di Pierangelo Colombo

martedì 13 febbraio 2018

Intervista all'autore, Emilio Diedo



 
 Emilio Diedo
 
Emilio Diedo, vive a Ferrara. Poeta, saggista, autore di romanzi, racconti, fiabe, testi teatrali, critico letterario. Collabora con giornali, case editrici e riviste culturali. Le sue opere spaziano dal teatro: Mariéta Penèa; Madama Etrom, alla poesia con Mea culpa; Risorgeremo; Tra mille e più; Fotoni; Le ebrezze di Chonos; Poesie (1999); Sbarchi d’arche; La Fiamma sulla Croce; Spicchi di Specchi; Reale apparente. Giochi d’esistenza. Per la narrativa ha pubblicato: Farfalle d’autunno; Lettera dal paradiso; Stelle di terra e l’ultimo romanzo Diario di chi?
  Lavori che hanno portato all’autore, uno degli esponenti della Poesia Cosmica, numerosi premi come “Noi e gli altri”1996; premio “Valle Senio” 2004; premio selezione “Janus Pannonius” 2000; premio “Atheste” 1998; “Arcobaleno della vita”, solo per citarne alcuni. Con quasi tutto il suo repertorio letterario è stato prescelto come espositore per la “Biennale d’arte contemporanea Città di Roma-Jubilaeum 2000” ed è poi stato decretato vincitore assoluto per la letteratura. È socio fondatore del Gruppo Scrittori Ferraresi.

    Ed è per me un onore avere l’opportunità di porgli qualche domanda.



Intervista ad Emilio Diedo





Voglio innanzitutto ringraziarti per la squisita disponibilità. Iniziamo con qualche domanda per conoscerti meglio.  
- Quale ruolo riveste la scrittura nella tua vita? Condivisione, liberazione, evasione o che altro?
- Mi sento, prima d’ogni altra considerazione, libero nell’atto dello scrivere. Nel contempo tale libertà interiore corrisponde anche ad una rimozione delle problematiche del contingente, ossia ad un’evasione da quel me stesso che mi rende materia e corpo nella quotidiana marea. Poi, posso dire che, almeno per quello che sento nel mio impulso a scrivere, istintivamente vorrei che quel nero sul bianco che mi spinge a fantasticare potesse in qualche modo essere recepito da altri, magari da un mio affezionato lettore.

- Come scrittore sei più allodola o civetta, trai più ispirazione nella notte fonda oppure trovi che il mattino abbia l’oro in bocca?
- Dovendo soppesarmi nell’ambivalenza d’una tale metafora, direi d’indossare un po’ i panni (pardon: le piume) di tutti e due i volatili. Ma, pensandomi secondo la metafora che realmente mi farebbe sentire in linea con un certo tipo d’uccello, di giorno, crederei d’essere rondine prima di qualsiasi altro tipo di volatile. E vada pure, per la notte, la maschera della civetta. 

- Quali sono stati i tuoi autori di formazione?
- Al di là delle più elementari proposte che mi sono pervenute dalla scuola dell’obbligo e da quella superiore, credo che, pur percependo inconsciamente un risultato di sintesi sia dell’uno che dell’altro autore, italiano o straniero che fosse, sintesi inevitabile che sento d’avere fagocitato ed a stento  digerito, il mio modello di scrittura sia abbastanza indipendente da stili, schemi e soprattutto (specie parlando di poesia, ma non solo) da canoni. Per me scrivere significa unicamente dar libero sfogo alla fantasia col musivo impiego delle parole, con tutte le sue sfaccettature ed inclinazioni. E se regole decido di seguire, preferisco inseguirne dei prototipi, creandomele ad arte. Vedasi la mia ultima pubblicazione poetica, Reale apparente. Giochi d’esistenza, del 2013, manifesto per una nuova metrica.

- Tu spazi fra poesia cosmica, racconti, favole e romanzi: c’è un filo che lega in qualche modo i tuoi lavori?
- Sì e no, più sì che no! Nel senso che generalmente nutro le diverse categorie letterarie con comuni bocconi di fantasia, ossia con i concettuali elementi che mi premono nella mente, impazienti di farsi scrittura, divenendo talora poesia, talvolta racconto… persino romanzo, di sovente travasandone i contenuti dall’una all’altra categoria. Però, soprattutto se trattasi di romanzo, o comunque di scrittura dal lungo respiro, l’ispirazione tende ad avere un’origine ben defilata e preferenziale.
Il “Cosmo”, be’, hai scovato la mia fonte d’estroversione primaria, fonte esistenziale, più che essenziale. È proprio in considerazione dell’infinita incontenibilità del Cosmo che riesco a concentrare, a elaborare la mia creatività. Chiaramente ciò che ne trae maggiore sviluppo è la poesia. Non occorrerebbe neppure dirlo.

- Quanto conta la conoscenza diretta della vita quando ti racconti? Quanto invece l’immaginazione.
- Dalla vita traggo l’essenza, base imprescindibile per interrare in una realtà, per quanto fittizia possa essere, quelle mie mille imprevedibili incursioni nel mondo della fantasia, dei sogni, d’un ludico introiettarsi nella dimensione di quell’altra barriera che è l’irrealtà capace di farsi letteraria quotidianità, idonea, piacevole misura finalizzata ad una culminante lettura. Perché, sì, se scrivo di narrativa, prima di chiudere con la parola “fine”, ho la pretesa di farmi lettore di me stesso e di verificare se lo ‘scrittore’ sia stato davvero all’altezza del ‘lettore’, garantendogli assorbente assuefazione, soprattutto scongiurandogli quella cattiva conduttrice che è la noia d’un contesto scritturale infimo, povero di folgorazioni, di vere emozioni.
E qui, è evidente, sta anche il ruolo dell’immaginario. Tramite l’immaginazione si scrive veramente! Non si scrive di soli aneddoti o di poche viscerali vicissitudini. Lo scrittore deve cercare di legare alla verosimile realtà la creatività, all’insegna d’una facezia che effettivamente sia tale, che renda davvero l’idea della scrittura creativa, nel senso pieno del significato.   

- Approfondiamo ora il tuo ultimo romanzo, Diario di chi?. Com’è nata l’idea?
- Il suo abbrivo l’ho percepito come tutte le altre proiezioni nel fantastico che, appunto, la cosmica, illuminante dimensione dell’essere di volta in volta mi suscita, istigandomi a farneticare, a frugare tra le infinite ragnatele del pensiero incarnato. E nell’occasione il pensiero ha voluto erigersi ad ogni costo a frastornante campana, prendendomi per mano ed accompagnandomi in un percorso impervio fin dall’inizio ma, a me stesso, entusiasmante. Cosicché il minimo sprazzo mentale abbia saputo trovare dialogica controparte, allargandosi fino a divenire ampia visione… e poi, dopo una sua idonea maturazione, materia ottimale di scrittura. In pratica, è nato ed è stato partorito come tutte le altre narrazioni che un autore vorrebbe ad altri far leggere. Niente di più!

-  La storia è ambientata nella Ferrara del futuro, proiettata in avanti più di cent’anni; è stato difficoltoso immaginare la società a venire, considerando con quale velocità le nuove tecnologie cambino il nostro stile di vita e l’ambiente stesso? C’è un motivo particolare del perché hai scelto la tua città?
- Inizio dalla fine. Ho scelto Ferrara perché ci vivo e ne conosco abbastanza bene, prima di tutto, la topografia, elemento essenziale per svolgere una trama radicata ad una determinata territorialità certa. Poi, conosco la sua propensione economica e sociale. E, altro particolare non di poco conto, conosco le abitudini dei ferraresi, le loro tendenze di pensiero. Ma, siccome sono veneziano d’origine, nel contesto ho riservato anche a Venezia un suo piccolo spazio, un ruolo minimale ma inclusivo.
La società futura che descrivo nel romanzo è semplicemente frutto della mia ottimistica, pacifista, accomodante volontà d’espandere l’umanità nella storia. Non di farne un catastrofico, apocalittico repulisti. È volere che il mondo funzioni secondo una prioritaria tendenza all’amore, anziché no. In sé sembrerebbe un’utopia. Lo so. Me ne rendo conto. Ma, uno dei tanti Tommaso Moro, ho voluto, ho preteso ed osato esprimermi alla maniera d’un Don Chisciotte che, per una volta tanto, ha avuto ragione di quei titanici, meccanici, insormontabili mulini a vento. Un poco per ciò ed in parte perché ho voluto dare umana voce anche alla fauna, Il Resto del Carlino, in una sua generosa recensione, ha definito il mio romanzo come una “favola moderna”. Devo però pur dire che certe questioni squisitamente etiche, finanche nell’epoca di cui narro, non troveranno definitiva soluzione, finendo per essere rimpallate all’infinito, stelle comete senza tempo, senza una finale meta.
Quanto alla descrizione delle tecnologie, pur divertendomi giocando ad inventare meccanismi e congegni strani, ho dovuto comunque impegnarmi in una ricerca scientifica quasi estenuante, a tutto tondo. Ed ho perciò ritenuto opportuno riportare alcune note esplicative in calce, giusto per dare un minimo di credibilità a quanto di similmente scientifico ho dovuto inventare. Non mi va a genio d’usare l’attributo ‘fantascientifico’ semplicemente perché il romanzo non è finalizzato ad una scienza sbalorditiva ma ad una coscienza socialmente utile. Mi piace inoltre precisare che non sono un patito delle note, riguardo ai testi creativi (tutt’altro!), ma per questo romanzo ho reputato utile che ce ne fossero. È la prima volta che chioso uno scritto narrativo. Discorso a parte per altri miei testi saggistici, naturalmente.    

-  Vuoi raccontarci la trama del romanzo?
- Preferirei che fosse un potenziale lettore a leggersela. Ad ogni modo posso dire che il tiolo è icastico della vicenda umana d’una creatura che, essendo stata generata da un esperimento di laboratorio, sintetizzando il DNA umano con quello d’una gorilla, per tutta la sequenza della trama emerge il suo dilemma: “sono o non sono un uomo?”. La risposta risolutiva, che lo ripacificherà, se non col prossimo, almeno con sé stesso, la troverà nell’accostare la sua vita privata a quella del Cristo.

- “Che cosa sono, che tipo di creatura sono?” è il quesito che si pone Adamo, il protagonista; quanto del dilemma filosofico ‘dell’essere’ è presente nel libro?
- Il contesto esprime senz’altro motivazioni sia filosofiche, chiaramente di tipo esistenziale, sia teologiche, per quanto necessariamente ne consegue. Voglio tuttavia chiarire che tali implicazioni teoretiche non inficiano la regolarità d’una scorrevole lettura, che reputerei interessante tanto quanto allettante e forse, con la concessione d’un minimo d’ironia, persino brillante, nonostante l’implicito dramma del protagonista.

- Come descriveresti Adamo? E qual è il suo rapporto con la fidanzata Odette? Ti sei ispirato a dei ‘modelli’ o li hai plasmati unendo pregi e difetti della nostra società?
- Adamo, nella sua ibridata istintività caratteriale, è latore d’una sua indole naturalistica più vicina alla mansuetudine dell’animale domestico che alla ferinità ipocrita dell’essere umano dei nostri giorni. Sorta di riciclo del mito del ‘buon selvaggio’ di Rousseau. Ed Odette è una sua degna compagna ed in seguito sposa. Ambedue amano sé stessi nella maniera più pura che si possa concepire, in quanto individui e coppia, ma sanno amare anche il mondo che li circonda e tutto il creato. Quindi, mi sembra che si tratti d’un modello completamente avulso dalla realtà dei nostri giorni. Forse apparirà addirittura bigotto, ma assolse ad una cultura di vita che auguro possa essere stimolo di sincera emulazione.


- Sul tuo romanzo è stato scritto che si tratta di “un inno alla vita, ma soprattutto una graziosa dedica alla donna, a tutte le donne del mondo”. Sempre rimanendo nel tema del romanzo, come immagini la donna del futuro?
- Sì, l’ho detto e l’hanno scritto, e lo ridico e lo ribadisco, confermando quanto ho affermato nella precedente tua domanda. Aggiungo solo che, per esaltare la donna, mi sono avvalso persino della figura della Madonna, che, nella sua solare, illuminante icona, personifica la più amabile tra le madri di questo terreno mondo. 
Oltre a ciò, la donna del futuro la immagino esattamente come quella di adesso, quanto a carattere, introversione e gusto nel vestire e nel sapersi esteriormente valorizzare. L’unica differenza che potrà contraddistinguerla da qui a un secolo credo potrà essere l’assoluta parità rispetto all’uomo, nel sociale, nel lavoro e nella domestica quotidianità; emancipazione che la renderà consapevole d’un ulteriore sapersi far valorizzare, cioè anche interiormente, più di quanto ancora il maschio non voglia accettarla. 

- Tre aggettivi per descrivere Diario di Chi?
- Leggibile, nel senso di sufficientemente godibile; catechizzante, per gli eventuali lettori che vorranno leggerlo con il massimo impegno etico e rispetto religioso (ma credo anche che, specie sotto l’ultimo punto di vista, sarà scarso questo tipo di lettore); tragicomico, perché proprio quest’ultimo è l’intento che mi spinge sempre a scrivere. Se non scrivo per divertirmi e divertire non mi sembra nemmeno di scrivere! D’altra parte mi piace far sorridere le persone anche nella tragedia, perché la vita è sorriso e dramma insieme.

- L’ultima domanda è a carattere generale. In un paese come il nostro, dove la maggior parte delle persone dichiara di non aver letto nessun libro nell’ultimo anno, secondo te, cosa può fare la scuola e il mondo della cultura in generale per invogliare le persone a leggere?
- Si possono escogitare moltissimi sotterfugi in tal senso, per carità, tutti ugualmente encomiabili, ma sono convinto che, prima d’ogni altra soluzione, occorrerebbe agevolare economicamente gli autori e gli editori nella fase di produzione dei libri. Quindi motivare il cittadino, e/o lo scolaro, ad una continua lettura, con incentivi premiali i più svariati. Infine credo (ma è solo un mio umile parere) sia opportuno ripolarizzare l’uso del libro, sia esso avuto in prestito (tramite le biblioteche, certi circoli culturali e grazie anche agli scambi tra conoscenti ed amici) o direttamente acquistato, avendo riferimento al suo circuito d’origine, che, a mio modo di vedere, rimarrebbe, sempre e solo, quello cartaceo. Mi perdonino quanti la pensano diversamente (tra i quali penso ci sia tu stesso), ma ho scarsissima fiducia nel libro online.

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