di Pierangelo Colombo

venerdì 18 maggio 2018

Cesare Pavese


  


Cesare Pavese è nato a Santo Stefano Belbo, un paesino delle langhe cuneesi, nel 1908, il padre morì quando lui era ancora in tenera età; educato rigidamente dalla madre, con lei ebbe un rapporto difficile. Vicende che contribuirono alla formazione del suo carattere particolarmente introverso e scontroso. Educato al liceo D'Azeglio di Torino, ebbe tra i professori Augusto Monti, un fine letterato piemontese antifascista. Ideali di libertà che trasmise a molti dei suoi allievi, come Massimo Mila, Leone Ginzburg e Norberto Bobbio. Antifascista anch’egli, Pavese si laureò giovanissimo in lettere (1930) con una tesi su Walt Whitman, cominciò subito dopo a vivere di lezioni private e traduzioni, finché divenne collaboratore della casa editrice Einaudi dalla sua fondazione nel 1933. Venuto in sospetto al governo fascista, fu condannato a tre anni di confino a Brancaleone in Calabria nel 1935: ne scontò poi meno di uno, avendo ottenuto la grazia.
  Poco dopo il suo rientro del confino, pubblica il suo primo libro di poesie, Lavorare stanca. Durante la guerra si trova a Roma per conto di Einaudi, ma ben presto si rifugia in Monferrato, dove nascono le idee per le sue opere migliori, uscite nel dopoguerra, Dialoghi con Leucò e La casa in collina. Tuttavia la depressione, che l'aveva già colpito durante l'adolescenza, non gli dà tregua. Riprende il lavoro con Einaudi, ottenendo inoltre il Premio Strega nel 1949 con La bella estate, e scrivendo anche La luna e i falò, considerato il suo racconto più maturo stilisticamente.
 Nell'agosto del 1950 si toglie la vita, all'albergo Roma a Torino, dopo l'ultimo fallimento sentimentale.  
 Nel suo diario, il "Mestiere di vivere", pubblicato postumo, Pavese si sofferma anche sulle proprie varie vicende sentimentali, dall'amore per la donna dalla voce rauca, all'amicizia per Fernanda 
 
 
 
 Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

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