare la propria identità. Ne segue che il partner viene visto in funzione di specchio: se lui ha le stesse idee, si interessa delle medesime cose, ha gli stessi gusti, significa che io non sono un fantasma, ma ho una mia realtà, in quanto l'altro è reale e nello stesso tempo riflette me stesso. Inoltre ci si rivolge al partner per avere la sicurezza che i propri atteggiamenti e i conseguenti comportamenti siano giusti. Se poi la mia presenza soddisfa il partner, significa che anch'io valgo qualcosa, perciò sono capace di fare qualcosa, quindi la mia angoscia di castrazione è falsa.
Tutto ciò non solo è gratificante, ma diventa essenziale, per una solida coscienza dell'Io, per cui ci si attacca al partner, come l'edera si attacca all'albero, così che il partner assume la funzione di coscienza e diventa la propria sicurezza. Questa situazione blocca il cammino di maturazione della persona e quindi impedisce una vera vita di coppia. L'attaccamento reciproco, per il fatto che nasce da questo complesso di angosce, ha sempre una forte ambivalenza di amore-odio, perciò non è facile dare un giudizio sugli atteggiamenti che orientano verso comportamenti tra loro contrastanti e neppure ci si deve meravigliare che si alternino momenti di grande intimità e consonanza di sentimenti a momenti di forte tensione; momenti in cui si è pronti a dare la propria vita per l'altro, si alternano a momenti in cui l'altro diventa un peso noioso.
Entro questo quadro possiamo rilevare un fatto che non può essere sottovalutato, cioè la tendenza a scaricare sul partner i propri problemi. Comprendiamo subito che è un atteggiamento egocentrico, ma per non sentirsi in colpa lo si razionalizza con una motivazione tanto comune quanto banale: "Se mi ama, deve accettarmi per quello che sono". Essendo questa affermazione metà vera e metà falsa, noi cerchiamo di farla passare per la parte che è vera, ignorando la parte falsa. Siamo d'accordo che chi ti ama deve accettarti per quello che sei, ma ciò non giustifica che tu abbia a mettergli sulle spalle solo ciò che in te è negativo e tanto meno che tu non abbia a fare alcuno sforzo per migliorare.


L’ALTRO È LA MIA IDENTITÀ


Se l'altro è la mia identità, ne segue che non posso assolutamente perderlo. Da qui nasce l'atteggiamento di totale disponibilità all'altro, al punto di essere pronti a dare tutto pur di non perderlo. A questo modo si distrugge anche la parvenza di personalità che poteva apparire all'inizio, in quanto si fa di tutto per ricopiare l'altro in tutto ciò che gli può piacere; non solo, si arriva ad annullare la propria volontà per accettare quella del partner in modo acritico, sia nel bene che nel male. Infine si è pronti a dargli tutti i segni affettivi che si sa che gli fanno piacere, fino ad arrivare al rapporto genitale. Non vorremmo perciò che la giustificazione dei cosiddetti rapporti prematrimoniali nasconda questa situazione di carenza di personalità. Tutto ciò viene coperto sotto la giustificazione che ci si vuol bene. Quanto sia il bene che ci si vuole, quando si distrugge completamente la propria identità pur di attaccarsi all'altro per non sentire l'angoscia di castrazione, lo lascio decidere a voi!
Conoscendo la labilità psichica degli adolescenti, rilevata da tutti gli addetti ai lavori, dopo aver fatto tutto questo discorso, si poteva avere il dubbio di un possibile atteggiamento di acquiescenza anche al ricatto pur di mantenere il proprio partner, invece su dieci persone solo una ha risposto che cederebbe al ricatto pur di non perdere il partner; due hanno risposto che dipende dalle situazioni; mentre gli altri hanno risposto con un no preciso e categorico. Inoltre risulta che nessuno prova angoscia di solitudine anche se è da solo, per cui non ricerca il partner per superare questa angoscia. Su questo stesso argomento alla richiesta se la ricerca del partner porta a venir meno ai propri impegni e doveri per stare con lui, solo uno ha risposto che qualche volta viene meno ai propri impegni per stare col partner, mentre gli altri hanno risposto di no, tranne due che non hanno dato risposta. Va annotato, al riguardo, che spesso la teoria non corrisponde alla pratica; non certo per malafede, ma per il fatto che gli adolescenti facilmente usano la memoria in modo selettivo, così che ricordano solo quello che è conforme allo schema che si sono creati, per poter dare maggior solidità alla fiducia in se stessi.


IL DRAMMA DELL’ABBANDONO


Quando la vita di coppia viene fondata sull'angoscia, l’abbandono da parte dell'altro viene vissuto come un dramma acuto e insopportabile. Infatti questo abbandono porta in un modo intenso all'angoscia di perdita, già vissuta nella propria prima infanzia. Colui che è abbandonato si sente disperso e quindi senza una propria identità. Tutto ciò porta alla disperazione che si esprime con una chiusura verso la realtà, così da non comunicare più con nessuno. Questo atteggiamento può esprimersi col chiudersi in casa; oppure si esprime col rifiuto di ogni tipo di ideale, così da buttarsi in una vita dissipata per non più pensare e, infine, si può assumere atteggiamenti di autodistruzione nel tentativo di far sorgere nell'altro sensi di colpa e quindi farlo tornare sulle proprie decisioni. Vanno visti in questa luce tutta una serie di tentati suicidi, che vengono studiati non per morire, ma per spaventare.
L'autodistruzione spesso porta all'alcool o alla droga. Possiamo dire che sono la tappa finale di un cammino falso che si è voluto portare avanti pur di non affrontare le cause delle proprie angosce per poter conoscerle e, se possibile eliminarle, oppure accettarle come momento di sofferenza della propria vita. Solo una società, che ha distrutto il concetto di uomo, fa di tutto per cancellare il vocabolo "sofferenza" dalla propria memoria; ma non fa che creare dei mostri sempre più orribili.
Concludiamo la riflessione con una domanda: "Quale sarebbe la mia reazione, se il partner mi lasciasse?". Attraverso le risposte possiamo vedere quanto possa essere l'equilibrio della coppia che ci sta davanti. Le risposte presentano stati d'animo ed atteggiamenti diversi secondo la maturità psichica dei componenti le coppie. La maggior parte mette in evidenza lo scombussolamento iniziale, a cui segue la volontà di ricostruire la propria vita. Qualcuno non ammette in nessun modo la possibilità di tale avvenimento. Questo atteggiamento è segno di una difesa, oppure di una totale sicurezza nei riguardi del rapporto reciproco? La risposta non è certamente facile. Le altre coppie delineano un passaggio dal totale disorientamento psichico che nasce dal venir meno di una situazione che ormai aveva dato un volto alla propria vita, alla presa d'atto del venir meno di una situazione che era soddisfacente, dimostrando più un'attenzione al passato che non al futuro.
Per approfondire meglio l'argomento e aiutare le coppie a conoscere se stesse e le proprie reazioni di fronte ai fatti della vita, è stata posta un'altra domanda: "Senza il partner mi sentirei ancora me stesso, oppure mi troverei disperso?". La risposta diventava un po' la verifica di ciò che era stato affermato nella domanda precedente. Tutti mettono in evidenza il disorientamento al momento in cui la coppia si scioglie, tuttavia quasi tutti continuano, affermando di non perdere la propria identità. Anche di fronte a questa domanda una coppia non ammette l'idea, anche ipotetica, che tutto possa finire.
Non possiamo ignorare che il cammino di coppia non sia sempre facile, per cui ci si chiede quale possa essere l'atteggiamento di fronte ai problemi. Tutti hanno delineato in modo più o meno chiaro una progressiva richiesta di aiuto, in quanto hanno la consapevolezza che da soli non riescono a risolvere i propri problemi. Dapprima parlano dei propri problemi col partner, poi se la coppia non riesce a trovare una soluzione, allora si aprono ad una persona che non solo ispiri fiducia, ma che sia vista anche come competente.


di Don Carlo Colombo

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