di Pierangelo Colombo

venerdì 9 febbraio 2018

Perchè scrivere


  Cosa ci spinge a scrivere? Spremersi le meningi per cercare una trama, dar vita a dei personaggi virtuali, personalità che convivono dentro di noi e che, grazie alla scrittura, diamo loro un corpo, una voce con cui dire e fare ciò che noi stessi non avremmo il coraggio di fare? Cosa ci spinge a mettere a nudo desideri, paure ed emozioni?  Probabilmente sono molteplici le ragioni, chi in cerca di gloria o di uno sfogo, chi per autoanalisi o per comunicare, ma, quasi certamente, siamo accomunati dalla ricerca di un pensiero che sappia sopravvivere a noi stessi, lasciando una traccia della nostra esistenza. Il complesso di Erostrato vissuto nel modo più etico e costruttivo forse, ma assai meno efficace.
  Alla domanda, perché scrivi? Umberto Eco rispose: “Perché mi piace”
  Probabilmente, questo responso lapidario racchiude tutte le possibili risposte. Mille motivi che portano a soddisfare un bisogno che proviamo: condividere un’opinione, il nostro modo di vedere il mondo, la vita; per divertirci e far divertire; far riflettere nella speranza di dare il nostro contributo, seppur piccolo che sia, a migliorare il mondo. Oppure per brama di successo: chi non sogna di essere riconosciuti per strada, vedere la gente mettersi in fila per un autografo, cenare in una serata di gala allo stesso tavolo di autori affermati.
  Le motivazioni sono molteplici, così come le difficoltà e le delusioni. I sogni costano caro, si alimentano di speranze e disillusioni, di euforia e scoramento. Per ogni mattone che posiamo nel costruirlo, rischiamo di prendere una picconata attraverso un rifiuto, una stroncatura o un mancato riconoscimento. L’importante è non demordere, riconoscere gli errori e riprovarci. Un esempio? J.K. Rowling, una delle autrici più famose nel mondo, tuttavia, quando propose il suo Harry Potter e la pietra filosofale, a ben dodici differenti case editrici, ricevette altrettanti rifiuti che etichettavano il suo lavoro fin troppo lungo. Quindi: mai arrendersi.
  Possono toglierci tutto, ma non la libertà di sognare. E per scrivere un buon libro dobbiamo sognare, lasciar sgorgare la creatività che è innata in noi. 

Oggi, vorrei dedicarvi un mio racconto, scritto anni fa, anche se non ero agli esordi, mi consideravo, come mi considero ancora oggi, un eterno esordiente; perché c’è sempre da imparare


Sogno di volare (olio su tela)



Elucubrazioni di un esordiente


Pagina centosettantadue.
Sono quindici minuti che il cursore palpita impietoso accostato all’ultima sillaba battuta; sembra scrutarmi come un professore austero che, spazientito, tamburella con le dita la cattedra sottolineando il mio silenzio.
Do un'occhiata all'orologio: le due e quarantuno. Il mio sguardo si perde nel deserto della pagina elettronica. La ragnatela tesa a sagomare la trama del romanzo si va aggrovigliando, avviluppandomi in un bozzolo asfissiante.
 La luce della lampada da tavolo s’espande, diluendosi nel buio della mansarda; sfiora appena il dorso dei libri disordinatamente poggiati su scaffali affaticati dal tempo. Nella penombra del locale il letto m’invita a lasciarmi sprofondare nelle calde e avviluppanti braccia di Morfeo. Non talamo, bensì campo di battaglia nella quotidiana lotta contro l’insonnia.
 Il fumo sprigionato dal sigaro, malamente abbandonato nel posacenere, sale lento e sinuoso come una danzatrice del ventre, scindendosi in fili sottili modellati da impercettibili correnti d’aria.
 In un angolo, posata su di un tavolino, la vecchia Olivetti pare scrutare compiaciuta questa mia battuta d’arresto. La bandella rossa e nera giace inerme e inaridita, con il solo scopo di rammentarmi quelle notti lontane in cui fungeva da catalizzatore fra la mia mente e il resto del mondo, imprimendo sul foglio vergine quel fiume impetuoso e inarrestabile che erano i miei pensieri. In quell’età in cui ero certo d’aver scovato la chiave segreta del mondo, quando nulla sembrava poter fermare l’irruenza dettata dall’orgoglio e dall’arroganza. Accanto alla macchina, la risma di fogli bianchi in attesa e, ai piedi del tavolino, l’immancabile cestino, tumulo di errori e ripensamenti. Allora, il ticchettio dei martelletti s’espandeva nell’aria assieme all’aroma del caffè e al fumo delle sigarette, mentre, dal piano di sotto, s’udivano gli improperi dell’inquilino disturbato dal fastidioso picchiettio.
Immagini simili a quelle di un film neorealista che, riaffiorando, mi spingono ora a chiedermi se la finzione rispecchia la realtà o se, piuttosto, la condizioni. Ore notturne sostenute da litri di caffè pagato a colpi di gastrite, come se l’ispirazione non avesse potere alla luce del giorno. Al quadretto manca soltanto un bicchiere di bourbon o di gin (perché una grappa fa troppo nostrano) e lo stereotipo dello scrittore è servito. E pensare che detesto l’odore di nicotina, così come non sopporto svegliarmi con la bocca impastata dal sapore di alcol.
Mi chiedo quale differenza passi fra un pescatore che racconti d’aver preso all’amo la madre di tutte le trote e uno come me, pozzo inaridito nell’oasi dei sentimenti, che scrive di travolgenti passioni, amori e tradimenti senza averne saggiati di propri.
 Scrittori: eterni pizzicagnoli dediti a offrire sempre nuovi sapori a menti affamate d’emozioni. Sapori aspri, a volte insipidi, dolci, saporiti. Barman pronti a sperimentare nuovi cocktail, shakerando parole, sentimenti, emozioni e, forse, anche banalità. Spinti da mille ragioni differenti, chi in cerca di gloria o sfogo, chi per autoanalisi o per comunicare, ma tutti accomunati dalla ricerca di un pensiero che sappia sopravvivere a se stessi, lasciando una traccia della propria esistenza. Il complesso di Erostrato vissuto nel modo più etico e costruttivo forse, ma assai meno efficace. A volte mi chiedo se sia meno doloroso dare alle fiamme un tempio oppure ardere lentamente dalla passione e soffocare per le cocenti delusioni, mentre, disincantati, si osservano i propri sogni sgretolarsi sotto il peso della realtà.
 Esordiente ormai veterano, vago frustrato in librerie che somigliano sempre più a supermercati: dove l’odore di pizza e Coca Cola copre il profumo di carta, colla e petrolio dei libri freschi di stampa. Copertine accattivanti in cui spesso il nome dell’autore sovrasta di gran lunga il carattere del titolo, equiparando i romanzi a scatole di biscotti colorate il cui 'nome' è sinonimo di bontà. Scaffali colmi di sapere, antico e moderno, mentre in vetrina campeggiano i prodotti pubblicizzati, griffati, alla moda, relegando le novità, gli esordienti, ad agonizzare nel sottoscala.
 Mi chiedo se valga ancora la pena dar vita a storie per poi confinarle in una clausura forzata nella memoria di un computer. Personaggi con un volto, un cuore, una storia; figli della propria anima, partoriti mettendosi a nudo e liberando le paure e i sentimenti più intimi.
 Nei caffè letterari mi sento impacciato come un leone marino in un campo di calcio; preferisco di gran lunga la vita di strada, dove posso rovistare fra i discorsi della gente assaporandone le vite, le esperienze. Storie che mi cucio addosso come un vestito di Arlecchino, mimando caricature di me stesso; raccolgo ogni esile pensiero svolazzante nell’aria per distillarlo, goccia dopo goccia, in esperienze vissute attraverso i miei personaggi. Un universo parallelo a due dimensioni in cui posso gioire, ansimare, piangere e persino pregare.
 Forse sto solo farfugliando parole senza senso. Probabilmente, qualche mattina, mi sveglierò e andrò sul pianerottolo nudo come un verme a cantare l’inno alla gioia, palesando tutto il disagio e la rabbia repressa, soffocata a stento dalle illusioni. Per il momento, però, torno a fissare il cursore: immobile nel suo lampeggiare come una sentinella in attesa di nuovi ordini. Magari un giorno smetterò di scrivere e formatterò l’hard disk, troncando con questa vita virtuale, ma per questa notte proverò ancora una volta a gettare dei semi neri su di un terreno vergine e bianco. Sentendomi una vecchia quercia nodosa e curva che lascia cadere le proprie ghiande, spargerò queste parole lasciandole sospese nel tempo, nella speranza che, anche una sola di esse, possa attecchire. Sarà il vento a portare lontano le mie emozioni, nel miraggio che, un giorno lontano, anche un solo uomo legga il mio nome, così che un briciolo della mia anima possa ancora palpitare attraverso di lui su questa terra.

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