di Pierangelo Colombo

mercoledì 23 maggio 2018

Le famigerate classifiche di vendita

  Scritto un libro non rimane che venderlo. Assodato quanto la sfericità della Terra, ma anche difficile quanto scalare una montagna, non per nulla si dice ‘scalare la classifica’. Ma quanto sono vere le classifiche di vendite che ci propinano regolarmente? 

  Bisogna innanzitutto precisare che si tratta di dati basati non sul numero esatto di copie vendute, ma di stime. Gli editori conoscono il numero esatto delle copie stampate, di quelle già distribuite ai librai, ma per conoscere i dati reali di vendita dovranno aspettare di avere il reso delle copie invendute. Dunque le classifiche vengono fatte su stime di vendite. Dati raccolti monitorando le vendite di un campione statistico di 900 librerie, indipendenti e di catene, dati che si incrociano poi con le informazioni provenienti da informazioni editoriali (il più grande data base in Italia sul libro) che trae informazione da Alice (catalogo di tutti i libri pubblicati o di prossima pubblicazione) da Messaggerie Italiane (il più grande distributore in Italia) e da e-Kitāb (catalogo ebook pubblicati). Esclusi, dunque, sono Amazon e tutti le piattaforme digitali, la grande distribuzione e i mercati oltre ai numerosi siti che vendono Ebook. Quindi una grande fetta del mercato non rientra nelle statistiche di vendita.
  Nelle classifiche, oltretutto, mancano le così dette code lunghe, quei libri, cioè, che non vendono molto nel breve tempo, ma sul lungo periodo. 
  A cosa servono dunque le classifiche? Semplice: a vendere di più. Una vetrina che attira i lettori: ogni libreria ha un’intera parete dedicata alla classifica, così come i giornali vi dedicano un’intera pagina. Un libro che entra in classifica conquista pubblico, invoglia i librai a comprarne un considerevole numero di copie, dando vita ad un circuito che si autoalimenta. Un modo, dunque, di pubblicizzare il prodotto. Uno delle voci più importanti degli investimenti degli editori, infatti, è proprio la pubblicità.
  La pubblicità sui giornali, a detta degli esperti nel settore, non ha più il peso di qualche anno fa, calcolando che si va dai 4.000 euro per una pagina in un supplemento agli 8.000 per un quotidiano nazionale, il ritorno di vendite non è così cospicuo da allettare un editore all’investimento. Diverso il discorso per la rete, in America, ad esempio, più del 70% della pubblicità del settore investita nell’on line, specie su blog specializzati nel settore.  
  Ci sono poi le vetrine delle librerie e nelle grandi catene di distribuzione. Spazi che vengono pagati anche profumatamente. Ogni posizione ha un suo prezzo, che varia a seconda se si trova all’ingresso oppure alla cassa, un espositore o fra gli scaffali. Cifre non indifferenti, che variano fra i 7.000 e i 15.000 euro. Quando si parla di classifiche di vendita, quindi, conta molto il capitale investito dall’editore, senza contare la preparazione della strategia di marketing, anch’essa un investimento di denaro e risorse umane. Un team che prepara a tavolino ogni mossa per non lasciare nulla al caso, persino la scelta del giorno d’uscita del volume ha una sua importanza: la classifica per gli editori esce il giovedì, quindi se si lancia un libro al mercoledì, questi avrà un solo giorno di rilevamento, ma se lo si fa uscire il venerdì si avrà il vantaggio di averlo fra i rilevamenti per un’intera settimana.
  In conclusione, quindi, le classifiche sono uno strumento di pubblicità, non il vero indice di gradimento del pubblico. Per conoscere il vero valore di un libro, dunque, occorre il tempo.  

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